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Voluntary disclosure bis con "poco"più appeal

Alcune novità in materia di Voluntary disclosure bis sono contenute nella legge di conversione del DL 50 del 24 aprile 2017 cosiddetta Manovra bis (Legge 21 giugno 2017, n. 96 GU n.144 del 23-6-2017). Le stesse vanno a correggere la previgente disciplina allo scopo di migliorarne l’appeal. Le modifiche non appaiono sufficienti a sbloccare la nuova procedura che resta al palo e non sembra destinata a ripetere il successo della Voluntary 1.0.

 

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Le novità introdotte dalla citata legge di conversione in materia di collaborazione volontaria intervengono sulle questioni inerenti: 

(i) il riconoscimento del credito per le imposte estere 

(ii) la semplificazione degli adempimenti per le annualità successiva alle VD, 2016 e 2017 

(iii) il meccanismo delle sanzioni in sede di autoliquidazione. 

 

La prima novità riguarda la possibilità di beneficiare del credito per le imposte pagate all’estero indipendentemente dalla indicazione dei redditi prodotti all’estero nella dichiarazione presentata in deroga al disposto di cui all’art. 165, comma 8, del TUIR. 

La modifica è certamente interessante ma sembra avere una portata assai limitata. 

In primo luogo perché è espressamente limitata alle categorie dei redditi di lavoro autonomo e dei redditi di lavoro dipendente e assimilati. In secondo luogo perché la norma in oggetto deve essere poi confrontata con le disposizioni “sovraordinate” contenute nelle convenzioni contro le doppie imposizioni. 

Per il primo profilo si osserva come appaia inspiegabile, stanti le finalità ed il naturale contesto della proceduta di VD, la mancata estensione della deroga su menzionata anche alle altre categorie reddituali quali i redditi di impresa, i redditi di capitale e i redditi diversi (di natura finanziaria) e tra questi anche della c.d. euro-ritenuta.

Per il secondo aspetto si osserva che, sul piano della rilevanza pratica, la modifica sembra essere destinata ad incidere esclusivamente nelle ipotesi in cui non è possibile rimediare alla mancata indicazione dei redditi esteri mediante invio di una dichiarazione integrativa (attraverso l’istituto del ravvedimento operoso “lungo” come introdotto dal D. Lgs. 158/2015). Sono i casi in cui ci troviamo di fronte o a una dichiarazione omessa o a periodi di imposta per i quali non è più possibile procedere con l’integrazione della dichiarazione (2011 e 2010) ma per i quali, medio tempore, sono riaperti i termini di accertamento ai fini della VD-Bis. In tali circostanza la menzionata novità sembra effettivamente operante alla luce del previsto “svincolo” del riconoscimento del credito rispetto all’inserimento nella dichiarazione.

Un esempio di operatività della norma potrebbe essere rappresentato dal caso della società con sede in Svizzera il cui amministratore, persona fisica residente in Italia, avesse percepito compensi in relazione al predetto ufficio e, al contempo, non ricorrendo altri presupposti, avesse omesso di presentare la dichiarazione in Italia. In base alla convenzione (art. 16 Convenzione Italia Svizzera) concorrono alla tassazione del reddito in oggetto sia lo Stato dove ha sede la società che lo corrisponde sia lo Stato dove risiede il percettore del reddito. Il credito potrà essere riconosciuto in sede di VD-bis e la novità appare efficace nel senso che, in mancanza della stessa, non sarebbe stato possibile rimediare con l’istituto del ravvedimento operoso. 

In altre ipotesi, di contro, la novità normativa sembra del tutto inoperante. Sono i casi nei quali la tassazione è effettuata dallo Stato del “pagatore” ma, in base alla Convenzione tra i paesi interessati, la potestà impositiva spetta in via esclusiva allo Stato del “percettore”. Un esempio potrebbe essere rappresentato dalla pensione maturata nel settore privato in Svizzera da un soggetto che, avendo poi trasferito la propria residenza in Italia, avesse continuato a percepire la pensione al netto delle imposte trattenute in Svizzera. La stessa Convenzione prevede la tassazione esclusiva nello stato di residenza del percettore (art. 18 Convenzione Italia Svizzera) e, conseguentemente, in tale ipotesi il credito non spetta. E’ evidente come in tale circostanza la novità introdotta è del tutto inoperante in quanto la potestà impositiva spetta in via esclusiva allo Stato della residenza; per evitare la doppia tassazione non resta che procedere con la richiesta di rimborso delle imposte pagate in Svizzera. 

La seconda novità risulta senz’altro apprezzabile prevedendo l’esonero dalla presentazione del quadro RW per le attività estere oggetto di regolarizzazione e con riferimento agli adempimenti 2016 e della frazione del 2017 sino alla presentazione dell’istanza. Altrettanto è previsto, con la legge di conversione del DL 50/2017, anche ai fini dell’IVIE e dell’IVAFE. Vista l’esperienza della Voluntary Disclosure 1.0 dove, in effetti,  si erano prodotti degli accavallamenti tra gli adempimenti ordinari e quelli VD, tale modifica deve essere sicuramente annoverata tra le più importanti ed utili semplificazioni introdotte. 

Infine una terza apprezzabile modifica che incide sul quantum dovuto nell’ipotesi di autoliquidazione riguarda la mitigazione delle sanzioni in caso di errori nel calcolo delle somme dovute.

Come noto, infatti, ai sensi del comma 1, lett. g), dell’art. 5-octies del DL 167/90 nel caso in cui si scelga di procedere all’autoliquidazione di imposte, sanzioni e interessi a fronte di una convenienza nel calcolo delle sanzioni dovute è prevista una penalizzazione nelle ipotesi di insufficiente versamento rilevato dall’ufficio. Detta penalizzazione varia dal 3% al 10% della sanzione applicata in funzione della rilevanza dell’errore:

- la maggiorazione è pari al 3% nei casi in cui il differenziale tra somme già corrisposte e quelle accertate dall’Ufficio sia inferiore al 10% delle somme dovute se afferenti a redditi soggetti ad imposte sostitutive o a ritenute alla fonte a titolo di imposta; oppure sia inferiore al 30% in tutti gli altri casi.

- la maggiorazione è pari al 10% nei casi in cui il differenziale tra somme già corrisposte e quelle accertate dall’Ufficio sia superiore al 10% delle somme dovute se afferenti a redditi soggetti ad imposte sostitutive o a ritenute alla fonte a titolo di imposta; oppure sia superiore al 30% in tutti gli altri casi. 

 

Le maggiorazioni del 3% e del 10%, sulla base del testo convertito del DL 50/2017 e di quanto chiarito dalla Circolare n. 19/E del 12.06.2017, saranno applicabili solo in caso di minor versamento rispetto all’importo autoliquidato e la differenza dovrà essere calcolata su base annua. Infine è prevista una clausola di “salvaguardia” per cui l’importo complessivamente dovuto non potrà comunque eccedere, rispettivamente del 60% o del 85%, l’importo che sarebbe stato dovuto in caso di liquidazione da parte dell’Ufficio. 

Una ulteriore importante precisazione riguarda la circostanza per cui tali maggiorazioni non sono dovute laddove il controllo da parte dell’Ufficio dia luogo ad una riqualificazione giuridica della fattispecie rispetto a quella ipotizzata dal contribuente in sede di autoliquidazione (ad esempio, in caso di erronea applicazione di un’imposta sostitutiva in luogo di imposizione ordinaria). In tal caso l’ufficio ricalcolerà le sanzioni su RW e redditi come per l’ipotesi ordinaria di liquidazione effettuata direttamente da parte dell’Ufficio (in sostanza decadono i benefici dell’autoliquidazione). 

Infine occorre menzionare alcun punti di incertezza che, quanto prima, dovrebbero essere interessati da chiarimenti ufficiali. 

Il primo da segnalare riguarda la questione di alcuni paesi black list che possono non considerarsi tali anche ai fini della voluntary bis: trattasi dei Paesi e stati a fiscalità privilegiata che hanno concluso gli accordi per lo scambio di informazioni con l’Italia dopo il 24 ottobre 2016 (quale il caso di Panama). Un altro aspetto riguarda la questione, mai chiarita, delle violazioni, o presunte violazioni, in tema di obblighi valutari. E, infine, la mancata previsione di forme forfetarie per la regolarizzazione del contante in assenza delle quali l’emersione di tali attività rimane sostanzialmente “al palo”, salvo i rarissimi casi in cui il contesto documentale consentisse una regolarizzazione in condizione di “relativa” certezza (p.e. il caso di scuola della cassetta di sicurezza contenente contante ricollegabile alla sola evasione fiscale ed il cui ultimo accesso fosse antecedente al 31.12.2009). 

 

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Accollo dei debiti tributari – una prassi sempre più diffusa

La lentezza dello stato Italiano in materia di crediti fiscali fiscali si sta traducendo in un uso sempre più diffuso dell’istituto dell’accollo dei debiti tributari; il fenomeno vede altresì la diffusione di società specializzate nel fare da intermediari tra debitori e creditori di imposta. 

 

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L’istutito dell’accollo del debito tributario, dopo un lungo periodo di applicazione in assenza di una specifica disciplina, trova oggi una espressa previsione normativa nell’ art. 8, comma 2 Legge 212/2000 (Statuto del contribuente).  L’operazione reca vantaggi sia per il contribuente accollato che per il soggetto accollante. Da una parte, per l’accollante che vanta dei crediti fiscali, la convenienza consiste nella possibilità di monetizzare in tempi brevi tali crediti e sopperire alla lentezza dei rimborsi da parte del sistema; dall’altro lato, il contribuente accollato (debitore d’imposta) ha la possibilità di ottenere uno sconto sulle imposte da versare sulla base della convenzione con il creditore d’imposta.

La questione principale da evidenziare, tuttavia, è che nell’accollo dei debiti fiscali, in deroga alla disciplina generale dell’istitito dell’accollo ai sensi dell’art. 1273 del Codice Civile e per espressa previsione della sopra richimata norma dello statuto del contribuente, non vi è mai la liberazione del debitore principale, ancorché sia intervenuto un accordo in tale senso tra le parti. 

In capo al debitore d’imposta (soggetto accollato) esiste quindi il rischio di non liberarsi dei debiti fiscali e di rimanere obbligato in solido con l’accollante anche laddove, come solitamente succede nella prassi, il pagamento del “corrispettivo” tra le parti sia subordinato al ricevimento della quietanza di pagamento in F24 a mezzo compensazione. 

Rimane quindi il rischio di vedersi contestare anche a distanza di anni il mancato versamento, ad esempio per indebita compensazione, in qualità di soggetto coobbligato in solido. E’ ipotizzabile che il rischio in oggetto possa essere coperto da apposita polizza fideiussoria, dei cui costi, tuttavia, occorrerà tener conto nel valutare la convenienza dell’operazione.

Prima dell’introduzione di tale disposizione la giurisprudenza della Cassazione (sentenza 3608 del 28.03.1995) aveva riconosciuto in via interpretativa l’ammissibilità di tali accordi; di contro parte della dottrina li riteneva illegittimi per possibile contrasto con il principio delle capacità contributiva.

Oggi la legittimatà dell’accollo del debito tributario non è più in discussione tuttavia occorre rilevare come non siano state emanate norme di attuazione per la regolamentazione della materia. In mancanza di una prassi ammnistrativa, sembra doversi considerare il rischio – più o meno accentuato in base alla peculiarità degli accordi tra le parti in causa - che l’operazione possa essere contestata dall’Amministrazione finanziaria per profili elusività, con conseguente disconoscimento dei vantaggi fiscali, in forza della norma sull’abuso del diritto di cui all’art. 10 bis Legge 212/2000 (Statuto del contribuente).  A ben vedere, tuttavia, indipendentemente dagli accordi tra le parti interessate, non può mai essere individuato un profilo di danno per l’erario, che attraverso la compenzazione incassa interamente i propri crediti, mantiene ogni prerogativa di controllo e verifica, e semmai estende la propria garanzia attraverso la responsabilità solidale dei soggetti partecipanti all’accordo. 

 

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Nuovi chiarimenti in materia di Trust autodichiarato 

L’Agenzia delle Entrate (Direzione centrale Normativa) ha fornito nuovi chiarimenti in materia di tassazione del trust autodichiarato. In risposta all’interpello n. 954-909-2016 l’Agenzia ha chiarito che nel trust autodichiarato, nel caso di specie istituito dal padre a favore del figlio disabile, si applica la minore tassazione IRES in capo al Trust e non l’Irpef progressiva sulle persone fisiche (disponente o beneficiario).

 

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Come noto, il trust si sostanzia in un rapporto giuridico fondato sul rapporto di fiducia tra disponente (settlor o grantor), che trasferisce, per atto inter vivos o mortis causa, taluni beni o diritti e il trustee il quale li amministra, con i diritti e i poteri di un vero e proprio proprietario, nell’interesse del beneficiario o per uno scopo prestabilito. 

In particolare per trust autodichiarato si intende quello in cui è lo stesso disponente ad essere designato quale trustee; in tal caso il vincolo di destinazione sui beni si forma all’interno dello stesso patrimonio del disponente. 

Tale tipologia di Trust in passato è stato oggetto di censure sia da parte dell’Agenzia (circ 61/E/2010) che della Cassazione (sentenza 3886/2015) che ne contestavano la liceità a causa della coincidenza soggettiva tra disponente e trustee; tale istituto veniva considerato nullo in quanto si prestava ad utilizzi elusivi creando di fatto un mero schermo giuridico tra il disponente e i propri creditori, senza che vi fosse di fatto un reale spossessamento da parte del disponente. 

Tale orientamento nel tempo è stato superato e ora il trust autodichiarato è ammesso dalla prassi e dalla giurisprudenza, specie nelle ipotesi meritevoli di tutela quali, in ambito familiare, quella del genitore che dispone beni in trust a favore del figlio disabile. Sulla tassazione del trust autodichiarato sono stati di recente forniti importanti chiarimenti sia ai fini delle imposte dirette che della tassazione indiretta.

La citata Direzione Centrale Normativa dell’Agenzia delle Entrate chiarisce appunto la tassazione diretta del trust autodichiarato. Si ricorda che l’art. 73, comma 2 Tuir regola la tassazione del Trust distinguendo:

- Trust opachi, in cui i beneficiari non sono individuati, i cui redditi sono tassati direttamente in capo al Trust soggetto IRES

- Trust trasparenti, con beneficiari individuati, i cui redditi sono impèutati per trasparenza e tassati direttamente in capo ai beneficiari

Secondo l’Agenzia il trust autodichiarato è un trust opaco per cui la tassazione deve avvenire in caso al trust stesso con Ires, ora al 24%, e non per trasparanza in capo al disponente e/o beneficiario con l’Irpef progressiva.

Sotto il profilo delle imposte indirette, si ricorda la recente sentenza n. 21614 del 26.10.2016 della Corte di Cassazione che ha affermato che il trasferimento di beni in un Trust autodichiarato non determina l’applicazione dell’imposta di successione e donazione (superando il precedente orientamento Cass. 4482/2016, 3735, 3737 e 3886 del 2015) mentre le imposte di registro ed ipotecarie e catastali sono dovute in misura fissa; la tassazione in misura proporzionale è rinviata al momento in cui si realizzi un reale trasferimento di beni dal trust ai beneficiari effettivi. 

In particolare la Corte parte dall’assunto che l’istituzione di un trust cosiddetto autodichiarato con conferimento di immobili e partecipazioni sociali, con durata predeterminata o fino alla morte del disponente-trustee, va inquadrata nella fattispecie delle liberalità indirette, dato che “per suo mezzo il disponente provvederà a beneficiare i suoi discendenti non direttamente e bensì a mezzo del trustee in esecuzione di un diverso programma negoziale…la costituzione del trust come è normale che avvenga per i vincoli di destinazione, produce soltanto efficacia segregante i beni eventualmente in esso conferiti e questo sia perché degli stessi il trustee non è proprietario bensì amministratore e sia perché i ridetti beni non possono che essere trasferiti ai beneficiari in esecuzione del programma negoziale stabilito per la donazione indiretta”.

La Corte ha così confermato quanto precedentemente già chiarito (Cassazione, sez. trib. n. 25478 del 18.12.2015) in conformità ad un orientamento della giurisprudenza di merito e in netto contrasto con quanto sostenuto dall’Agenzia delle entrate (circ 48/2007 e circ 3/2008) secondo cui il conferimento di beni nel trust andrebbe assoggettato all’imposta sulle successioni e donazioni in misura proporzionale, sia esso disposto mediante testamento o per atto inter vivos; ciò in quanto, secondo le disposizioni stabilite all’art. 2, commi da 47 a 49, del DL n. 262/2006, la costituzione dei vincoli di destinazione è soggetta all’imposta sulle successioni e donazioni. 

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IVA e Procedure concorsuali: novità dal 2017

La Legge di Bilancio 2017 all'art. 1, comma 567, lett. d) (Legge n. 232/2016) fa dietrofront sulla disciplina delle variazioni dell’imponibile IVA e della relativa imposta, rispetto a quanto previsto dalla Legge 208/2016, stabilendo che in caso di procedure concorsuali la nota di variazione Iva possa essere emessa solo una volta che sia stata definitivamente accertata l’infruttuosità della procedura. In tal modo si torna di fatto alla più penalizzante disciplina previgente all’intervento della Legge 208/2016 (disposizione di fatto mai entrata in vigore), creando dunque incertezza nei tempi di recupero dell’IVA.

 

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Preliminarmente occorre ricordare che la Legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Legge di Stabilità 2016) aveva modificato l’art. 26 DPR 633/72, prevedendo che in caso di procedure concorsuali con inizio dal 1° gennaio 2017 la nota di variazione IVA in diminuzione potesse essere emessa all’apertura della procedura concorsuale, senza dover attendere l’accertamento dell’infruttuosità della stessa ciò che subordinava, nel vigore della norma ante modifiche, l’emissione della nota di variazione in diminuzione al momento in cui poteva essere dimostrata l’effettiva perdita del credito, spesso coincidente con la chiusura della procedura. La nuova disposizione individuava il momento in cui il debitore si considera assoggettato a procedura concorsuale, che variava in base al tipo di procedura. 

Tornando al passato, con la Legge di Bilancio 2017, il legislatore ha abrogato le modifiche di cui sopra prevedendo di nuovo che, in caso di procedure concorsuali, la nota di variazione IVA possa essere emessa solo quando risulti accertata definitivamente l'infruttuosità della procedura:

- in caso di fallimento, una volta scaduto il termine per le osservazioni al piano di riparto o per il reclamo al decreto di chiusura, se manca il piano di riparto. 

- nel concordato preventivo, si fa riferimento non solo al decreto di omologazione del concordato che chiude il concordato ex art. 181 della legge fallimentare, ma anche al momento in cui il debitore adempie gli obblighi assunti nel concordato stesso, con un’evidente differimento dei tempi di recupero; inoltre, in caso di mancato adempimento, qualora venga dichiarato il fallimento del debitore, la rettifica in diminuzione può essere eseguita, solo dopo che il piano di riparto dell'attivo sia divenuto definitivo ovvero, in assenza di un piano, dopo la scadenza del termine per il reclamo avverso il decreto di chiusura del fallimento. 

Sempre in tema di note di variazione IVA, la Legge di Stabilità 2017 ha altresì abrogato la norma di cui al comma 5 dell'art. 26 del DPR 633/1972 che escludeva, in caso di procedure concorsuali, l’obbligo per il cessionario/committente, a fronte della emissione di una nota di variazione in diminuzione da parte della controparte, di registrare la corrispondente variazione in aumento, salvo il suo diritto alla restituzione di quanto pagato a titolo di rivalsa.

Al riguardo, l'Agenzia Entrate (con la circolare n. 8 del 7 aprile 2017 che richiama la risoluzione 155/E/2001) ha chiarito che gli organi della procedura in caso di fallimento e concordato preventivo, conseguentemente alla ricezione della nota in diminuzione IVA, sono tenuti ad annotare nel registro IVA la corrispondente variazione in aumento, con conseguente obbligo di indicare le predette operazioni nella dichiarazione Iva. Tale adempimento, si chiarisce, non determina l'inclusione del relativo credito IVA dell'Amministrazione nel riparto finale, il quale è ormai definitivo, ma ha soltanto lo scopo di evidenziare il credito da parte dall'erario eventualmente esigibile nei confronti del fallito tornato in bonis. Per quanto sopra, non sussistendo quindi alcun debito a carico della procedura, il curatore fallimentare non è tenuto ad ulteriori adempimenti. Si ricorda che l’emissione della nota di credito continua ad essere subordinata alla previa insinuazione allo stato passivo, come chiarito dalla risoluzione 195/E/2008. 

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Nuova rivalutazione dei beni d’impresa

Per effetto dell’articolo 1 co. 556 ss. della L. 232/2016 4 del DL 50/2017 (Legge di Stabilità 2017 ) sono stati riaperti i termini per la rivalutazione dei beni d’impresa, da effettuarsi con riferimento al bilancio 2016. L’Agenzia delle Entrate con circolare del 27.4.2017 n. 14 ha fornito alcuni chiarimenti sulla nuova rivalutazione. 

 

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Di seguito si richiamano le principali modalità della rivalutazione 2016, descritte dall’Agenzia nella predetta circolare, segnalando sin da subito lo scarso appeal del normativa nella prospettiva, già a partire dal corrente esercizio, della riduzione dell’IRES al 24%

Infatti si segnala sin da subito che le aliquote dell’imposta sostitutiva non sono cambiate rispetto alle precedenti edizioni: per i soggetti con esercizio sociale coincidente con l’anno solare, la rivalutazione è eseguita nel bilancio al 31.12.2016 con versamento dell’imposta sostitutiva del 16%, per i beni ammortizzabili e del 12%, per i beni non ammortizzabili.

La circolare ha precisato che la nuova rivalutazione non può avere effetto ai soli fini civilistici, e pertanto l’imposta sostitutiva è sempre dovuta.

Alla rivalutazione dei beni d’impresa possono accedere i soggetti che non adottano i principi contabili internazionali nella redazione del bilancio di esercizio, comprese le società di persone, anche in contabilità semplificata, le imprese individuali e i soggetti che fruiscono di regimi semplificati di contabilità.

Sono escluse le persone fisiche esercenti lavoro autonomo, arti e professioni, anche in forma associata, esercenti attività agricola non commerciale, gli enti non commerciali per i beni relativi all’attività non commerciale, i soggetti IAS e i soggetti che determinano il reddito in modo forfettario.

Sotto il profilo oggettivo, possono essere rivalutati ai sensi della L. 232/2016 i beni materiali e immateriali che costituiscono immobilizzazioni, nonché le partecipazioni in imprese controllate e collegate costituenti immobilizzazioni risultanti dall’attivo dello stato patrimoniale del bilancio relativo all’esercizio in corso alla data del 31 dicembre 2015 e in quello successivo. Sono esclusi i beni mobili e immobili alla cui produzione o scambio è diretta l’attività dell’impresa (quali immobili “merce”); possono invece essere rivalutati anche i beni completamente ammortizzati e le immobilizzazioni in corso.

La circolare conferma l’obbligo di rivalutare tutti i beni che fanno parte della medesima categoria omogenea (ad esempio, con riferimento ai beni immobili le categorie omogenee sono rappresentate da a) aree fabbricabili aventi la stessa destinazione urbanistica; b) aree non fabbricabili; c) fabbricati non strumentali; d) fabbricati strumentali per destinazione; e) fabbricati strumentali per natura). Per quanto riguarda i fabbricati strumentali, la circolare 14/2017 precisa che è possibile adeguare distintamente il valore della componente “fabbricato” e della componente “area”, previa valutazione (ad esempio, con perizie) idonea ad assegnare valori oggettivi a ciascuna delle due componenti.

La circolare conferma le tre tecniche distinte di rivalutazione già previste nelle precedenti edizioni:

1. • rivalutazione del solo costo storico;

2. • rivalutazione del costo storico e del fondo di ammortamento;

3. • riduzione del fondo di ammortamento.

Nel primo e nel secondo caso è necessario che il nuovo valore attribuito al bene non ecceda il c.d. “costo di sostituzione”. 

Quanto agli effetti della rivalutazione, i maggiori valori sono riconosciuti a decorrere dal terzo esercizio successivo a quello con riferimento al quale la rivalutazione è eseguita e quindi, dall’esercizio chiuso al 31.12.2019, per i soggetti “solari”, ai fini degli ammortamenti deducibili, della determinazione del plafond delle spese di manutenzione ex art. 102 c. 6 del TUIR e della disciplina delle società non operative. 

Ai fini della determinazione delle plusvalenze e delle minusvalenze l’efficacia è posticipata all’inizio del quarto esercizio successivo a quello nel cui bilancio la rivalutazione è stata eseguita (1.1.2020, per i soggetti solari).

Insieme alla rivalutazione è possibile effettuare l’affrancamento del saldo attivo, previo pagamento di un’imposta del 10% sostitutiva delle imposte sui redditi, dell’IRAP e delle addizionali.

 

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Cedolare secca sulle locazioni brevi

L’articolo 4 del DL 50/2017 (“Regime fiscale sulle locazioni brevi”) pubblicato in G.U, il 24 aprile 2017 introduce, a partire dal prossimo 1° giugno 2017, l’applicazione della cedolare secca agli affitti brevi. La disposizione interviene a regolamentare un settore, quello locazioni turistiche, sino ad oggi privo di una disciplina fiscale ad hoc e quindi suscettibile di pratiche di evasione. 

 

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Le “locazioni brevi”, così definite dal punto di vista fiscale se non più lunghe di 30 giorni, non sono soggette a registrazione ed sono altresì escluse dall’applicazione della disciplina speciale sulle locazioni di cui alla legge 431/98 e regolate dal Codice Civile, con pochi e brevi articoli caratterizzati da una certa libertà contrattuale. 

 

La nuova norma (comma 1 dell’articolo 4 del Decreto Legge 50/2017) interviene innanzitutto definendo locazioni brevi “i contratti di locazione di immobili ad uso abitativo di durata non superiore a 30 giorni, ivi inclusi quelli che prevedono la prestazione dei servizi di fornitura di biancheria e pulizia locali, stipulati da persone fisiche, al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa, direttamente o tramite soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare, anche attraverso la gestione di portali online”. Deve dunque trattarsi di locazioni concluse tra soggetti che agiscono al di fuori del regime d’impresa; i contratti possono comprendere servizi accessori che non devono tuttavia eccedere il limite della fornitura di biancheria e pulizia, configurando altrimenti un’attività alberghiera ; possono essere conclusi direttamente dal proprietario o tramite intermediari immobiliari, che agiscono anche attraverso portali web specializzati (ad es. Airbnb).

 

Occorre precisare che in realtà, anche prima di tale intervento normativo per via interpretativa si riteneva la cedolare secca applicabile anche ai contratti di locazione di durata inferiore a trenta giorni nell’anno, per i quali non sussiste l’obbligo di registrazione in termine fisso, come chiarito dalla circolare 26/E/2011. 

 

La nuova disposizione prevede che a decorrere dal prossimo 1° giugno 2017, ai redditi derivanti dai suddetti contratti di locazione breve si applicheranno espressamente le disposizioni di cui all’articolo 3 del D. Lgs. 23/2011 in materia di cedolare secca sugli affitti (tassazione con aliquota al 21 per cento, sostitutiva di irpef, addizionali regionali e comunali e imposta di registro)  mediante, ed è questa la vera novità del provvedimento, l’eventuale meccanismo della ritenuta alla fonte a titolo d’imposta nei casi in cui i corrispettivi della locazione siano gestiti – come nel caso di Airbnb – dal gestore del portale.

 

In ogni caso il proprietario dell’abitazione dovrà esercitare l'opzione per la tassazione con cedolare secca altrimenti la ritenuta operata dal gestore sarà computata a titolo di acconto delle imposte ordinarie da liquidare in sede di dichiarazione.

Un’altra importante novità introdotta dalla nuova norma è rappresenta dalla possibilità di tassare i corrispettivi lordi derivanti dai contratti di sublocazione con la cedolare secca; i redditi in oggetto sono sempre qualificati come redditi diversi (e non redditi fondiari) pur se assoggettati a cedolare. L’opzione è estesa che ai contratti a titolo oneroso conclusi dal comodatario. Resta da chiarire se, come parrebbe dalla lettura delle norma l’imponibile per l’applicazione della cedolare secca sia costituito non solo dai canoni, ma anche dalle spese condominiali rimborsate dall’inquilino, che sono invece esplicitamente escluse dall’imponibile nella locazione “normale”. 

La norma introduce una serie di adempimenti a carico delle agenzie immobiliari o portali web di intermediazione.

 

Innanzitutto gli intermediari dovranno inviare all’Agenzia delle Entrate apposita comunicazione in occasione della stipula di ogni nuovo contratto, pena una sanzione da 250 a 2mila euro (la sanzione è ridotta alla metà se la trasmissione è effettuata nei quindici giorni successivi alla scadenza, o se, nel medesimo termine, è effettuata la trasmissione corretta dei dati); il contenuto di tale comunicazione, le modalità di trasmissione e la loro conservazione dovranno essere stabiliti da apposito provvedimento dell’Agenzia delle Entrate, da emanarsi entro il 25 luglio 2017.

 

Infine gli intermediari dovranno trasmettere ogni anno ai proprietari apposita certificazione con l’indicazione degli importi trattenuti e riversati all’Erario in qualità di sostituti d’imposta.

 

Il Decreto introduce altresì degli obblighi di controllo a carico dell’Agenzia delle Entrate sulle locazioni brevi concluse tramite piattaforme online; a tali fini l’Agenzia delle Entrate stipulerà apposite convenzioni con i soggetti che utilizzano in Italia i marchi di portali di intermediazione online.

 

Nei 90 giorni dall’approvazione del decreto dovrà essere emanato apposito provvedimento dell’Agenzia delle Entrate che stabilisca le disposizioni attuative del Decreto Legge 50/2017 in materia di cedolare secca sulle locazioni brevi.

 

Si auspica che in sede di conversione del DL 50/2017 vengano risolti alcuni problemi interpretativi della norma in esame, tra cui in particolare l’applicabilità della cedolare a tutti i casi in cui, al di fuori dell’attività di impresa, vengano forniti alloggi unitamente a servizi accessori, come avviene ad esempio nel caso dei B&B.

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Voluntary bis al test di convenienza 

E’ iniziata la fase di applicazione della c.d. voluntary-bis reintrodotta dall’art. 7 del DL 193/2016 , intitolato “Riapertura dei termini della proceduta di collaborazione volontaria e norme collegate”. 

 

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La “collaborazione volontaria” in oggetto riguarda sia i soggetti che abbiano violato gli obblighi dichiarativi relativi al monitoraggio fiscale disciplinati dal DL n. 167/1990 (le persone fisiche, gli enti non commerciali, le società semplici ed equiparate residenti nel territorio dello stato) sia gli altri soggetti che abbiano commesso violazioni a carattere fiscale non riconducibili ad attività detenute all’estero (società, professionisti, enti commerciali)

Deve essere subito notato che tra la voluntary 1.0 e quella 2.0 il contesto internazionale è ulteriormente evoluto ed assumono sempre maggiore rilevanza gli scambi di informazioni fiscali tra i paesi. 

In particolare con il DM 17 gennaio 2017 il Ministero dell’Economia e della Finanze ha aggiornato la lista degli Stati che forniranno in modo automatico le informazioni fiscali all’Italia (e, viceversa) in merito ai rapporti intrattenuti nel paese straniero da contribuenti residenti in Italia. Tra questi invero sono presenti anche molti paesi con i quali esistono da tempo delle convenzioni contro le doppie imposizioni. La novità consiste tuttavia nel fatto che lo scambio di informazioni operato ai sensi della convenzione avviene con la modalità “su richiesta” mentre il nuovo regime prevede lo scambio in forma “automatica”. 

I contribuenti che intendono accedere alla collaborazione volontaria devono presentare in via telematica entro il 31 luglio 2017 apposita richiesta di accesso alla procedura utilizzando il modello ministeriale. La relativa istanza può essere integrata con le informazioni e i documenti entro il 30 settembre 2017 mentre il termine previsto per l’accertamento da parte degli uffici è del 31 dicembre 2018. 

I contribuenti interessati alla regolarizzazione devono tuttavia effettuare una valutazione di convenienza rispetto alla procedura del ravvedimento operoso lungo introdotto dalla legge di stabilità del 2015 (Dlgs n. 158/2015). Si osserva infatti che il calcolo di convenienza in oggetto – che in certi casi deponeva a vantaggio del ravvedimento già con la voluntary 1.0 -  presenta con voluntary 2.0 ulteriori elementi di valutazione 

Un primo elemento è rappresentato dell’arco temporale da considerare per la sanatoria con voluntary 2.0 che prevede ora, in condizioni normali, sei annualità per i redditi (dal 2010 al 2015) e sette annualità per il monitoraggio (dal 2009 al 2015). Di contro il ravvedimento operoso può essere esteso solo ai periodi ancora accertabili che, in condizioni normali (escluse le ipotesi di dichiarazione omessa o raddoppio dei termini), comprende quattro anni per i redditi (dal 2012 al 2015) e cinque anni per il monitoraggio fiscale (dal 2011 al 2015). Il conteggio delle annualità “scoperte” può essere differente, questa volta a svantaggio del ravvedimento, laddove fossimo in presenza di paesi black list con accordi che in molti casi hanno una validità limitata alla procedura di collaborazione volontaria. 

Un elemento di novità rispetto allo stato dell’arte in sede di voluntary 2.0 è dato dalla maggiore copertura sul piano delle sanzioni penali oggi offerta dal ravvedimento operoso in seguito al Dlgs n. 158/2015 nella parte in cui ha modificato gli art. 13 e 13 bis del Dlgs 74/2000. In particolare è stata introdotta la non punibilità per alcuni reati omissivi (omesso versamento di ritenute, Iva e indebita compensazione) in caso di pagamento del tributo e accessori. Altrettanto è previsto circa l’estinzione dei reati dichiarativi in seguito alla presentazione di ravvedimento operoso prima che sia stata avviata una qualunque attività di verifica. 

La valutazione di convenienza deve infine tenere conto di diversi altri profili quali la presenza di delegati sui conti esteri ( che in sede di voluntary beneficiano della possibilità di conteggiare le sanzioni pro-quota) il computo degli interessi da applicare (interesse legale per il ravvedimento contro il maggior saggio del 3,5% previsto per il caso di collaborazione volontaria), la possibilità di applicare nel ravvedimento la minore sanzione del 90% sui redditi (favore rei), di scomputare eventuali crediti esteri – in tal caso potrà valutarsi un uso congiunto dei due istituti - e, infine, il fatto che la procedura di voluntary 2.0 prevede un termine breve di prescrizione dell’azione accertatrice dell’Agenzia (31.12.2018) mentre in caso di ravvedimento i termini di accertamento sono assai più lunghi essendo previsto il ricomputo facendo riferimento alla data di presentazione dell’integrazione.

 

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La Cassazione conferma la natura non abusiva dello Share deal 

 

Con la recente sentenza n. 2054 del 27 gennaio 2017 la Cassazione conferma il recente orientamento della giurisprudenza di merito in materia di applicabilità dell’imposta di registro nelle operazioni di share deal 

Il conferimento di azienda seguito dalla successiva cessione della partecipazione, non deve essere qualificato ai fini delle imposte d’atto (registro) come trasferimento d’azienda, in base al disposto della norma antielusiva in materia di imposta di registro di cui all’art. 20 DPR 131/1986 e può quindi essere tassato in misura fissa.

 

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In antitesi con quanto precedentemente sostenuto (si vedano sentenze n. 8542 del 29.04.2016, n. 5877 del 13 marzo 2014 e n. 15319 del 2013) la Cassazione muta il proprio orientamento sulla presunta natura abusiva, ai fini delle imposte indirette, delle operazioni in oggetto. 

Come noto, tali operazioni risultano appetibili ai fini delle imposte dirette in quanto l’art. 176 Tuir consente il perfezionamento del conferimento d’azienda in regime di neutralità d’imposta e la successiva cessione delle partecipazioni può beneficiare del regime della partecipation exempion se sono rispettate le condizioni previste dall’art. 87 del Tuir.  Si ricorda infatti che al comma 3 dello stesso art. 176 del Tuir è contenuta una norma espressa che prevede la disapplicazione delle disposizioni antielusive. 

La non abusività delle operazioni di share deal, già riconosciuta dalla giurisprudenza di merito, è stata ora accolta anche dalla Suprema Corte la quale, nella citata sentenza 2054/2017, pur non rifacendosi alla nuova norma sull’abuso del diritto di cui all’art. 10bis Legge 212/2000, ha affermato che in ambito tributario, “il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuto mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio di imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici”.

Secondo la Corte tale principio antiabusivo non si applica “ove quelle operazioni possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi di imposta” e, in particolare, “il carattere abusivo di un’operazione va escluso quando sia individuabile una compresenza, non marginale, di ragioni extrafiscali”; secondo i giudici, inoltre “la prova sia del disegno elusivo sia delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale, incombe sull’Amministrazione finanziaria, mentre grava sul contribuente l’onere di allegare la esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti che giustifichino operazioni in quel modo strutturate”.

Nel caso di specie, dunque, la Corte ha dunque cassato il ricorso dell’Agenzia secondo cui la cessione di quote doveva essere riqualificata come cessione di ramo di azienda (ai sensi dell’articolo 20 DPR 131/86 TUR), ritenendo invece che il contribuente non abbia posto in essere alcuna operazione antielusiva, bensì abbia realizzato una legittima scelta negoziale.

Infine, secondo la sentenza in commento, la norma di cui all'art. 20 del DPR 131/86, che stabilisce che l’imposta di registro è applicata secondo l’intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponde il titolo o la forma apparente, va interpretata non come norma antiabusiva, bensì come norma con funzione esclusivamente interpretativa del singolo atto portato alla registrazione, al fine di individuare l’esatta natura giuridica dell’atto.

Le operazioni di conferimento d’azienda cui fa seguito la cessione delle partecipazioni della conferitaria rientrano nella prassi consolidata degli operatori economici; si tratta di uno “strumento”, in senso lato, spesso preferito per la circolazione dei complessi aziendali, ciò che né conferma la valenza economica nell’ambito delle semplificazioni e/o agevolazioni dei processi di aggregazione tra imprese e gruppi. Inoltre non può essere messa in discussione la validità economica di tali operazioni anche per gli effetti che le stesse producono in termini di semplificazione e continuità sul piano organizzativo e gestionale. Tali semplici osservazioni dovrebbero essere sufficienti perché, alla luce della nuova disposizione antiabuso, le operazioni in commento restino totalmente al riparo da censure non solo ai fini delle imposte dirette ma anche ai fini delle imposte indirette.  

Di converso è solo il caso di ricordare che i benefici descritti per il caso di circolazione delle azienda non si rendono applicabili nel caso in cui le operazioni in commento abbiano ad oggetto singoli beni, quali immobili, o insieme di beni non costituenti autonomi complessi aziendali. 

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Novità in materia di tassazione del reddito d’impresa (IRI)

La Legge di Stabilità 2017 (art, 1 commi 547-548, Legge 11.12.2016 n. 232) ha introdotto l'imposta sul reddito d'impresa “IRI”, un regime opzionale di tassazione separata del reddito di imprese individuali e società di persone con decorrenza dall'1.1.2017. 

 

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Le disposizioni di cui al nuovo art. 55-bis del TUIR, prevedono che il regime opzionale di tassazione separata del reddito d'impresa sia applicabile agli imprenditori individuali, alle società in nome collettivo e in accomandita semplice in regime di contabilità ordinaria.

Con la modifica contenuta nella lettera c), dell’articolo 116 del TUIR, la tassazione separata IRI è estesa anche alle società di capitali a ristretta base societaria, sempre come regime opzionale in alternativa a quello della tassazione per trasparenza. 

Dall’IRI rimangono esclusi lavoratori autonomi, professionisti, studi associati e società semplici. Si considerano incluse le società di fatto (esercenti attività commerciali), le società tra professionisti e le società di armamento.

 

In caso di opzione per l’IRI ai fini della tassazione:

• il reddito d'impresa reinvestito nella società, è escluso dalla formazione del reddito complessivo ed assoggettato ad IRI del 24%;

• gli utili prelevati dall’imprenditore, soci e collaboratori, restano imponibili con aliquota progressiva in capo al percipiente come reddito d'impresa.

L'opzione per l'IRI deve essere indicata nella dichiarazione dei redditi, con effetto dal periodo d'imposta cui è riferita la dichiarazione, ha durata pari a cinque periodi d'imposta ed è rinnovabile.

 

La base imponibile IRI è determinata secondo le regole ordinarie in materia di redditi di impresa previste dal TUIR e da essa possono essere dedotti gli utili prelevati, nel limite dell'utile dell'esercizio e delle riserve di utili assoggettate a tassazione IRI negli esercizi precedenti. 

La partecipazione agli utili si presume in proporzione ai conferimenti eseguiti dai soci, salvo la diversa previsione dell’atto costitutivo o di altro atto con data anteriore all’inizio del periodo d’imposta.

Le perdite maturate nei periodi d’imposta di applicazione dell’IRI sono computate in diminuzione del reddito dei periodi d’imposta successivi per l’intero importo che trova capienza in essi senza limite di tempo, né di importo. Il trattamento delle perdite nell’IRI risulta, quindi, più favorevole di quello ordinario sia per le imprese soggette all'IRPEF (perché la deduzione avviene oltre il quinto anno successivo anche per i soggetti che non si trovano nei primi tre anni di attività) che per le società soggette all'IRES (perché non opera, ai fini del riporto, il limite dell'80% del reddito di ciascun esercizio successivo).

All'uscita dal regime, le perdite IRI non ancora utilizzate costituiscono perdite realizzate in contabilità ordinaria e possono esclusivamente andare a compensazione dei redditi d'impresa (in contabilità ordinaria o semplificata); l'eccedenza non può andare a compensazione degli altri redditi, ma deve invece essere riportata agli esercizi successivi, ma non oltre il quinto. A tal fine, occorre considerare l'ultimo anno di permanenza nel regime IRI come anno di maturazione delle stesse. Nel caso di società in nome collettivo e in accomandita semplice tali perdite sono imputate a ciascun socio proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili.

 

Le somme prelevate a carico dell’utile dell’esercizio e delle riserve di utili (nei limiti del reddito dell’esercizio e dei periodi d’imposta precedenti assoggettati ad IRI) concorrono integralmente a formare il reddito complessivo dell’imprenditore, dei collaboratori familiari o dei soci come reddito d'impresa con imposizione progressiva in capo al percettore.

Queste disposizioni non si applicano alle somme prelevate a carico delle riserve formate con utili dei periodi di imposta precedenti a quello dal quale ha avuto inizio la tassazione separata con l’aliquota IRI.

Le somme prelevate dalle riserve di utili realizzati prima dell'ingresso nel regime IRI non concorrono alla formazione del reddito imponibile in capo al percettore e non possono essere portate in deduzione dalla base imponibile IRI. Le riserve da cui sono prelevate le somme si presumono formate prioritariamente con utili non tassati IRI.

 

Per i soggetti che optano per il regime IRI, il contributo annuo dovuto alle gestioni dei contributi e delle prestazioni previdenziali degli artigiani e degli esercenti attività commerciali è determinato senza tener conto delle nuove disposizioni in materia di IRI.

 

In occasione di TELEFISCO 2017 l’Agenzia delle Entrate ha fornito utili chiarimenti in relazione all’applicazione del nuovo regime IRI.

In relazione alla determinazione del plafond IRI, entro cui è possibile dedurre dal reddito d’impresa le somme prelevate dai soci e che va calcolato al netto delle perdite residue riportabili a nuovo, è stato confermato che negli esercizi successivi a quello in cui le perdite sono state utilizzate, il plafond debba essere quantificato considerando i redditi dichiarati nel periodo di validità IRI al netto delle sole perdite non ancora utilizzate senza considerare più le perdite già compensate. 

Con riferimento alla corretta determinazione del plafond IRI nell’esercizio in cui vengono effettuati i prelevamenti, invece, è stato chiarito che la determinazione della base imponibile IRI vada effettuata 

prima determinando il reddito d’impresa secondo le regole ordinarie del TUIR e poi portando in deduzione dal reddito così determinato le somme prelevate nei limiti, ovviamente, del plafond IRI. 

 

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Super e Iperammortamento

La legge di bilancio 2017 (legge 11 dicembre 2016, n. 232), ai commi 8-13, ha previsto la proroga delle disposizioni introdotte con la legge di bilancio precedente riguardanti il “super ammortamento” ed ha introdotto l’”iper ammortamento” per “favorire i processi di trasformazione tecnologica e digitale secondo il modello Industria 4.0”.

 

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Il super ammortamento consiste nella maggiorazione del 40% - ai soli fini della determinazione del reddito Ires/Iri/Irpef per i soggetti titolari di reddito d'impresa e per gli esercenti arti e professioni – del costo di acquisto (o i costi delle realizzazioni in economia) o del canone di locazione finanziaria di beni strumentali nuovi (legge di bilancio 2016, art. 1, comma 91).

La legge di bilancio 2017 consente l’applicazione della citata disposizione anche per gli investimenti effettuati entro il 31 dicembre 2017 o entro il 30 giugno 2018 a condizione che entro il 31 dicembre 2017 l’ordine di acquisto sia stato accettato dal venditore e che sia stato pagato un acconto pari almeno al 20%.

L’imputazione temporale degli investimenti segue le regole dettate dall’art 109 del Tuir, rilevando quindi la consegna o spedizione, o se diversa e successiva, la data in cui si verifica l’effetto traslativo o costitutivo della proprietà o altro diritto reale, senza tener conto delle clausole di riserva della proprietà.

Rimangono esclusi i beni con coefficiente fiscale di ammortamento inferiore a 6,5%, i fabbricati e le costruzioni, i beni inclusi nella tabella 1 allegata.

Nuova esclusione riguarda i veicoli e gli altri mezzi di trasporto di cui all'articolo 164, comma 1, lettere b) e b-bis) del Tuir, ossia autovetture, autocaravan, ciclomotori e motocicli non utilizzati esclusivamente come beni strumentali.

L’ “iper ammortamento” è uno degli strumenti agevolativi facenti parte del Piano nazionale “Industria 4.0”. Con tale termine si indica la “quarta rivoluzione industriale”, resa possibile dalla disponibilità di tecnologie hardware e software, di dati e informazioni, di nuovi materiali, componenti e sistemi digitalizzati e interconnessi.

L’ “iper ammortamento” si riferisce agli investimenti effettuati entro gli stessi termini temporali di cui sopra e consiste nella maggiorazione del costo fiscale di acquisto o del canone di leasing finanziario nella misura del:

a. 150% per i beni materiali strumentali nuovi inclusi nell’allegato A;

b. 40% per i beni immateriali strumentali inclusi nell’allegato B, ma a condizione che il soggetto goda dell’agevolazione di cui alla lettera a)

Possono beneficiare dell’agevolazione i titolari di redditi di impresa (non gli esercenti arti e professioni), esclusi i contribuenti forfettari, indipendentemente da forma giuridica, dimensione aziendale e settore economico di attività.

Un piccolo esempio numerico: per un bene materiale agevolabile con quota di ammortamento pari ad euro 1.000 sì avrà una maggiorazione di euro 1.500 ed un risparmio di imposta pari ad euro 360 (Ires 24%) o euro 645 (Irpef, considerando l’aliquota marginale del 43)%; per un bene immateriale agevolabile con quota di ammortamento pari ad euro 1.000 sì avrà una maggiorazione di euro 400 ed un risparmio di imposta pari ad euro 96 (Ires 24%) o euro 172 (Irpef, considerando l’aliquota marginale del 43%).

Per fruire dell’agevolazione è necessaria una dichiarazione del legale rappresentante, o, per i beni aventi ciascuno un costo di acquisizione superiore a 500.000 euro, di una perizia tecnica giurata di un ingegnere o perito industriale iscritti all’albo o ente di certificazione accreditato per singolo bene, circa l’appartenenza del bene alle tabelle A e B e l’interconnessione al sistema aziendale di gestione della produzione o alla rete di fornitura.

Nel corso di Telefisco 2017, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che:

• il software embedded, ossia acquistato assieme al bene, è da considerarsi “incluso” e agevolabile con l’iper ammortamento 150%;

• un bene compreso nella tabella A acquistato nel 2016, entrato in funzione ed interconnesso nel 2017 può usufruire del super ammortamento (40%) e non dell’iper ammortamento in quanto rileva l’acquisto;

• il bene immateriale agevolabile (allegato B) non deve essere collegato necessariamente ad uno specifico bene materiale agevolabile (allegato A), ma è necessario che l’impresa usufruisca dell’iper ammortamento al 150%, quindi eventualmente anche per altro bene.

• per “interconnessione” si intende lo scambio di informazioni con sistemi interni (sistema gestionale, sistemi di pianificazione, ecc.) e/o esterni (clienti, fornitori, partner nella progettazione ecc.) per mezzo di un collegamento basato su specifiche documentate, disponibili pubblicamente e internazionalmente riconosciute; inoltre, il bene deve essere identificato univocamente, mediante l’utilizzo di standard di indirizzamento internazionalmente riconosciuti (es. indirizzo IP).

I benefici illustrati sono cumulabile con:

• Nuova Sabatini;

• Credito d’imposta per attività di Ricerca e Sviluppo;

• Patent Box;

• Incentivi alla patrimonializzazione delle imprese (ACE;

• Incentivi agli investimenti in Start up e PMI innovative

• Fondo Centrale di Garanzia

Si precisa che gli acconti dovuti per l’anno 2017 e 2018 saranno determinati senza considerare l’effetto di super e iper ammortamento; inoltre, le maggiorazioni 40% e 150% non devono essere considerate ai fini dell’elaborazione e del calcolo degli studi di settore.

 

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Novità in materia di IVA di Gruppo

La Legge di Stabilità 2017 (Legge 11.12.2016 n. 232) ha introdotto importanti novità in materia di IVA all’interno dei gruppi societari, sia modificando il regime dell’IVA di gruppo di cui all’art. 73 c. 3 del DPR 633/72 (art. 1 c. 27), sia introducendo il nuovo istituto del Gruppo IVA (art. 1 c. 24-31).

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La principale novità in materia di IVA dei gruppi è rappresentata dal nuovo istituto del "Gruppo Iva", con introduzione all’interno del DPR 633/72 dei nuovi articoli da 70-bis a 70-duodecies, in attuazione della Direttiva 2006/112/CE e con decorrenza a partire dal 1° gennaio 2018.

L’opzione per il Gruppo IVA consente a soggetti (persone fisiche e giuridiche) stabiliti nel territorio dello Stato, strettamente vincolate fra loro da rapporti finanziari, economici ed organizzativi, di diventare un unico soggetto d'imposta Iva; diventano pertanto irrilevanti ai fini Iva le cessioni di beni e le prestazioni di servizi che intercorrono tra i partecipanti al medesimo gruppo Iva, mentre rilevano le operazioni svolte nei confronti di soggetti terzi.

Il gruppo IVA si costituisce previa opzione esercitata da tutti i soggetti passivi IVA, mediante dichiarazione telematica presentata dal  rappresentante del Gruppo IVA. 

L’opzione è vincolante per 3 anni e si rinnova automaticamente per ciascun anno successivo, alla fine del primo triennio. L’opzione ha effetto a decorrere dall’anno successivo se la dichiarazione in esame è presentata dall’1.1 al 30.9, oppure dal secondo anno successivo se presentata dall’1.10 al 31.12.

Possono partecipare al gruppo Iva i soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato, esercenti attività d'impresa, arte o professione, per i quali ricorrano congiuntamente i seguenti vincoli di tipo finanziario, economico, organizzativo:

• vincolo finanziario si ha quando dal 1° luglio dell'anno solare precedente a quello di esercizio dell'opzione fra i soggetti esiste, direttamente o indirettamente, un rapporto di controllo ovvero se un soggetto controlli un altro, ne sia controllato, o siano entrambi controllati da un terzo soggetto;

• vincolo economico quando tra i soggetti interessati vi sia almeno una di queste forme di cooperazione economica: svolgimento a) di un'attività principale dello stesso genere; b) di attività complementari o interdipendenti; c) di attività che avvantaggiano uno o più dei soggetti partecipanti;

• vincolo organizzativo quando tra i partecipanti vi sia un coordinamento, in via di diritto o di fatto, fra gli organi decisionali degli stessi.

Il vincolo economico e organizzativo si presumono esistenti quando fra i soggetti sussiste un vincolo finanziario, salvo prova contraria da fornirsi tramite interpello.

 

Il nuovo istituto del Gruppo IVA differisce dal regime di liquidazione IVA di gruppo di cui all’art. 73 c. 3 del DPR 633/72, procedura opzionale di liquidazione dell’Iva delle società facenti parte di un gruppo societario (definito in base al rapporto di controllo di cui all’art. 2359 c.c.), in base alla quale versamenti periodici e conguaglio di fine anno sono effettuati dalla società controllante, la quale determina l’Iva dovuta, ovvero il credito del gruppo, tramite una compensazione interna dei crediti/debiti Iva che emergono dalle liquidazioni periodiche e dalle dichiarazioni annuali delle società appartenenti al gruppo. Le società del gruppo possono scegliere se entrare o meno nel regime consolidato Iva e in ogni caso mantengono la loro posizione IVA individuale.

La legge di bilancio 2017 ha introdotto delle  modifiche anche al regime dell’IVA di gruppo, con decorrenza già a partire dall’anno 2017.

Le norme attuative sono state poi introdotte con il DM 13.2.2017, pubblicato sulla G.U. 24.2.2017 n. 46. Le principali modifiche riguardano:

1. Ampliamento dell’ambito soggettivo: con estensione alle società di persone della possibilità di aderire alla procedura di gruppo in qualità di controllate e previsione che, ai fini dell’accesso alla liquidazione di gruppo, si considerano controllate le società di capitali e le società di persone le cui azioni o quote siano possedute per oltre il 50% dall’ente o società controllante almeno a partire dal 1° luglio dell’anno solare precedente a quello di esercizio dell’opzione (e non più a partire dal 1° gennaio di tale anno)

2. Modifica degli adempimenti formali: per la società controllante viene abrogato l’obbligo di presentare le dichiarazioni IVA annuali delle società controllate e per le società controllate viene abrogato l’obbligo di annotare, a margine della liquidazione dell’imposta eseguita nei registri IVA, il trasferimento del saldo alla società controllante.

3. Modifica della modalità di esercizio dell’opzione: l’esercizio dell’opzione per la liquidazione IVA di gruppo deve essere comunicato dalla controllante nell’ambito della dichiarazione IVA presentata nell’anno a decorrere dal quale si intende applicare il regime (e non più mediante la presentazione del modello IVA 26); per il 2017, sono ritenute valide anche le opzioni esercitate con il modello IVA 26 (comunicato stampa dell’Agenzia delle Entrate del 10.2.2017).

4. Durata dell’opzione: a partire dal 2017 l’opzione si considera valida fino a revoca, da esercitarsi secondo le stesse modalità e i medesimi termini stabiliti per la comunicazione dell’opzione (fino al 2016, l’opzione per il regime IVA di gruppo aveva effetto per il solo anno in cui era stata esercitata).

 

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Nuova rivalutazione terreni e partecipazioni sociali- profili applicativi e problemi di elusività

La Legge di Stabilità per il 2017 (art 1, comma 554 legge n. 232/2016) ha riaperto il termine per accedere alla rivalutazione dei terreni (edificabili e non) e delle partecipazioni detenute al di fuori dell’attività di impresa usufruendo del regime agevolato di cui agli articoli 5 e 7 della legge n. 448/2001, con possibilità di affrancare in tutto o in parte le plusvalenze conseguite all’atto della cessione a titolo oneroso, ex art. 67, comma 1, lettere a)-c-bis), TUIR, di terreni e partecipazioni non quotate posseduti da parte di persone fisiche, società semplici e associazioni professionali, nonché di enti non commerciali.

 

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La rivalutazione dovrà essere perfezionata entro il termine del 30 giugno 2017  mediante redazione ed asseverazione della perizia di stima da parte di un soggetto abilitato e versamento dell’imposta sostitutiva con aliquota dell’8%, con possibilità di scomputare quella versata in occasione di precedenti rivalutazioni e versamento anche in forma rateale fino ad un massimo di tre rate annuali di pari importo.

In caso di rivalutazione parziale si considerano rivalutate le partecipazioni acquistate per ultime con applicazione del metodo LIFO. 

Nel caso delle partecipazioni, la rivalutazione non può dar luogo a minusvalenze deducibili, nel senso che l’eventuale cessione ad un prezzo inferiore a quello di perizia non ha rilevanza fiscale (art. 5, L. 448/2001)

Occorre segnalare alcune posizioni critiche dell’Agenzia delle Entrate in materia di rivalutazione sia di terreni che di partecipazioni.

In relazione alla rivalutazione delle partecipazioni l’Agenzia ritiene che la rivalutazione sia valida ai soli fini dei capital gains (redditi diversi di cui all’art 67 tuir) e non anche della tassazione dei redditi di capitale di cui all’art. 47 Tuir (da riduzione del capitale, recesso, esclusione o liquidazione). 

Sulla scorta di tale posizione l’ufficio ha di recente ravvisato profili di elusività nell’utilizzo della rivalutazione nelle cosiddette operazioni di “leveraged cash out” con cui i soci di una società di capitali con consistenti riserve di utili vendono le quote oggetto di rivalutazione nella medesima ed ottengono la liquidazione del prezzo con la liquidità generata dai dividendi della stessa società partecipata; tali operazioni, secondo l’Agenzia sarebbero infatti dirette a trasformare i dividendi (soggetti a tassazione ordinaria) in redditi diversi (oggetto di affrancamento a seguito della rivalutazione).  In posizione critica rispetto alla tesi dell’Agenzia si è espressa la dottrina e la stessa giurisprudenza più recente nel caso in cui l’operazione in oggetto risulta giustificata dal punto di vista economico poiché mirata al riassetto del gruppo (CTP Vicenza n. 735/02/16) 

In senso più generale Assonime, con circolare n. 21/2016, ha chiarito che le operazioni di “leveraged cash out” possono ritenersi abusive solo in presenza delle condizioni previste dalla nuova norma sull’abuso del diritto introdotta nell’ambito dello Statuto del contribuente. 

 

Ulteriori profili critici sono emersi con riguardo alla rivalutazione dei terreni e con riferimento alle cessioni a valori inferiori a quelli di perizia. Si segnala come in passato l'Agenzia (C.M. 81/E/2002) abbia affermato che nel caso in cui il trasferimento sia effettuato ad un valore inferiore a quello rivalutato viene meno la rivalutazione con necessità di effettuare, al fine di evitare l’emersione di materia imponibile, una nuova perizia al ribasso del costo fiscale del terreno e fatta salva la facoltà di richiedere a rimborso l'imposta sostitutiva già versata con la precedente rivalutazione (R.M. 111/E/2010). Si rileva però come più recentemente (circolare 1/E/2013 del 15.02.2013) l'Agenzia ha cambiato parere evitando al contribuente l’onere di redigere, in ogni caso, una nuova perizia, salvo indicare nell’atto di cessione il valore periziato ancorché il prezzo concordato di cessione del terreno risulti inferiore. Per effetto di detta indicazione la rivalutazione mantiene efficacia con la conseguenza che, ai fini delle imposte dirette, non si origina materia imponibile;  di contro però l’Agenzia ha precisato che il valore così rivalutato assume rilievo ai fini delle imposte di registro ed ipocatastali. 

 

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Trust autodichiarato e imposte indirette in misura fissa

Si segnala la recente sentenza n. 21614 del 26.10.2016 della Corte di Cassazione in materia di Trust secondo la quale il trasferimento di beni in un Trust autodichiarato non determina l’applicazione dell’imposta di donazione e le imposte di registro ed ipotecarie e catastali sono dovute in misura fissa; la tassazione in misura proporzionale è rinviata al momento in cui si realizzi un reale trasferimento di beni dal trust ai beneficiari effettivi. 

 

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Come noto, il trust si sostanzia in un rapporto giuridico fondato sul rapporto di fiducia tra disponente (settlor o grantor), che trasferisce, per atto inter vivos o mortis causa, taluni beni o diritti e il trustee il quale li amministra, con i diritti e i poteri di un vero e proprio proprietario, nell’interesse del beneficiario o per uno scopo prestabilito. 

In particolare per trust autodichiarato si intende quello in cui è lo stesso disponente ad essere designato quale trustee; in tal caso il vincolo di destinazione sui beni si forma all’interno dello stesso patrimonio del disponente.

La posizione dell’Agenzia delle entrate (circ 48/2007 e circ 3/2008) sulla tassazione indiretta dei trust è ferma nel ritenere che il conferimento di beni nel trust vada assoggettato all’imposta sulle successioni e donazioni in misura proporzionale, sia esso disposto mediante testamento o per atto inter vivos; ciò in quanto, secondo le disposizioni stabilite all’art. 2, commi da 47 a 49, del DL n. 262/2006, la costituzione dei vincoli di destinazione è soggetta all’imposta sulle successioni e donazioni. 

La recente sentenza della Cassazione qui esaminata, che affronta in particolare il caso del trust autodichiarato,  si contrappone alla posizione dell’Agenzia delle entrate aderendo, invece, ad un orientamento della giurisprudenza di merito e di una precedente sentenza di legittimità (Cassazione, sez. trib. n. 25478 del 18.12.2015).

In particolare la Corte parte dall’assunto che l’istituzione di un trust cosiddetto autodichiarato con conferimento di immobili e partecipazioni sociali, con durata predeterminata o fino alla morte del disponente-trustee, va inquadrata nella fattispecie delle liberalità indirette, dato che “per suo mezzo il disponente provvederà a beneficiare i suoi discendenti non direttamente e bensì a mezzo del trustee in esecuzione di un diverso programma negoziale…la costituzione del trust come è normale che avvenga per i vincoli di destinazione, produce soltanto efficacia segregante i beni eventualmente in esso conferiti e questo sia perché degli stessi il trustee non è proprietario bensì amministratore e sia perché i ridetti beni non possono che essere trasferiti ai beneficiari in esecuzione del programma negoziale stabilito per la donazione indiretta”.

Pertanto ad avviso della Corte la costituzione di beni immobili in trust deve scontare l’imposta ipotecaria e quella catastale in misura fissa, in quanto la tassazione proporzionale sarà dovuta solo quando il trasferimento sarà effettivamente realizzato, ovvero quando i beni verranno trasferiti ai beneficiari designati.

Ed inoltre, la citata sentenza della Cassazione, superando un precedente orientamento giurisprudenziale (si vedano precedenti sentenze Cass. 4482/2016, 3735, 3737 e 3886 del 2015) esclude altresì che alla costituzione del trust si renda applicabile l’imposta di successione e donazione.

 

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Le novità del Decreto fiscale 193-2016 

Il 24 ottobre è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 249 il Decreto Fiscale collegato alla manovra di bilancio 2017, D.L. n. 193 del 22 ottobre 2016. Il Decreto è immediatamente esecutivo anche se potrà subire delle modifiche in sede di conversione in legge e contiene una serie di misure che entreranno in vigore per lo più a partire dal 2017: dalla soppressione di Equitalia con l’introduzione di un nuovo ente di riscossione, sino alla nuova edizione della voluntary disclosure, con rilevanti novità in materia di IVA e di dichiarazione integrativa..

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Le principali novità introdotte dal Decreto fiscale riguardano, in sintesi:

 Soppressione Equitalia che a partire dal 1° luglio 2017 cesserà ogni attività e verrà sostituita nell’attività di riscossione da un ente pubblico denominato “Agenzia delle Entrate-Riscossione”, sottoposto all’indirizzo e alla vigilanza del Ministro dell’Economia e delle finanze e al controllo dell’Agenzia delle Entrate;

 Definizione agevolata delle cartelle di pagamento, finalizzata allo smaltimento dei ruoli pendenti relativi agli anni dal 2000 al 2015, con possibilità di estinguere il debito senza corrispondere le sanzioni e gli interessi di mora ma versando soltanto le somme dovute a titolo di capitale e interessi, oltre gli aggi di riscossione maturati e le spese da rimborsare per le procedure esecutive e la notifica della cartella di pagamento.

 Riapertura della procedura di Voluntary Disclosure con nuovo termine di presentazione al 31 luglio 2017, con le stesse regole previste per la voluntary dello scorso anno e possibilità di regolarizzare le violazioni commesse fino al 30 settembre 2016;

 Introduzione obbligo di trasmissione dei dati IVA trimestrali, in luogo dell’attuale spesometro annuale, con invio con cadenza trimestrale di una comunicazione dei dati delle fatture emesse e ricevute (art. 21, D.L. n. 78/2010) e di una comunicazione dei dati delle liquidazioni periodiche IVA (nuovo art. 21, D.L. n. 78/2010).

 Semplificazione di alcuni adempimenti fiscali: 

- abolizione dal 1° gennaio 2017 degli elenchi Intrastat degli acquisti di beni e delle prestazioni di servizi ricevute e delle le comunicazioni dei dati dei contratti stipulati dalle società di leasing, 

- soppressione a partire dall’anno d’imposta in corso al 31 dicembre 2017, della comunicazione delle operazioni con Paesi in black list;

- differimento, a decorrere dal 2017, del termine di trasmissione della dichiarazione annuale Iva che viene fissato tra il 1° febbraio e il 30 aprile (resta invariato il termine per la dichiarazione 2016, da presentare entro febbraio 2017)

- novità per gli obblighi formali relativi all’estrazione delle merci dai depositi Iva, a decorrere dal 1° aprile 2017 (viene infatti riscritto il comma 6 dell’articolo 50-bis del Dl 331/1993)

 Dilazione della scadenza per la dichiarazione dei redditi integrativa fino al quinto anno successivo (e non più fino alla scadenza delle dichiarazione successiva), con possibilità di utilizzare in compensazione l’eventuale credito.

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Rottamazione dei ruoli 

L’articolo 6 del Decreto Fiscale collegato alla manovra di bilancio 2017, D.L. n. 193 del 22 ottobre 2016, in GU del 24 ottobre prevede una nuova procedura di definizione agevolata delle cartelle Equitalia, finalizzata allo smaltimento dei ruoli pendenti.

 

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La nuova procedura di rottamazione dei ruoli consente di definire le cartelle esattoriali affidate agli agenti della riscossione negli anni dal 2000 al 2015, relative a imposte dirette (IRPEF, IRES, IRAP), IVA (esclusa quella all’importazione), dazi, contributi previdenziali (compresi quelli delle Casse private) e assistenziali, i tributi locali e le multe stradali.

Per definire i ruoli è richiesto il versamento  dell’intera imposta evasa (o importo dell’infrazione) a titolo di capitale e interessi, oltre agli aggi di riscossione maturati e le spese da rimborsare per procedure esecutive diritti di notifica ma con stralcio totale degli interessi di mora e delle sanzioni.

Possono aderire procedura anche i contribuenti che hanno in corso la rateizzazione dei ruoli purché siano in regola con le rate in scadenza  fra il 1° ottobre e il 31 dicembre 2016. In tal caso, non è prevista la restituzione degli eventuali maggiori importi già versati nell’ambito del piano di rateazione, rispetto agli sconti previsti dalla rottamazione; qualora il contribuente, con i pagamenti rateali, abbia già raggiunto l’importo che risulta dalla definizione agevolata, per beneficiarne è comunque tenuto a presentare domanda di definizione agevolata a Equitalia. 

Per aderire occorrerà inviare una comunicazione a Equitalia entro il 22 gennaio 2017 utilizzando lo specifico modulo di richiesta che sarà disponibile entro il prossimo 7 novembre. Equitalia calcolerà l’importo dovuto e provvederà ad inviare comunicazione con allegati i bollettini arriverà al debitore entro 180 giorni dalla entrata in vigore del decreto.

Il pagamento può essere effettuato in un’unica soluzione o eventualmente ratealmente fino ad un massimo di quattro rate (le prime due rate pari a un terzo, terza e la quarta, che non può superare il 15 marzo 2018, pari a un sesto delle somme dovute). 

Nel corso della procedura sono sospesi i termini di prescrizione e decadenza per il recupero delle somme dovute, è ogni azione esecutiva e sono interrotte eventuali procedure di recupero coattivo già avviate. 

In caso di mancato pagamento anche di una sola rata, la procedura agevolata non produce effetti e riprendono a decorrere i termini di prescrizione e nel caso in cui siano stati effettuati versamenti, questi rappresenteranno un acconto del residuo importo a debito con il Fisco.

 

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Holding e Leveraged Cash Out

Nella recente circolare n. 21 del 4 agosto 2016, Assonime ha affrontato, anche alla luce della nuova disciplina in tema di abuso del diritto contenuta nel nuovo articolo 10-bis della legge n. 212/2000, il tema della liceità della costituzione di holding e relativo Leverage Cash Out in favore dei soci persone fisiche. 

 

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La Circolare Assonime n. 21/2016, illustra la disciplina in tema di abuso del diritto contenuta nel nuovo articolo 10-bis della legge n. 212/2000 introdotto dal D.Lgs. n. 128 del 2015 in attuazione della legge delega di riforma del sistema tributario, disposizione che ha sostituito la precedente norma antielusiva contenuta nell’art. 37bis DPR 633/72 (cfr news 14/2015 e 14/2016).

Assonime si sofferma ad esaminare alcune operazioni oggetto di analisi da parte dell’Agenzia delle Entrate sotto il profilo della potenziale elusività, tra cui la costituzione di holding da parte di persone fisiche e, quindi, la cessione da parte delle stesse delle partecipazioni detenute. 

Nella prassi professionale si definisce “leveraged cash out” l’operazione con cui i soci di una società di capitali con consistenti riserve di utili vendono le quote oggetto di rivalutazione nella medesima ed ottengono la liquidazione del prezzo con la liquidità generata dai dividendi della stessa società partecipata. L’Agenzia in passato ha contestato la legittimità di tali operazioni in quanto dirette a trasformare i dividendi (con tassazione ordinaria in redditi diversi (oggetto di affrancamento a seguito della rivalutazione).

Assonime, nel ricordare il citato orientamento dell’Agenzia delle Entrate, affronta la questione della legittimità di tali operazioni alla luce della norma sull’abuso del diritto e dei criteri di applicazione di tale norma fissati da ultimo dalla stessa Cassazione con sentenza n. 25758 del 05.12.2014; la Corte ha ribadito lo schema logico per verificare nel caso concreto la violazione della norma antielusiva, basato sull’indagine dell’esistenza dei tre requisiti costitutivi dell’abuso: 1) vantaggio tributario indebito, 2) mancanza dei sostanza economica, 3 ) essenzialità delle ragioni fiscali.

In base all’applicazione di tale metodo, secondo Assonime, le operazioni di “leveraged cash out” possono ritenersi abusive solo in caso di difetto di sostanza economica dell’operazione, quando ad esempio, pur a seguito della cessione alla holding delle partecipazioni nella società che ha prodotto gli utili, i soci conservano di fatto la stessa partecipazione nella società operativa, seppure in via indiretta.

Per contro, può affermarsi, come già sostenuto da numerosi autori (Primo Ceppellini in Sole 24 ore del 22 gennaio 2015), che tali operazioni possano essere considerate non elusive quando il vantaggio fiscale non risulti essenziale ed esclusivo, ma l’operazione, così strutturata, consenta di raggiungere finalità economico-aziendali rilevanti, quali il cambio del controllo societario (anche nell’ambito del passaggio generazionale) e/o la ridefinizione della struttura funzionale ed organizzativa del gruppo. 

 

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Nuovo orientamento in tema di liberalità indirette 

La recente sentenza n. 13133 del 24.6.2016 la Corte di Cassazione fornisce l’occasione per fare il punto in tema di liberalità indirette. La Suprema Corte interviene per porre dei limiti all'ambito di applicazione della disposizione agevolativa di cui all'art. 1 comma 4-bis del DLgs. 346/90, secondo cui l'imposta di donazione non si applica nei casi di liberalità indirette collegate ad atti di trasferimento di immobili soggetti ad IVA o all'imposta di registro proporzionale, affermando che tale esenzione trova applicazione solo a condizione che nell'atto di trasferimento sia esplicitato il "collegamento" con la liberalità indiretta. Tale orientamento giurisprudenziale non ha precedenti sia in giurisprudenza che nella prassi amministrativa.

 

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Come noto, per “donazione o liberalità indiretta”, come evidenziato nello Studio del Notariato n. 135/2011, si intende il trasferimento informale di somme, privo di matrice solutoria o di finanziamento, che si perfeziona tutte le volte che viene trasferito denaro in contanti o a mezzo intermediari finanziari con bonifico, giroconto, assegni circolari, vaglia postali ecc.. Si ha dunque liberalità indiretta in tutti quei casi in cui si verifica un arricchimento del beneficiario in correlazione ad un connesso “impoverimento” del disponente senza che sia stipulata una donazione “formale”, vale a dire il contratto per atto pubblico in presenza di due testimoni. Le liberalità indirette sono frequenti in ambito familiare ad esempio nel caso in cui il figlio paga l’acquisto della casa con denaro messo a disposizione dal padre.

In tutte le ipotesi in cui si configura una liberalità indiretta, sorge il problema della tassabilità della stessa ai fini dell’imposta sulle donazioni . Si ricorda che la disposizione di cui all’art.56-bis del D.Lgs. 346/1990 prevede due casi di tassabilità: 1) la registrazione volontaria da parte del contribuente oppure 2) l’accertamento della liberalità indiretta. Quest’ultimo si verifica alla presenza congiunta delle seguenti due condizioni:

• quando l’esistenza delle liberalità risulti da dichiarazioni rese dall’interessato nell’ambito di procedimenti diretti all’accertamento di tributi;

• quando le liberalità abbiano determinato, da sole o unitamente a quelle già effettuate nei confronti del medesimo beneficiario, un incremento patrimoniale superiore alle franchigie esistenti (€ 1.000.000 per coniuge e parenti in linea retta, € 1.500.000 per minori e portatori di handicap, € 100.000 per fratelli e sorelle); nei casi in cui la norma vigente non prevede franchigie l’imposta si applica a prescindere dall’importo della donazione.

 

Per le fattispecie di liberalità imponibili ai sensi dell’art.56-bis, comma 1, si applica l’aliquota dell’8%, che costituisce oggi la percentuale massima prevista dalla legge (circolare n.30/E dell’11.08.2015).

Alla disposizione di cui sopra si affianca tuttavia l’art. 1, comma 4-bis, del D.Lgs. n. 346/1990 che stabilisce che “ferma restando l’applicazione dell’imposta anche alle liberalità indirette risultanti da atti soggetti a registrazione, l’imposta non si applica nei casi di donazioni o di altre liberalità collegate ad atti concernenti il trasferimento o la costituzione di diritti immobiliari ovvero il trasferimento di aziende, qualora per l’atto sia prevista l’applicazione dell’imposta di registro, in misura proporzionale, o dell’imposta sul valore aggiunto”.

In sostanza, l’imposta di donazione non è dovuta se il trasferimento di liquidità è collegato all’acquisto di un immobile o una azienda soggetti ad imposta di registro o Iva.

La Cassazione con la recente sentenza affronta il problema se per l’esenzione in oggetto serva una dichiarazione in atto da parte del soggetto che eroga i fondi o dell’acquirente dell’immobile o se sia sufficiente un bonifico a ridosso dell’acquisto, arrivando a sostenere che, secondo i principi generali, al fine di far valere una disposizione agevolativa e, quindi nel caso di specie, l’esenzione dall’imposta di donazione di cui all’art. 1, comma 4-bis, del D.Lgs. n. 346/1990, è necessario che il contribuente ne faccia espressa menzione in atto.

Si segnala al riguardo come secondo l’orientamento dottrinale prevalente tale affermazione non troverebbe riscontro nel testo normativo che semplicemente richiede un collegamento tra i due atti (oneroso e gratuito) senza richiedere che tale collegamento venga necessariamente dichiarato in atto come avviene ad esempio per l’agevolazione “prima casa”.

 

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Share deal non abusivo ai fini dell’Imposta di Registro

Alla luce delle nuove norme sull’abuso del diritto di cui all’art. 10bis dello Statuto del contribuente, si registrano le prime decisioni giurisprudenziali che, finalmente, capovolgono il consolidato orientamento secondo cui il conferimento di azienda, seguito dalla successiva cessione della partecipazione , deve essere qualificato ai fini delle imposte d’atto (registro) come trasferimento d’azienda in base al disposto della norma antielusiva in materia di imposta di registro di cui all’art. 20 DPR 131/1986.

 

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Come evidenziato nella newsletter  n. 14/2016 secondo un orientamento della Cassazione (si veda per tutte la recente sentenza n. 8542 del 29.04.2016) le operazioni cosiddette di share deal, consistenti nel conferimento d’ azienda a cui fa seguito la cessione delle partecipazioni nella società conferitaria, sono considerate elusive sotto il profilo delle imposte indirette, in base alla previsione speciale antielusiva di cui all’art. 20 DPR 131/1986 e, conseguentemente, riqualificate come cessione d’azienda.

Recentemente si sono finalmente espressi in senso opposto i giudici di merito (C.T.P. Reggio Emilia n. 228/1/16 del 14.07.2016), per i quali, invece, il conferimento di ramo di azienda con successiva cessione delle partecipazioni non può essere ritenuto elusivo ai fini dell'imposta di registro, e quindi riqualificato come cessione di ramo di aziendaSecondo i giudici di Reggio Emilia nelle operazioni di share deal, non può rinvenirsi un'ipotesi di abuso del diritto, in quanto la nuova norma sull'abuso del diritto, introdotta dal D. Lgs 128/2015 e contenuta nell'art. 10-bis della L. 212/2000, ha valenza generale nel nostro ordinamento e si applica, quindi, anche alle imposte d’atto. L'abuso/elusione si configura come vicenda di tipo residuale, rendendo per il contribuente pienamente legittima la scelta della soluzione operativa meno onerosa. 

Alla luce di tali considerazioni, le operazioni di share deal, che il nostro legislatore ha definito legittime sotto il profilo delle imposte dirette, ai sensi del comma 3 dell’art. 176 del Tuir (che prevede espressamente la disapplicazione delle norma antielusiva di cui all’art. 37 bis DPR 600/73) vanno dunque considerate tale anche ai fini delle imposte indirette; una diversa soluzione porterebbe alla conseguenza illogica di ritenere che la medesima operazione debba considerarsi elusiva ai fini dell’imposta di registro e non elusiva ai fini delle imposte dirette.

Infine, secondo la sentenza in commento, la norma di cui all'art. 20 del DPR 131/86, che stabilisce che l’imposta di registro è applicata secondo l’intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponde il titolo o la forma apparente, va interpretata non come norma antiabusiva, bensì come norma con funzione esclusivamente interpretativa del singolo atto portato alla registrazione, al fine di individuare l’esatta natura giuridica dell’atto.

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Ampia deducibilità degli interessi passivi anche per i centri commerciali

 

La costante giurisprudenza di merito interpreta estensivamente l’applicabilità delle disposizioni in materia di deducibilità degli interessi passivi per le società di gestione immobiliare introdotte dalla Legge finanziaria 2008 e poi recentemente modificate dal Decreto internazionalizzazione (art 4 Dlgs 147/2015), intervenendo sui contenziosi relativi a quelle società immobiliari che, oltre alla mera locazione delle proprietà immobiliari, forniscono servizi integrati relativi ai medesimi immobili locati, quali, ad esempio, servizi di pulizia, di gestione dei parcheggi e delle aree comuni, come succede per le società che detengono centri commerciali o complessi immobiliari locati a terzi.

 

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Si ricorda che, al fine di incentivare il settore immobiliare italiano, con Legge finanziaria 2008 (articolo 1, comma 36, Legge 244/2007) è stata introdotta l’integrale deducibilità degli interessi passivi corrisposti da società immobiliari su finanziamenti garantiti da ipoteca su immobili destinati alla locazione, in deroga all’ordinario regime di deducibilità limitata in base al ROL, previsto dall’articolo 96 Tuir.

La disposizione agevolativa si applica alle società che svolgono, in via effettiva e prevalente, attività immobiliare. Sulla definizione di tali società sono sorte questioni interpretative, in quanto l’Agenzia delle Entrate ha adottato un’interpretazione restrittiva della disposizione, delimitandone l’applicazione alle sole società immobiliari “di gestione”, ovvero alle società immobiliari la cui attività “consiste principalmente nella mera utilizzazione passiva degli immobili cd. “patrimonio” e strumentali per natura o comunque non utilizzati direttamente” nell’esercizio dell’impresa. (circolare 37/E/2008). Di seguito, la stessa Agenzia, con la circolare 7/E del 2013, ha escluso dal novero delle immobiliari di gestione le società che, oltre all’attività di mera locazione/affitto di immobili, esercitano altre attività seppur secondarie ed accessorie a quella immobiliare (gestione di centri commerciali, villaggi turistici, ecc) fornendo servizi integrati ai propri locatari in misura tale “da rendere l’attività di locazione o di affitto non più preminente in quanto inserita in una più ampia attività di prestazione di servizi”.

Recentemente, il legislatore è dunque nuovamente intervenuto, in via interpretativa, a superare questo contrasto, con il Decreto internazionalizzazione (art. 4, comma 4 D Lgs n 147 del 14.09.2015 in GU n 220 del 22.09.2015), in vigore dal 7 ottobre 2015, che ha introdotto delle modifiche alla disciplina fiscale degli interessi passivi (art.96 TUIR) e, in particolare, ha chiarito il campo di applicazione della norma di cui sopra prevedendo che gli interessi passivi relativi a finanziamenti garantiti da ipoteca su immobili destinati alla locazione non rilevano ai fini dell'art.96 TUIR per le società che svolgono in via effettiva e prevalente attività immobiliare, intese tali le società che soddisfano due requisiti: 1) valore dell'attivo patrimoniale prevalentemente costituito dal valore normale degli immobili destinati alla locazione; 2) valore dei ricavi costituito per 2/3 da canoni di locazione o affitto di aziende.

L’Agenzia delle Entrate, per le controversie anteriori all’entrata in vigore del decreto internazionalizzazione, ha continuato a negare la deducibilità degli interessi alle società non di gestione pura. 

A tale condotta degli uffici si contrappongono tuttavia le decisioni dei giudici di merito che, facendo di fatto valere la portata interpretativa delle disposizioni introdotte con il decreto internazionalizzazione, adottano un’interpretazione estensiva della norma (di recente Ctr Lombardia sentenza n. 3520/02/16 e Ctp Milano, n. 3664/03/2015 e in passato Ctp Milano 212/08/2013, 6051/16/2014 e 2543/47/2016; Ctp Brescia 637/15/2014 ). 

In particolare secondo i giudici la deducibilità spetta ogniqualvolta i servizi accessori resi in favore dei locatari/affittuari non siano di rilevanza quantitativa e qualitativa tale da trasformare il contratto di locazione/affitto in un contratto di servizi integrati e, dunque in tutte le ipotesi in cui i ricavi da servizi avevano un’incidenza solo marginale rispetto ai canoni di locazione/affitto e la società locatrice risultava sprovvista di personale (amministratori o dipendenti) dedicato all’erogazione diretta o al coordinamento (in caso di affidamento in outsourcing) dei servizi integrati.

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Modelli organizzativi 231 - Linee Guida dei dottori commercialisti

 

 

Il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili in collaborazione con la Fondazione Nazionale dei Commercialisti ha approvato il documento n. 82 del 6.7.2016 "Principi di redazione dei modelli di organizzazione, gestione e controllo ex DLgs. 231/2001".

 

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Come noto, il Decreto legislativo 231/2007 ha introdotto un regime di responsabilità a carico delle società/enti per la commissione di una serie di reati specifici, da parte di soggetti apicali o propri dipendenti, con conseguenze rilevanti anche sugli stessi enti, soggetti a pesanti sanzioni amministrative pecuniarie e addirittura interdittive.

L’ente non risponde, tuttavia, se dimostra di aver rispettato le condizioni poste dalla legge e, in particolare, di aver adottato ed efficacemente attuato un modello organizzativo “idoneo” a prevenire la commissione di reati della stessa specie di quello verificatosi.

Pur in assenza di un vero obbligo normativo, dunque, l’adozione di modelli organizzativi 231 rappresenta una scelta indispensabile per offrire garanzie di trasparenza e affidabilità ai differenti stakeholders nazionali ed internazionali.

Le Linee Guida emanate dal CNDCEC contengono i principi per la costruzione dei Modelli di organizzazione, gestione e controllo ex D Lgs 231/2001 e forniscono un utile strumento operativo e metodologico per tutti quei soggetti quali consulenti, componenti di collegi sindacali e di organismi di vigilanza, chiamati alla redazione dei Modelli 231 o a valutarne l’idoneità in sede giudiziaria.

 

 

Si allega il documento CNDCEC n. 82 del 6.7.2016 "Principi di redazione dei modelli di organizzazione, gestione e controllo ex DLgs. 231/2001"

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Ravvedimento operoso ammesso per regolarizzare il PVC

La Legge di Stabilità 2015 (Legge n. 190 del 23.12.2014 (in GU n. 300, del 29 dicembre 2014), ha ampliato l’ambito di applicazione dell’istituto del ravvedimento operoso di cui all’art. 13, co. 1, del D.Lgs. n. 472/1997, introducendo la possibilità di regolarizzare omissioni o errori in materia di tributi amministrati dall’Agenzia delle Entrate anche se sono già stati formalizzati in un processo verbale di constatazione.

 

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Dal 1° gennaio 2015 e per i soli tributi di competenza dell’Agenzia delle Entrate, è possibile utilizzare il ravvedimento anche qualora la violazione sia già stata constatata e comunque siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento delle quali il contribuente o i soggetti solidalmente obbligati abbiano avuto formale conoscenza. Il ravvedimento resta precluso nella sola ipotesi di notifica degli atti di liquidazione e accertamento nonché delle comunicazioni a seguito dei controlli ex artt. 36-bis e 36-ter, DPR n. 600/73 e 54-bis, DPR n. 633/72.

E’ quindi possibile ricorrere al ravvedimento operoso nel caso di una verifica da parte di funzionari dell’Agenzia delle Entrate o della Guardia di Finanza, che, a seguito delle irregolarità riscontrate, emettono apposito processo verbale di constatazione che viene poi inoltrato all’Agenzia delle Entrate per l’avvio del procedimento accertativo. 

Inoltre, con decorrenza dal 1° gennaio 2016 l’istituto dell’adesione al p.v.c. è soppresso (comma 637, lettera c), punti 1, 2 e 3, dell’art.1 della legge n.190 del 2014).

Fino al 31 dicembre 2015, in caso di P.vc., il contribuente poteva:

• aderire al processo verbale di constatazione, ai sensi dell’art. 5-bis del D.Lgs n. 218/1997, beneficiando della riduzione delle sanzioni nella misura pari a 1/6 del minimo;

• l'adesione doveva essere prestata entro i 30 giorni successivi alla data della consegna del verbale medesimo, mediante apposita comunicazione, dando così origine ad un procedimento che si concludeva con la successiva notifica dell'atto di definizione dell'accertamento parziale.

Ora trova applicazione l’istituto del ravvedimento di cui al comma 1, lett. b-quater dell’art. 13 che, tuttavia, presenta delle differenze sostanziali rispetto al precedente Istituto.

• l’adesione al p.v.c. doveva essere effettuata sull’intero contenuto del processo verbale; viceversa ora il ravvedimento può essere fatto anche solo con riferimento a alcune delle violazioni inserite nel p.v.c., ferma restando, per la rimanente parte del verbale, la possibilità di ricorrere ad altri istituti quali: l’acquiescenza, la presentazione dell’istanza di accertamento con adesione, ovvero il ricorso in Commissione Tributaria;

• l’adesione al p.v.c. permetteva  una riduzione sanzionatoria più consistente pari ad 1/6 del minimo edittale,  rispetto a quella prevista con il ravvedimento ex lett. b-quater pari a 1/5 del minimo edittale;

• l’adesione al p.v.c. comportava la formalizzazione di un atto per il quale si rendevano applicabili le regole previste dall’art. 8 del D.Lgs n. 218/1997, tra cui la possibilità di rateizzare l’importo dovuto, con applicazione degli interessi al tasso legale per le rate successive alla prima;  tale possibilità non è più consentita in caso di ricorso al ravvedimento operoso;

• l’adesione al p.v.c. consentiva di accedere al cumulo giuridico (ovvero l’irrogazione di una sanzione unica rapportata alla violazione più grave prevista per ciascun tributo, aumentata del 25%), al posto del cumulo materiale (somma delle singole sanzioni) se più favorevole per il contribuente; nel caso del ravvedimento, invece, deve essere regolarizzata ogni violazione commessa con  il versamento quindi di una sanzione per ciascun  adempimento omesso o irregolare.

La Circolare n. 6/E del 19/02/2015 dell’Agenzia delle Entrate ha inoltre precisato che, in caso di ricorso al ravvedimento a seguito di P.v.c., sarà onere del contribuente comunicare all’ufficio accertatore i rilievi che si intende regolarizzare con tale istituto.

In ogni caso, si segnala, che il ricorso al ravvedimento è precluso in caso di constatazione di una serie di violazioni ritenute più gravi, quali:

- mancata emissione di ricevute fiscali, scontrini fiscali o documenti di trasporto ovvero emissione di tali documenti per importi inferiori a quelli reali; la sanzione prevista è  pari al 100% dell’imposta corrispondente all’importo non documentato;

- omesse annotazioni sull’apposito registro dei corrispettivi previsto in caso di mancato o irregolare funzionamento degli apparecchi misuratori fiscali (il cd. “registro di emergenza”); anche in questo caso è prevista una sanzione pari al 100% dell’imposta corrispondente all’importo non documentato;

- mancata tempestiva richiesta di intervento per la manutenzione del misuratore fiscale, punita, se non constano omesse annotazioni, con sanzione amministrativa da euro 250 a euro 2.000;

- omessa installazione degli apparecchi per l'emissione dello scontrino fiscale, punita con sanzione amministrativa da euro 1.000 a euro 4.000.

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Bozza OIC 21- Nuovi principi per la contabilizzazione dei dividendi nelle holding

La bozza del nuovo documento OIC 21 (Partecipazioni), pubblicata lo scorso 13 giugno 2016 e attualmente in consultazione, interviene a modificare il trattamento contabile dei dividendi nelle holding alla luce delle novità introdotte dal cosiddetto Decreto Bilanci DLgs. 139/2015, in vigore dal 1° gennaio 2016. 

 

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Come noto, sino ad ora, secondo i principi contabili i dividendi dovevano essere rilevati secondo il principio di competenza economica nell’esercizio in cui, a seguito della delibera dei soci della partecipata di distribuire l’utile o le riserve, sorge il diritto alla riscossione in capo alla società partecipante. L’OIC 21 prevedeva due eccezioni a tale regola generale stabilendo per le holding, con riguardo ai dividendi derivanti dalle proprie controllate, la possibilità di anticiparne la contabilizzazione all’esercizio di maturazione rispetto a quello in cui ne viene deliberata la distribuzione, purché il bilancio della controllata fosse approvato dall’organo amministrativo anteriormente alla data di approvazione del progetto di bilancio della controllante, da parte da parte del proprio organo amministrativo.  Ed inoltre, era prevista per le società controllanti con pieno dominio sull’assemblea della controllata, la possibilità di anticipare la rilevazione del dividendo all’esercizio di maturazione sulla base della mera proposta di distribuzione deliberata dagli amministratori della controllata, purché questa fosse antecedente alla delibera degli amministratori della controllante di approvazione del progetto di bilancio. 

L’iscrizione dei dividendi secondo il descritto principio di competenza, comporta come conseguenza sul bilancio d’esercizio, l’obbligo di rilevare le imposte differite sulla quota di dividendo assoggettato a tassazione secondo il principio di cassa, da annullarsi poi nell’esercizio di incasso e tassazione effettiva del dividendo.

In base alla bozza del nuovo OIC 21, viene dunque elimina la possibilità di rilevazione anticipata dei dividendi da società controllate già nell’esercizio di maturazione così come la possibilità, per le società controllanti con pieno dominio sull’assemblea della controllata, di anticipare la rilevazione del dividendo sulla base della proposta di distribuzione deliberata dagli amministratori della controllata. In conseguenza di tale modifica, pertanto, la controllante potrà rilevare i dividendi solo nello stesso esercizio in cui sorge il relativo debito per la controllata.

Il nuovo principio contabile troverà applicazione, una volta concluso l’iter di aggiornamento, ai bilanci con esercizio avente inizio a partire dal 1° gennaio 2016 o da data successiva e, pertanto, per i bilanci chiusi al 31.12.2015 rimane la possibilità di applicare le deroghe previste dall’ancora vigente OIC 21. 

 

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Entro il 30 giugno è possibile rivalutazione terreni e partecipazioni sociali

Scade il 30 giugno prossimo il termine per accedere alla rivalutazione dei terreni (edificabili e non) e delle partecipazioni detenute al di fuori dell’attività di impresa usufruendo del regime agevolato di cui agli articoli 5 e 7 della legge n. 448/2001, termine così riaperto dalla Legge di Stabilità per il 2016 (legge n. 208 del 28.12.2015). La norma agevolativa ha ormai assunto carattere sistemico essendo interessata a regolari riedizioni, l’ultima ad opera della precedente Legge Stabilità 2015 (si rimanda alla news n. 1/2015). Rispetto alle precedenti riaperture dei termini, il costo di adesione è più oneroso essendo prevista una imposta sostitutiva con aliquota unica dell’8% per tutte le ipotesi di affrancamento. 

 

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Entro il termine del 30 giugno 2016 è ancora possibile affrancare in tutto o in parte le plusvalenze conseguite all’atto della cessione a titolo oneroso, ex art. 67, comma 1, lettere a)-c-bis), TUIR, di 

• terreni edificabili e agricoli posseduti a titolo di proprietà, usufrutto, superficie ed enfiteusi;

• partecipazioni non quotate in mercati regolamentati, possedute a titolo di proprietà e usufrutto;

posseduti alla data dell’1.1.2016, non in regime di impresa, da parte di persone fisiche, società semplici e associazioni professionali, nonché di enti non commerciali.

La rivalutazione dovrà essere perfezionata mediante redazione ed all’asseverazione della perizia di stima da parte di un soggetto abilitato e versamento dell’imposta sostitutiva calcolata applicando al valore del terreno/ partecipazione risultante dalla perizia l’aliquota dell’8% per tutte le fattispecie di rivalutazione (anche quindi per le partecipazioni non qualificate nel 2015 affrancabili al 4% e negli anni precedenti al 2%). Si ricorda che dall’imposta dovuta può essere scomputata quella versata in occasione di precedenti rivalutazioni e che il versamento va effettuato in un’unica soluzione entro il 30 giugno 2016 oppure in forma rateale fino ad un massimo di tre rate annuali di pari importo.

Per valutare la convenienza dell’affrancamento occorre considerare che, in caso di tassazione ordinaria:

• per le partecipazioni qualificate il reddito imponibile da tassare è pari al 49,72% della plusvalenza realizzata e, questo reddito, sommato a tutti gli altri redditi del soggetto, diventa imponibile seguendo le aliquote ordinarie;

• per le partecipazioni non qualificate la tassazione è pari al 26% della plusvalenza realizzata, senza considerare gli altri redditi del soggetto.

• per i terreni la tassazione delle plusvalenze avviene in base alle aliquote progressive Irpef.

 

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Assegnazione di beni ai soci: ecco i chiarimenti dell’Agenzia

Con la recente circolare n. 26/E del 1° giugno 2016 l’Agenzia delle entrate ha fornito gli attesi chiarimenti sui regimi agevolati di assegnazione e cessione di beni ai soci, di trasformazione in società semplice e di estromissione dell'immobile strumentale dell'imprenditore individuale introdotti dalla Legge di Stabilità 2016 dall'art. 1 co. 115-121 della L. 208/2015.

 

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Di seguito si richiamano i principali chiarimenti forniti nonché le lacune ancora presenti nella normativa in oggetto. . 

A tale ultimo proposito, infatti, si rileva subito  che la circolare non ha fornito alcuna esemplificazione circa la questione relativa agli effetti in capo ai soci dell’annullamento delle riserve in sospensione d’imposta, come le riserve di rivalutazione.  Su tale argomento ad oggi si possono richiamare numerose interpretazioni dottrinali che escludono che una volta assolta l’imposta sostitutiva prevista nella misura del 13% occorra nuovamente tassare i soci; tuttavia, data vasta platea di operatori interessanti a tale casistica, sarebbe auspicabile un chiarimento in tal senso anche da parte dell’Agenza delle Entrate. 

La circolare in oggetto, inoltre, precisa il concetto di assegnazione che si realizza quando “la società procede, nei confronti dei soci, alla distribuzione di capitale o di riserve di capitale ovvero alla distribuzione di utili o di riserve di utili mediante l’attribuzione di un bene ... anche nei casi di rec3esso, riduzione del capitale esuberante o di liquidazione previsti dall’art. 47 comma 7 Tuir”.

In relazione ai beni agevolabili, la circolare conferma la possibilità di mutare destinazione ai beni anche in prossimità dell'assegnazione o della cessione al fine di beneficiare delle agevolazioni. Nel caso di società in liquidazione tutti gli immobili possono rientrate nell’assegnazione agevolata.

Viene inoltre chiarito che non possono essere oggetto di assegnazione le quote di partecipazione in società e i singoli diritti reali sugli immobili come l’usufrutto, la nuda proprietà o diritti edificatori.

Sotto il profilo degli effetti viene chiarito che la condizione di efficacia dell'assegnazione va individuata nella indicazione dei valori e della correlata imposta sostitutiva nel modello UNICO (e non, quindi, nel versamento dell'imposta sostituiva che può invece essere anche versata tardivamente, mediante ravvedimento operoso o essere addirittura iscritta a ruolo); è stato inoltre precisato che l'omessa indicazione nel modello UNICO dei dati riferiti all'estromissione può essere sanata, al più tardi, entro 90 giorni dalla scadenza del termine di presentazione della dichiarazione, e non già entro il termine della dichiarazione successiva.

Importanti chiarimenti riguardano poi la tassazione in capo ai soci assegnatari, con particolare riguardo alla riduzione del reddito in natura del socio assegnatario in ragione dei valori assoggettati ad imposizione sostitutiva in capo alla società. La circolare si sofferma quindi sui vari casi di tassazione del socio.

In capo al socio di una società di capitali, ai sensi dell’articolo 47 del Tuir, occorre distinguere se a fronte dell’assegnazione di beni vengono annullate riserve di utili ovvero riserve di capitale. L’assegnazione mediante riduzione di riserve di utili ha sempre rilevanza reddituale in capo al socio, mentre il costo della partecipazione rimane inalterato; il dividendo tassato è determinato come differenza tra il valore normale/catastale del bene e la plusvalenza assoggettata ad imposta sostitutiva in capo alla società. E’ precisato che in caso di assegnazione di beni con contestuale accollo di debiti da parte del socio, il valore da tassare in capo al socio rileva al netto dei debiti accollati. In caso di attribuzione di riserve di capitale, con conseguente riduzione del patrimonio netto della società, in linea generale non si ha reddito imponibile in capo al socio ma si determina solo una rideterminazione del costo fiscale della partecipazione, che prima si incrementa del maggior valore affrancato dalla società e poi si riduce in misura pari al valore del bene fuoriuscito dal patrimonio sociale; si ha tassazione in capo al socio solo nel caso in cui il valore normale/catastale del bene assegnato risulti superiore al costo fiscale della partecipazione, incrementato già della differenza assoggettata ad imposta sostitutiva.

Nel caso di società di persone, attesa la tassazione per trasparenza, la circolare precisa che il pagamento dell’imposta sostitutiva rende definitiva e liberatoria la tassazione in capo ai soci assegnatari per l’importo già tassato sulla società. L’assegnazione dei beni ai soci comporta in tale ipotesi una riduzione del patrimonio netto della società in contropartita della riduzione dell’attivo dello stato patrimoniale, come effetto del trasferimento dei beni dalla sfera patrimoniale della società a quella del socio. In capo ai soci si avrà la rideterminazione del costo fiscale della partecipazione che si incrementa per l’ammontare che sconta l’imposta sostitutiva e poi si riduce in funzione del valore normale/catastale del bene assegnato. 

In relazione agli effetti in capo alla società assegnataria la circolare afferma che eventuali minusvalenze che dovessero emergere dalla differenza tra il valore normale/valore catastale dei beni stessi e il loro costo fiscalmente riconosciuto non possono andare a riduzione delle plusvalenze, in quanto componenti negative indeducibili a norma dell'art. 101 co. 1 del TUIR. Niente viene detto espressamente in ordine alla deducibilità delle minusvalenze che emergono a seguito della cessione dei beni ai soci, che in via interpretativa potrebbe dunque considerarsi deducibili in quanto realizzate mediante un atto a titolo oneroso.

Infine, sotto il profilo delle imposte indirette, quanto all’Iva, che si ricorda si applica alle assegnazioni/cessioni in misura ordinaria (ad esclusione dei beni per i quali all’atto dell’acquisto non è stata detratta l’imposta) viene chiarito che la base imponibile Iva è data non dal valore normale ma piuttosto dal costo “attualizzato” rappresentato dal prezzo di acquisto dei beni tenendo conto in aumento di tutte le spese necessarie per migliorie e in riduzione del deprezzamento intervenuto.

Quanto all’imposta di registro, che si applica nella misura ordinaria ridotta al 50%, l’Agenzia fa salva la possibilità di calcolarla sul valore catastale per tutti gli immobili e non solo per quelli abitativi per i quali si applica la regola del prezzo-valore.

 

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Si rafforza l’esclusione dall’Irap per il professionista 

Una recente sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sentenza n. 9451 del 10.5.2016) ha dato risposta alla nota questione circa l’applicabilità dell’ Irap in capo al professionista che si avvale di un unico dipendente, questione rimessa al suo giudizio con l’ordinanza n. 5040/2015 della stessa Cassazione. La Corte ha sancito che non è idoneo a configurare un’attività autonomamente organizzata e quindi, non determina l’assoggettamento a Irap, l'avvalersi, in modo non occasionale, di lavoro altrui quando questo si concreti nell'espletamento di mansioni di segreteria o generiche o meramente esecutive, che rechino all'attività svolta dal contribuente un apporto del tutto mediato o generico. 

 

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La sentenza in esame è particolarmente interessante per tutti quei soggetti che svolgono attività professionale avvalendosi di un solo dipendente e con utilizzo di limitati beni strumentali, in quanto può rappresentare il fondamento per una legittima esclusione dall’Irap e/o la richiesta a rimborso dell’imposta versata in anni precedenti. Come noto presupposto per l’assoggettamento all'Imposta Regionale sulle Attività Produttive, istituita con la legge 662/96, è “l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi”. 

La Cassazione negli anni ha avuto modo di precisare il concetto di autonoma organizzazione affermando che questa ricorre quando l’attività abituale ed autonoma del contribuente dia luogo ad un’organizzazione dotata di un minimo di autonomia che potenzi ed accresca la capacità produttiva del contribuente; tale requisito si verifica quando il contribuente “a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza dell’organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale del lavoro altrui” (sentenza n. 3673 del 2007).

Per contro, il presupposto dell’autonoma organizzazione non è riscontrabile in assenza di capitale o lavoro altrui in maniera significativa; tale principio è stato sostenuto da copiosa giurisprudenza di merito, che ha accolto i ricorsi dei contribuenti che hanno dimostrato di non avvalersi di capitale e significativo lavoro altrui così da non alterare il carattere strettamente personale dell’attività di lavoro autonomo svolta. Lo stesso principio è stato sancito da un orientamento della Corte di Cassazione che ha confermato l’esclusione dall’IRAP per i professionisti privi di autonoma organizzazione, seppur dotati di una minima organizzazione consistente nei beni strumentali necessari all’esercizio della propria attività e di occasionali prestazioni di terzi.

L'orientamento prevalente della Suprema Corte tende, quindi, ad escludere l’automatica applicazione del tributo alla sola presenza di beni strumentali e lavoro dipendente: l’imposta non risulta dunque applicabile ove in concreto i mezzi personali e materiali di cui si è avvalso il contribuente costituiscano un mero ausilio della sua attività personale (per tutte le sentenze n. 3672, 3678 depositate il 16/02/2007, sentenza n. 5011 depositata il 5 marzo 2007 e più recentemente sentenza n.15010/2015).

Con particolare riguardo al ricorso al lavoro altrui, è stato affermato che l'esistenza di un dipendente assume rilevanza ai fini dell'applicabilità del tributo solo qualora il lavoro subordinato abbia potenziato l'attività produttiva; si tratta dunque di accertare, caso per caso, se l’apporto del lavoro altrui ecceda l’ausilio minimo indispensabile, secondo l’id quod plerunque accidit, per lo svolgimento di una determinata attività professionale (sentenza n. 1544 deel 27.01.2015), accertamento che compete al giudice di merito e si risolve in una valutazione di natura non soltanto logica, ma anche socio-economica, secondo il comune sentire, del quale proprio il giudice di merito è portatore ed interprete (Cass. n. 26991 del 19.12.2014). 

 

In tale contesto va letta la citata sentenza n. 9451/2016 della Cassazione a Sezioni Unite, che ha sancito l’esclusione da Irap per il professionista che si avvalga, anche non occasionalmente, di un solo dipendente con mere mansioni esecutive di segreteria o generiche.

Si rileva come peraltro già in passato la Cassazione si era espressa nel senso di non ritenere indice di un'autonoma organizzazione la presenza di un mero segretario che apra la porta o risponda al telefono mentre il medico visita il paziente o l'avvocato riceve il cliente (ordinanza n. 26991/2014 e n. 27014/2014 e Cass. Civ. sez.VI, n. 27019 del 19.12.2014). 

 

Si allega la sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 9451 del 10.5.2016

 

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Verso una voluntary disclosure bis 

Fonti ufficiali affermano che il Governo sta lavorando all’adozione nei prossimi mesi di un provvedimento per la riapertura dei termini della voluntary disclosure. In effetti da tempo si parla di una possibile riedizione della procedura di collaborazione volontaria ovvero della introduzione anche nel nostro ordinamento, di un istituto a regime, di carattere permanente come il ravvedimento operoso, in analogia con quanto previsto in altri Stati e in conformità alle indicazioni Ocse. 

 

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La prima edizione della voluntary disclosure introdotta dalla Legge n. 186/2014, come noto, ha consentito la regolarizzazione delle violazioni in materia di monitoraggio fiscale e di imposte sui redditi esteri con riferimento agli anni 2009-2013, facendo emergere un maggior gettito per l’erario di circa 4 miliardi, a fronte di 60 miliardi di euro di capitali esteri rimpatriati (che rappresentano all’incirca la metà di quelli stimati in totale). 

A fronte di tale successo della procedura di compliance sia in termini di maggior gettito per l’erario che di opportunità di regolarizzazione anche sotto il profilo penale della detenzione illecita di capitali esteri, per i contribuenti, sembra ormai prossima l’approvazione di un nuovo provvedimento per il rientro dei capitali “in nero” ancora detenuti all’estero ovvero irregolarmente trasferiti in Italia (cassette di sicurezza, gioielli, contanti). 

Ad oggi non risulta ancora chiaro se la voluntary bis si sostanzierà in una mera riapertura dei termini della precedente edizione di cui alla legge 186/2014, con estensione quindi delle procedure già note e collaudate alle annualità nel frattempo maturate del 2015-2016, salvo una necessaria ed equitativa penalizzazione in termini sanzionatori rispetto alla prima edizione, oppure se verrà invece introdotto un istituto a regime di collaborazione volontaria sulla scorta di quelli già adottati ad esempio in Francia, Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti.

L’appeal di una voluntary bis si accresce alla luce del mutato contesto internazionale nel quale sempre più paesi si attivano per adottare lo scambio automatico delle informazioni in tempi brevi (a partire dal 2017/18) e in forza delle novità legislative a livello internazionale: normative antiriciclaggio Gafi già applicate da tutti gli operatori finanziari, l'imminente recepimento della IV direttiva Ue antiriciclaggio, le recenti proposte del Governo Usa di modifica delle leggi antiriciclaggio che prevedono l'individuazione del titolare effettivo finale (final beneficial owner) e la segnalazione per operazioni sospette di riciclaggio anche per i presunti reati fiscali. 

 

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Le immobiliari di gruppo non sono mai “di comodo” 

La recente sentenza della Commissione tributaria di Firenze (sentenza n. 8/8/2016 del 11.01.2016)  conferma un consolidato della orientamento della giurisprudenza in materia di non applicabilità della disciplina delle società di comodo alle società di gestione immobiliare facenti parte di gruppi di società

 

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Come noto la disciplina sulle società di comodo o non operative è stata introdotta dall’art. 30 della Legge n. 724/1994 allo scopo di disincentivare l’utilizzo potenzialmente elusivo delle strutture societarie e garantire una tassazione minima per le società con bassa redditività rispetto alla loro patrimonializzazione. 

Nello specifico vengono considerate non operative le società che presentano un rapporto non adeguato fra il valore degli assets patrimoniali e i ricavi effettivamente prodotti, ovvero che risultano in perdita fiscale “sistematica”. 

La normativa in esame, come è noto,  è diretta a contrastare l’intestazione di beni (in specie immobili) ad una società che risulti costituita non per l’esercizio di una impresa commerciale ma per garantire, di fatto, l’utilizzo degli stessi beni da parte dei soci.

L’Agenzia delle Entrate con particolare riferimento alle società che svolgono attività immobiliare (cfr. Circolari n. 5/E/2007 e n. 44/E/2007) , ha tuttavia sempre applicato estensivamente il dettato normativo ritenendo che solo in alcune circostante oggettive che abbiamo reso impossibile il conseguimento dei ricavi minimi, sia possibile disapplicare la normativa in questione. 

I casi di disapplicazione hanno riguardato, ad esempio, la capacità di documentare la presenza di immobili in corso di costruzione, l’inagibilità degli stessi, l’impossibilità di applicare canoni più elevati, la mancanza di autorizzazioni amministrative ecc.. In ogni caso le società immobiliari, secondo l’Agenzia, sono tenute confrontarsi con la normativa delle società non operative, salvo fornire la prova delle esimenti sopra  indicate, e ciò a prescindere da un’indagine sui soggetti che in concreto beneficiano del godimento dei beni immobili intestati alla società, ed anche quando si tratti di immobiliare di gruppo (circ 44/E/2007).

La giurisprudenza di merito, invece, già da tempo continua affermando che la disciplina delle società di comodo non si applica alle immobiliari quando la locazione venga effettuata nei confronti di soggetti terzi, ovvero soggetti che non sono legati alla società da un rapporto organico o di partecipazione sociale (Ctr Lombardia n. 5440/11/2014, Ctr Genova n. 17/1/2011 e Ctr Firenze n. 1734/25/2014). 

L’orientamento delle Commissioni Tributarie, nell’ambito del quale va inquadrata la sentenza in esame, esclude in particolare che possa ritenersi “non operativa” una società immobiliare che conceda in locazione gli immobili a società appartenenti allo stesso gruppo, senza che tali beni siano quindi utilizzati a titolo personale dai soci della società. Secondo la citata Ctr di Firenze, “il mancato raggiungimento del reddito minimo determina la presunzione semplice che la società in questione sia una società di comodo, ma questa non può escludere la dimostrazione del contrario con elementi oggettivi”. Nel caso esaminato, la società immobiliare gestiva immobili concessi in locazione ad altre società facenti capo alla medesima compagine sociale, esercenti un’effettiva attività commerciale e nessuno degli immobili risultava mai essere stato utilizzato ad uso personale da alcuno dei soci. Per i giudici quindi non può essere penalizzata sul piano fiscale, mediante applicazione della disciplina delle società di comodo, la scelta nell’ambito di un gruppo di costituire un’apposita società per la gestione immobiliare degli immobili utilizzati dalle società del gruppo.

 

Si allega sentenza della Commissione tributaria di Firenze n. 8/8/2016 del 11.01.2016)

 

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Cassazione: elusivo il conferimento di azienda seguito dalla cessione delle partecipazioni 

Una recente sentenza della Cassazione (n. 8542 del 29.04.2016) affronta nuovamente la questione del trattamento del conferimento di azienda seguito dalla successiva cessione della partecipazione, affermando che l’operazione va qualificata ai fini delle imposte d’atto (registro) come trasferimento d’azienda in base al disposto dell’art. 20 DPR 131/1986.

 

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La sentenza esamina un’operazione cosiddetta di share deal consistente nel conferimento d’ azienda a cui fa seguito la cessione delle partecipazioni nella società conferitaria. Come noto, tali operazioni risultano fiscalmente convenienti in quanto, ai fini delle imposte dirette, ai sensi dell’art. 176 Tuir il conferimento d’azienda può essere realizzato in neutralità d’imposta e la successiva cessione delle partecipazioni può beneficiare del regime Pex.  Inoltre tali operazioni sono pienamente legittime nel nostro ordinamento in base al comma 3 dello stesso art. 176 del Tuir che contiene un riferimento espresso alla disapplicazione delle norma antielusiva di cui all’art. 37 bis DPR 600/73.

Al conferimento seguito dalla cessione delle quote si applica anche un prelievo minore nell’ambito delle imposte indirette in quanto il conferimento d’azienda è soggetto a imposta di registro in misura fissa mentre il trasferimento d’azienda soggiace ad imposta di registro in misura proporzionale (particolarmente onerosa in presenza di immobili)

Ed è proprio ai fini delle imposte indirette che tale operazione è soggetta a censura da parte dell’Agenzia delle Entrate e dalla giurisprudenza anche di legittimità (Cass. n. 15319 del 2013 e n. 5877 del 13 marzo 2014) che continuano a sostenere l’ il carattere elusivo della stessa: : è all’interno di tale orientamento, quindi, che si inserisce la sentenza in commento. 

In particolare lo stesso orientamento si fonda sull’applicazione della speciale norma antielusiva di cui all’art. 20 DPR 161/1986 secondo cui l’imposta di registro “è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente” in forza della quale sarebbe dunque legittimo “riqualificare come cessione di azienda la cessione totalitaria delle quote di una società, senza .. provare l’intento elusivo delle parti, attesa l’identità della funzione economica dei due contratti, consistente nel trasferimento del godimento e disposizione dell’azienda da un gruppo di soggetti a un altro gruppo o individuo.”

Occorre al riguardo rilevare come la dottrina prevalente ha fortemente criticato tale orientamento giurisprudenziale che determina un disallineamento con quanto disposto ai fini delle imposte sui redditi dall’art. 176, comma 3, tuir (non applicabilità della norma antielusiva alle operazioni di share deal). 

La tesi della suprema corte sembra oggi ancor più censurabile alla luce della nuova norma sull’abuso del diritto di cui all’art. 10bis dello Statuto del contribuente (Legge 212/2000).

Come noto, infatti, la nuova disposizione in materia di abuso del diritto ha valenza generale per tutti i tributi e prevede che “configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti”; si considerano vantaggi fiscali indebiti “i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario”.

Devono considerarsi operazioni prive di sostanza economica “i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali”, per contro, non possono in ogni caso essere ritenute abusive “le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali non marginali, anche dettate da esigenze di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa o dell’attività professionale del contribuente”. Secondo la nuova norma generale antiabuso, quindi, il contribuente può legittimamente perseguire un risparmio di imposta, scegliendo tra regimi opzionali diversi previsti dall’ordinamento e tra operazioni da cui derivi un diverso carico fiscale.

Si osserva che le operazioni di conferimento d’azienda cui fa seguito la cessione delle partecipazioni della conferitaria rientrino nella prassi consolidata degli operatori economici; si tratta di uno “strumento”, in senso lato, spesso preferito per la circolazione dei complessi aziendali, ciò che né conferma la valenza economica nell’ambito delle semplificazioni e/o agevolazioni dei processi di aggregazione tra imprese e gruppi. Inoltre non può essere messa in discussione la validità economica di tali operazioni anche per gli effetti che le stesse producono in termini di semplificazione e continuità sul piano organizzativo e gestionale. Tali semplici osservazioni dovrebbero essere sufficienti perché, alla luce della nuova disposizione antiabuso, le operazioni in commento restino totalmente al riparo da censure non solo ai fini delle imposte dirette ma anche ai fini delle imposte indirette.  

La sentenza della Cassazione qui  commentata, tuttavia, va nella direzione opposta e rende particolarmente rischiosa la circolazione delle aziende, con lo strumento del conferimento seguito dalla cessione delle quote,  in particolare quando il complesso in oggetto comprende beni immobili. .

Si allega sentenza della Cassazione n. 8542 depositata il 29.04.2016. 

 

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Sharing economy : spunta una proposta di legge per la regolamentazione del settore

E’ stata depositata il 27 gennaio scorso alla Camera dei Deputati una proposta di legge per la regolamentazione della sharing economy diretta a garantire equità e trasparenza tra chi è attivo in tale settore e gli operatori economici tradizionali. Il disegno di legge contiene anche una proposta di regime fiscale per gli operatori del settore distinguendo tra chi svolge un’attività non professionale destinata ad integrare il proprio reddito, che sarebbe soggetto ad un regime agevolato,  e chi invece opera a livello professionale che resterebbe soggetto alle regole ordinarie. 

 

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Anche l’Italia, sulla scorta di quanto già intrapreso da altri paesi quali l’Australia e la Francia, si appresta a regolamentare, anche sotto il profilo fiscale, il settore della sharing economy con un possibile impatto significativo sulle diverse piattaforme digitali largamente diffuse nel nostro sistema economico quali Airbnb, Blablacar e altre.

A tal fine il disegno di legge identifica quali “operatori” i soggetti che gestiscono la piattaforma digitale mentre “utenti operatori” sono i soggetti che attraverso la piattaforma digitale operano erogando un servizio o condividendo un proprio bene. 

In merito a quest’ultimi si distingue tra micro-operatori ed operatori che svolgono l’attività in modo professionale. Lo spartiacque è rappresentato dal livello di reddito prodotto: se questi è inferiore a € 10.000,00 siamo di fronte ad operatori non professionali la cui finalità e quella di integrare il proprio reddito personale. E’ quindi previsto che  gli operatori non professionali indichino nella loro dichiarazione dei redditi, in una apposita sezione, il “reddito da attività di economia della condivisione non professionale” da assoggettare ad aliquota sostitutiva del 10%.  Coloro invece che conseguono redditi superiori agli € 10.000,00 sono soggetti al regime ordinario e dovranno quindi identificarsi come professionisti o imprese e conseguentemente saranno soggetti alle regole ordinarie già previste per tali categorie.  

L’aspetto più complicato sembra invece riguardare gli “operatori” ovvero i soggetti che gestiscono la piattaforma digitale. Quest’ultimi, infatti, se hanno sede o residenza all’estero, come prevede il disegno di legge,  dovranno dotarsi di una stabile organizzazione in Italia e conseguentemente pagare le imposte per i redditi della stabile prodotti in Italia. 

 

Inoltre gli operatori, in relazione ai redditi generati mediante le piattaforme digitali, opereranno in qualità di sostituti d’imposta degli utenti operatori. 

 

Il previsto regime fiscale per gli operatori non residenti, con particolare riferimento alla identificazione attraverso la stabile organizzazione in Italia, sembra destinato a sollevare questioni di più ampio respiro risultando inevitabile una verifica oltre che sulle norme interne esistenti anche su quelle di emanazione degli organismi internazionali (OCSE) nonché in seno alle regolamentazioni previste nell’ambito delle singole convenzioni bilaterali per evitare la doppia tassazione. 

 

Si allega il testo del disegno di legge. 

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Spese di sponsorizzazione: una conferma dalla Cassazione 

Le spese di sponsorizzazione a favore di un ente sportivo dilettantistico devono essere qualificate come spese di pubblicità e, pertanto, sono interamente deducibili dal reddito d’impresa, nei limiti previsti dall’art. 90 della legge 289/2002. Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 5720 depositata il 23.03.2016 che ha preso nuovamente posizione sulla annosa questione relativa alla deducibilità fiscale delle spese di sponsorizzazione.

 

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La questione esaminata dalla Suprema Corte riguarda la deducibilità dal reddito d’impresa delle spese sostenute per l’attività di sponsorizzazione a favore di un’associazione sportiva dilettantistica di basket; in particolare la corresponsione di somme a favore dell’ente aveva come controprestazione l’esposizione del marchio dell’impresa sulle divise e in occasione di eventi.

L’Agenzia delle Entrate nella propria attività di accertamento, contesta l’integrale deducibilità delle spese di sponsorizzazione in quanto, a suo avviso, carenti del requisito della inerenza; nel caso di specie, in particolare, veniva contestato al contribuente che le spese non avevano determinato incrementi nelle vendite del contribuente in entità significativa e tale da giustificarne il costo. 

A tale orientamento restrittivo dell’Agenzia, peraltro non univoco, come si dirà in seguito, si è opposta la giurisprudenza di merito (cfr CTP di Pisa n. 94/01/15 e n. 423/1/14 e CTP Mantova 114/01/13) e di legittimità (Cassazione con la citata sentenza n. 5720/2016). 

In particolare, la Suprema Corte pur richiamando la disciplina fiscale delle spese di pubblicità e rappresentanza di cui all’art. 108, comma 2 Tuir, nel caso sotto esame di sponsorizzazioni a favore di associazione sportiva dilettantistica, ha applicato quanto previsto dall’articolo 90 della legge 289/2002 (Legge finanziaria 2003). 

La sentenza ricorda che la norma generale qualifica come spese pubblicitarie, di conseguenza deducibili interamente nell’esercizio, le somme corrisposte per la realizzazione di iniziative tendenti, anche se non esclusivamente quanto meno prevalentemente, alla pubblicizzazione di prodotti, marchi e servizi o comunque dell’attività svolta; considera invece spese di rappresentanza, deducibili con la ripartizione in quote annuali entro i limiti previsti, gli oneri sostenuti per iniziative volte ad accrescere il prestigio e l’immagine dell’impresa e a potenziarne le possibilità di sviluppo.

Alla norma ordinaria si affianca il disposto dell’art. 90 legge 289/2002 secondo cui il corrispettivo erogato in favore di società, associazioni sportive dilettantistiche e fondazioni che hanno per oggetto sociale lo svolgimento di attività nei settori giovanili e che siano riconosciute dalle federazioni sportive o da enti di promozione sportiva, è da considerarsi una spesa di pubblicità, nel limite annuo di 200mila euro indicato dalla norma. 

Secondo la Corte la previsione di cui all’articolo 90 sopra citato, ha introdotto una esimente rispetto alla regola generale che impone la corrispondenza tra l’attività sponsorizzata e l’attività di impresa svolta dallo sponsor.

Sul punto occorre dar conto di quanto in passato affermato dalla stessa Agenzia delle Entrate con circolare 21E del 22.04.2003 e risoluzione n. 57E del 23.06.2010. Con circolare del 2003 l’Agenzia aveva chiarito che la disposizione di cui all’art 90 della legge 289/2002 aveva introdotto, ai fini delle imposte sui redditi, una “presunzione assoluta” circa la natura di spese di pubblicità delle somme erogate alle società/associazioni sportive nel limite di 200 mila euro. Con risoluzione n. 57E/2010 l’Agenzia ha poi affermato che la norma sopra citata “individua l’importo entro il quale dette somme costituiscono per presunzione assoluta spese di pubblicità” e aggiunge che “l’eccedenza sarà eventualmente deducibile capo al medesimo erogante secondo le regole ordinarie previste dal Tuir”.

In effetti l’art 90 della legge 289/2002 ha introdotto una disposizione speciale diretta a favorire le sponsorizzazioni a favore del dilettantismo sportivo, in deroga alle regole ordinarie di cui all’art. 108, comma 2 Tuir.

In conclusione, secondo quanto sopra illustrato, una spesa di sponsorizzazione può essere dedotta al integralmente dal reddito d’impresa come spesa di pubblicità quando l’erogazione sia effettuata a favore di associazioni, fondazioni, enti sportivi dilettantistici, nei limiti stabiliti dall’art. 90 legge 289/2002 e a condizione che si possa dimostrare che:

• i corrispettivi erogati siano effettivamente stati destinati alla promozione dell’immagine o del prodotto dell’impresa;

• che il soggetto ricevente sia ai sensi di legge una società sportiva dilettantistica affiliata ad una federazione o ad un ente di promozione sportiva;

• che la promozione per la quale si è versato il corrispettivo sia effettivamente esistente.

 

Si allega la sentenza della Cassazione n. 5720 depositata il 23.03.2016

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IVA e Procedure concorsuali: novità dal 2017

La Legge di stabilità per il 2016 (art. 126-127 della Legge 28 dicembre 2015, n. 208), è intervenuta sulla disciplina delle variazioni dell’imponibile IVA e della relativa imposta. 

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La nuova norma anticipa il momento in cui è consentita l’emissione della nota di credito IVA, da parte del cedente o prestatore; quest’ultima è anticipata al momento dell’apertura di una procedura concorsuale, senza dover attendere l’accertamento dell’infruttuosità della stessa ciò che subordinava, nel vigore della norma ante modifiche, l’emissione della nota di variazione in diminuzione al momento in cui poteva essere dimostrata l’effettiva perdita del credito, spesso coincidente con la chiusura della procedura.

Il nuovo comma 11 dell’art. 26 della Legge IVA disciplina il momento in cui il debitore si considera assoggettato a procedura concorsuale, che varia per le diverse procedure:

Nuovo Art. 26 DPR 633/72
PROCEDURE CONCORSUALI
TIPO PROCEDURA MOMENTO EMISSIONE NOTA DI CREDITO
FALLIMENTO Dalla data della Sentenza dichiarativa
LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA Dalla data del provvedimento che ordina la liquidazione
CONCORDATO PREVENTIVO Dalla data di ammissione alla procedura
AMMINISTRAZIONE DELLE GRANDI IMPRESE IN CRISI Dalla data del Decreto che dispone lA procedura
PROCEDURE PARA - CONCORSUALI
ACCORDO DI RISTRUTTURAZINE DEI DEBITI                  (Art. 182-bis LF) Dalla data che omologa l'accordo
PIANO ATTESTATO  (Art. 67 LF) Dalla data di pubblicazione nel Registro Imprese

 

Il riferimento preciso alla data in cui inizia la procedura fa ritenere che il diritto all’emissione della nota di variazione Iva sia indipendente dalla presentazione da parte del creditore della Domanda di insinuazione al passivo del fallimento, in quanto se l’insinuazione al passivo fosse un presupposto per recupere l’IVA, la data di riferimento avrebbe dovuto essere individuata in quella di presentazione di tale domanda ai sensi dell’art. 93 della Legge fallimentare. In tal senso si è espressa l’Assonime con la Circolare n. 5/2016 anche se l’Agenzia delle Entrate deve ancora fare chiarezza sul punto.

 

La nuova disciplina (Art. 26, comma 5, DPR 633/72) prevede inoltre una deroga al principio generale di registrazione delle note di variazione IVA da parte del debitore, se questi è assoggettato a procedura concorsuale. Infatti, così come confermato anche dall’Agenzia delle entrate nel corso dell’appuntamento annuale di Telefisco, quest’ultimo non ha più l’obbligo di annotare la variazione nel Registro IVA delle fatture emesse, né di computare la relativa imposta nella liquidazione. L’Agenzia specifica che l’organo responsabile della procedura non è, quindi, tenuto a registrare “in aumento” la nota di credito ricevuta, non essendo tenuto ad assolvere l’imposta.

Inoltre, viene espressamente previsto che qualora, successivamente all’emissione della nota di variazione in diminuzione sia pagato in tutto o in parte il corrispettivo nel corso della procedura, il cedente o prestatore è tenuto ad emettere una fattura per il corrispettivo effettivamente riscosso. Dall’altro lato, il committente o cessionario, sottoposto a procedura, ha la possibilità di portare in detrazione l’imposta relativa a questa variazione in aumento.

 

La novità non ha tuttavia rilevanza immediata: è prevista infatti l’entrata in vigore delle nuove disposizioni per le procedure che hanno inizio dal 1° gennaio 2017 in poi. 

Per tutte le procedure dichiarate entro il 31.12.2016 si applica quindi la vecchia disciplina.Tuttavia, in merito a questo aspetto, l’Assonime, nella citata circolare, ritiene possibile far rientrare nella nuova normativa anche le procedure non ancora chiuse ammettendo, quindi, l’applicazione del nuovo art. 26 per le procedure concorsuali sempre aperte alla data del 31.12.2016.

 

Le nuove disposizioni non modificano il momento in cui può essere emessa la nota di variazione IVA, dal cedente o prestatore, per il recupero dell’imposta, nel caso di “procedure esecutive individuali”. In questo caso, infatti, il riferimento all’infruttuosità della procedura viene mantenuto. La nuova norma chiarisce, però, quando una procedura esecutiva individuale può considerarsi infruttuosa, individuando precisi momenti:

a) nell’ipotesi di pignoramento presso terzi, quando dal verbale di pignoramento redatto dall’Ufficiale giudiziario risulti che presso il terzo pignorato non vi sono beni o crediti da pignorare;

b) nell’ipotesi di pignoramento di beni mobili, quando dal verbale di pignoramento redatto dall’Ufficiale giudiziario risulti la mancanza di beni da pignorare ovvero l’impossibilità di accesso al domicilio del debitore ovvero la sua irreperibilità;

c) nell’ipotesi in cui, dopo che per tre volte l’asta per le vendite del bene pignorato sia andata deserta, si decida di interrompere la procedura esecutiva per eccessiva onerosità.

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Sale a 15.000 euro il limite per il monitoraggio dei conti esteri 

Con il provvedimento del 31 marzo 2016 Prot. N. 47207/2016, avente ad oggetto ”Modificazioni del modello di dichiarazione “Unico 2016–PF” viene recepito l’innalzamento a euro 15.000 del limite quantitativo che garantisce l’esonero dalla compilazione del modulo RW per i conti correnti e i depositi bancari esteri di cui al novellato art. 4 del DL 167/90. 

 

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La disciplina sul monitoraggio fiscale ha subito negli ultimi anni diversi interventi modificativi. Si ricorda in particolare che la Legge n. 97 del 06.08.2013 (di recepimento delle normative europee), in vigore il 04.09.2013, è intervenuta a modificare il D.L. n. 167/1990 al fine di evitare la procedura di infrazione comunitaria, semplificando la disciplina sul monitoraggio fiscale e a riducendo gli adempimenti (soppressione delle Sezioni I e III del quadro RW, e eliminazione della soglia minima complessiva di euro 10.000)

Successivamente, con la legge di conversione del D.L. 4/2014 (Legge n. 50/2014 in G.U. n. 74 del 29.03.2014 entrata in vigore il 30.03.2014), era stata reintrodotta la soglia di esonero dagli adempimenti, pari a 10.000 euro, ma limitatamente ai depositi e conti correnti bancari costituiti all’estero, con riferimento al valore massimo complessivo raggiunto nel corso dell’anno (e non più al valore esistente al termine del periodo d’imposta). 

Recentemente il legislatore con l’art. 2 della L. 186/2014, attraverso l’integrazione dell’art. 4 del DL 167/90, è nuovamente intervenuto su detto limite di esclusione dall’obbligo di monitoraggio fiscale rilevante per i depositi e conti correnti bancari costituiti all’estero portandolo a 15.000 euro. Fino al 31 dicembre 2014, quindi, il limite è rimasto a 10.000 euro ed, infatti, le istruzioni a UNICO 2015, facevano riferimento a tale importo. Il limite continua ad applicarsi solo ai depositi e conti correnti esteri che complessivamente non superano tale ammontare nel corso del periodo d’imposta; nel calcolo del limite occorre quindi far riferimento non al valore massimo del singolo conto estero ma all'ammontare complessivo dei conti/depositi detenuti all'estero. 

Resta fermo che l’esonero (al di sotto della soglia limite) non si applica alle altre attività finanziarie e patrimoniali diverse da depositi e conti correnti (immobili, partecipazioni, titoli e altre attività), per cui vale unicamente l’ esclusione dal quadro Rw qualora i redditi prodotti da queste ultime siano riscossi tramite intermediari finanziari residenti in Italia e siano assoggettati a ritenuta fiscale nel nostro paese. 

 

Non si può non rilevare come la modifica normativa non risolva in alcun modo la distorsione derivante dal fatto che il quadro Rw rileva non soltanto ai fini degli adempimenti sul monitoraggio fiscale ma anche ai fini dell’assolvimento dell’Ivafe e dell’Ivie. In proposito si ricorda come la nuova soglia di 15.000 euro relativa ai depositi e ai conti correnti bancari non ha alcun effetto ai fini Ivafe. L’imposta infatti continua ad essere dovuta e, quindi, il valore dei depositi e conti correnti esteri continua a dover essere indicato nel quadro RW, per quelli con giacenza media superiore a 5.000 euro, almeno ai fini dell’Ivafe.

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Deducibili gli interessi passivi da Leverage buy Out 

 

La giurisprudenza di merito ed ora la stessa Agenzia delle Entrate si sono pronunciate sulla legittimità fiscale del leveraged buy out (Lbo) ovvero l’acquisizione di una società con ricorso alla leva finanziaria, sfruttando la capacità d'indebitamento della società da acquisire. In particolare la Commissione Tributaria Provinciale di Milano, con le pronunce n. 9999 e n. 1002/24/15 depositate in 10 dicembre 2015, ha affermato che le operazioni di Lbo, di cui all’art. 2501-bis c.c., non sono elusive quando sono finalizzate al cambiamento della compagine sociale. L’Agenzia, con la recentissima circolare n. 6E del 30 marzo 2016, ha finalmente chiarito che nelle operazioni di Lbo gli interessi passivi sui prestiti contratti per acquisire l’acquisizione della società target sono inerenti e legittimamente deducibili.

 

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Si ricorda come sotto il profilo civilistico, le operazioni di Lbo siano state legittimate nel nostro ordinamento con la riforma del diritto societario ad opera dell’art. 7, comma 1, lett. d) Legge n. 366/2001 che ha disposto che “le fusioni tra società, una delle quali abbia contratto debiti per acquisire il controllo dell'altra, non comportano violazione del divieto di acquisto e di sottoscrizione di azioni proprie, di cui, rispettivamente, agli articoli 2357 e 2357- quater del codice civile, e del divieto di accordare prestiti e di fornire garanzie per l'acquisto o la sottoscrizione di azioni proprie, di cui all'articolo 2358 del codice civile”. 

Il D. Lgs, n. 6/2003, con il quale la riforma è stata attuata, ha introdotto l’art. 2501-bis, c.c., che disciplina la “fusione a seguito di acquisizione con indebitamento”, prevedendo una serie di obblighi di informazione sulla sostenibilità economica e finanziaria dell’operazione quando, per effetto della fusione, il patrimonio della società acquisita venga a costituire garanzia generica o fonte di rimborso dei debiti contratti per acquisire il controllo della target. 

 

Sotto il profilo fiscale, l’Amministrazione finanziaria ha contestato, ai sensi del previgente art. 37bis DPR 600/73, la natura elusiva delle operazioni di Lbo in quanto finalizzate unicamente al perseguimento di vantaggi fiscali indebiti; in particolare gli uffici contestavano l’imputazione a conto economico, e quindi la deduzione del costo dal risultato imponibile della società target post fusione, degli interessi passivi relativi al finanziamento contratto dalla società veicolo per l’acquisto delle partecipazioni nella società target, a seguito della fusione (si veda in tal senso anche il parere del Comitato consultivo n. 4 del 8.05.2003).

La giurisprudenza anche di legittimità (Cass. n. 1372 del 21.01.2011), già in passato, ha escluso l’elusività sotto il profilo fiscale di tali operazioni riconoscendone le valide ragioni economiche sottostanti. 

Le recenti pronunce della giurisprudenza vanno ad esaminare la fattispecie anche alla luce della nuova disposizione sull’abuso del diritto di cui all’art. 10bis alla legge n. 212/2000 (c.d. Statuto del Contribuente) introdotta ad opera del D. Lgs. n. 128 del 05.08.2015 ed entrata in vigore dal 02.09.2015 che ha sostituito la previgente norma antielusiva di cui all’art. 37bis DPR 600/73.

Come noto, secondo la nuova disposizione antiabuso, configurano “abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti”. Secondo la nuova formulazione, devono considerarsi privi di sostanza economica i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali; gli indici di mancanza di sostanza economica sono individuati nella “non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e nella non conformità dell’utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato”. Per contro, deve escludersi l’abuso del diritto per le operazioni che risultino giustificate da valide ragioni extrafiscali ad esempio ricollegabili alla riorganizzazione aziendale, degli assetti proprietari e societari dell’impresa, a condizione che queste siano non marginali e rispondano a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’attività. 

 

Sulla scorta della norma sull’abuso del diritto la CT di Milano, nella sopra citata sentenza, ha escluso l’elusività delle operazioni di Lbo sottoposta al suo  esame in quanto l’operazione risultava sorretta da valide motivazione extra fiscali rappresentate dalla modifica della compagine sociale e, in particolare, dal cambiamento dei soci di maggioranza. Non è stato ritenuto rilevante e sufficiente ad inficiare la validità di una tale motivazione riorganizzativa neppure la circostanza che fra i soci della società fossero rimasti, in quota di minoranza, anche soggetti già presenti anteriormente all’operazione.

La CT milanese ha quindi avallato la legittimità della scelta effettuata dal contribuente di preferire l’operazione di Lbo a modalità di acquisizione differenti e fiscalmente più onerose.

Anche l’Amministrazione finanziaria, con l’appena emanata circolare 6/E/2016, ha infine confermato la non elusività delle operazioni Lbo poste in essere in ottemperanza delle disposizioni del codice civile, riconoscendone quindi, le intrinseche ragioni extra fiscali. L’Agenzia, nella citata circolare, si sofferma in particolare ad esaminare le operazioni poste in essere da soggetti esteri, in particolare nell’ambito di operazioni di private equity e arriva finalmente ad ammettere l’inerenza degli interessi e oneri finanziari in capo alla società target oggetto di acquisizione e, quindi la deducibilità degli stessi in base alle ordinarie regole di cui agll’art. 96 Tuir (30% ROL) e, in caso di società estere, nel rispetto delle norma sul transfer pricing di cui all’art. 110 Tuir.

 

Si allega la circolare Agenzia Entrate n. 6/E/2016

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Imposte di successione e di donazione: la fine di un paradiso? 

La stampa specializzata riferisce, da qualche tempo, che il Governo Renzi sta lavorando alla revisione delle imposte di successione e di donazione al fine di aumentare la tassazione dei passaggi di proprietà mortis causa e delle liberalità. Un intervento in tal senso era già stato annunciato in sede di discussione della Legge di Stabilità 2016 ma poi è stato espunto dal testo finale della legge. Ad oggi, si ricorda, risulta sempre all’esame del Parlamento la proposta di legge n. 2830/2015 presentata il 20 gennaio del 2015 che prevede un rilevante aumento delle aliquote e ad una riduzione delle franchigie attualmente in vigore delle imposte di successione e donazione (testo allegato). 

 

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L’imposta di successione e donazione, abrogata nel periodo tra la fine del 2001 e la fine del 2006 ad opera dell’art. 13 Legge 383/2001, è stata reintrodotta nel nostro ordinamento dalla Legge n. 286/2006 (che ha convertito il DL n. 262 del 3.10.2006) con decorrenza a partire dal 03.10.2006 (per le successioni) e dal 28.11.2006 (per le donazioni) e poi modificata dalla Legge n. 296/2006.

L’imposta di successione e donazione, attualmente in vigore in Italia, è tra le più favorevoli esistenti in ambito europeo. 

In particolare le aliquote sono differenziate in ragione del soggetto beneficiario nelle seguenti misure:

- 4% con franchigia pari a 1 milione euro (per soggetto) per coniuge o parente in linea retta (figlio, nipote ..)

- 6%  con franchigia pari a 100.000 euro (per soggetto) per fratelli e sorelle

- 6% senza franchigia per altri parenti fino al 4° grado, affini in linea retta e collaterale fino al 3°grado

- 8% senza franchigia tutti altri soggetti

- 8% con franchigia pari a 1,5 milioni euro (per soggetto) in caso di beneficiario portatore di handicap

 

Inoltre risultano di particolare favore le varie disposizioni previste in materia di modalità di calcolo del valore degli immobili e del valore delle partecipazioni sociali nonché l’esclusione dalla base imponibile per le polizze assicurative sulla vita, per i titoli del debito pubblico ed equiparati e per i trasferimenti di aziende e partecipazioni di controllo. 

La summenzionata proposta di legge n. 2830 del 20 gennaio 2015 prevede un generale aumento delle attuali aliquote, ad eccezione per i soggetti portatori di handicap e l’abbassamento generalizzato delle franchigie. Inoltre si prevede che per eredità superiore a 5 milioni di euro l’aliquota fiscale ordinaria venga triplicata.  In particolare la proposta in esame modifica l’imposta come segue:

- 7% con franchigia pari a 500.000 euro (per soggetto) per beneficiari coniuge o parente in linea retta (figlio, nipote ..) e asse ereditario non superiore a 5 milioni di euro (21% se superiore a 5 milioni di euro)

- 8%  con franchigia pari a 100.000 euro (per soggetto) per beneficiari fratelli e sorelle e asse ereditario non superiore a 5 milioni di euro (24% se superiore a 5 milioni di euro)

- 10% senza franchigia per altri parenti fino al 4° grado, affini in linea retta e collaterale fino al 3°grado, se asse ereditario non superiore a 5 milioni di euro (30% se superiore a 5 milioni di euro)

- 15% senza franchigia tutti altri soggetti se asse ereditario non superiore a 5 milioni di euro (45% se superiore a 5 milioni di euro)

- Resta all’8% con franchigia pari a 1,5 milioni euro (per soggetto) in caso di beneficiario portatore di handicap

Dalle notizie che circolano in queste settimane pare che il governo sia intenzionato effettivamente ad incrementare le aliquote e ridurre le attuali franchigie, tranne che per le successioni in linea retta (padre-figlio), per le quali potrebbero essere riviste solo le franchigie non superiori a 300-400 mila euro. Sempre notizie non ufficiali dicono inoltre che nessuna modifica vi sarebbe in cantiere per i titoli di Stato e le polizze Vita, attualmente esenti.

Riguardo alle polizze Vita occorre tuttavia dar conto della possibilità di un recepimento legislativo dell’orientamento espresso da parte dell’Agenzia delle Entrate volto a riqualificare alcuni tipi di polizze Vita, quali le polizze unit linked, che non rispondono tanto alla finalità di coprire l’assicurato da un rischio, ma al contrario lo espongono a un rischio finanziario in quanto in realtà consistono sostanzialmente in gestioni patrimoniali diversamente denominate. Tale riqualificazione potrebbe comportare la tassazione di tali tipologie di Polizze Vita in sede di successione. 

 

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Legge di Stabilità 2016 – agevolazioni e nuovi obblighi in tema di locazioni

La legge di Stabilità 2016 (L. n. 208/15, G.U. n. 208, S.O. n. 70, del 28 dicembre 2015)  ha introdotto agevolazioni e nuovi obblighi nell’ambito delle locazioni di immobili ad uso abitativo; di seguito una breve disamina delle novità in oggetto.

 

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Obbligo di registrazione e comunicazione a carico del locatore

La legge di Stabilità 2016 ha posto, a carico esclusivo del locatore, l’obbligo di provvedere alla registrazione del contratto di locazione nel termine perentorio di trenta giorni dalla data della sua stipula.

Sempre a carico del locatore, è stato inoltre posto il nuovo obbligo di comunicare entro 60 giorni l’avvenuta registrazione all’inquilino e all’amministratore del condominio in cui si trova l’unità immobiliare locata, anche ai fini della tenuta c.d. “anagrafe condominiale” (articolo 1130, numero 6), cod. civ.), in cui vengono riepilogati i dati dei singoli proprietari, dei titolari di diritti reali e dei diritti personali di godimento (tra cui rientra, per l’appunto, la locazione), i dati catastali di ciascuna unità immobiliare nonché ogni dato relativo alle condizioni di sicurezza delle parti comuni dell’edificio. Si tratta della comunicazione della sola avvenuta registrazione, non dei dettagli della registrazione (durata, canone, eventuale opzione per la cedolare secca), che non entrano nell’anagrafe condominiale.

Si precisa che la legge di Stabilità 2016 non è intervenuta sull’art. 10, comma 1, lett. a), del d. P.R. n.131/86 (T.U. imposta di registro) che, con particolare riguardo all’obbligo di registrazione dei contratti di locazione, continua a prevedere, per le “scritture private non autenticate” (tra cui rientrano, tipicamente, i contratti di locazione), l’obbligo di richiedere la registrazione a carico di tutte le “parti contraenti” (e, quindi, non solo del proprietario). Quindi, in base alla normativa fiscale, il conduttore resta ancora obbligato alla registrazione. Risulta evidente, però, che se la registrazione avviene a cura del conduttore l’obbligo di comunicazione all’amministratore (ma ovviamente non all’inquilino) resta  a carico del locatore.

Anche l’articolo 57 dello stesso decreto 131/1986 non è stato modificato dalla legge di Stabilità 2016 e continua a prevedere la responsabilità solidale delle parti per il pagamento dell’imposta di registro, unitamente alla responsabilità solidale prevista per i mediatori immobiliari di cui alla L. n. 39/1989, in caso di scritture private non autenticate di natura negoziale stipulate a seguito del loro intervento.

Il “nuovo” obbligo di registrazione ad esclusivo carico del proprietario scatta naturalmente solo nelle ipotesi di contratti di locazione soggetti a registrazione obbligatoria, ossia per quei contratti aventi durata superiore ai 30 giorni nel corso dell’anno. La legge di Stabilità 2016 non ha infatti modificato la durata temporale delle locazioni al superamento della quale scatta l’obbligo di registrazione del contratto. 

Inoltre, il nuovo obbligo non riguarda le c.d. “locazioni commerciali”, in quanto disciplinate dalla L. n.392/78, per le quali continuerà quindi a trovare applicazione la disciplina finora vigente.

 

Mancata registrazione del contratto e accertamento della sua esistenza

La legge di Stabilità 2016, al comma 59 dell’articolo 1, è poi intervenuto in tema di mancata registrazione del contratto. 

Se manca la registrazione entro 30 giorni dalla stipula, il contratto, sebbene scritto, per la legge non esiste. Ciò emerge in modo chiaro dal comma 6 dell’articolo 13 della L. n.431/1998 che espressamente concede la facoltà al conduttore, nel caso di omessa registrazione nei termini, di ricorrere avanti l’autorità giudiziaria al fine di fare «accertare l’esistenza del contratto» riconducendolo alle condizioni “legali” di cui agli articoli 2, co.1 (contratto c.d. “libero”, 4+4) e 2, co.3, (contratto c.d. “concordato”, 3+2) della L. n.431/1998 e di chiedere al giudice di determinare il canone dovuto tenendo conto dei criteri di legge. Si segnala che il canone così stabilito non potrà eccedere il “(…) valore minimo definito ai sensi dell’articolo 2 ovvero quello definito ai sensi dell’articolo 5, co.2 e 3, (…)”, senza che, peraltro, sia stato chiarito se, in virtù del richiamo dell’articolo 2, occorra far riferimento ai contratti “liberi” o a quelli “concordati”.

 

Agevolazioni nella fiscalità locale per i contratti di locazione a “canone concordato”

Ulteriori interessanti novità hanno interessato i contratti di locazione a “canone concordato” nell’ambito della fiscalità locale.

Il comma 53 dell’articolo 1 della legge di Stabilità 2016, infatti, ha introdotto una riduzione del 25% dell’IMU per i proprietari che concedono il proprio immobile in locazione a canone concordato.

Il successivo comma 54 ha stabilito un’analoga riduzione anche ai fini TASI, per la quale viene prevista una riduzione al 75% dell’imposta dovuta da proprietari e inquilini, in caso di immobili abitativi concessi in locazione a “canone concordato”.

Si precisa che le disposizioni agevolative di cui sopra trovano applicazione, quindi, solo nel caso di contratti di locazione abitativa stipulati ai sensi dell’articolo 2, co.3, della L. n.431/1998, i quali hanno una durata di tre anni, ulteriormente prorogata di due anni se al termine del triennio non si procede ad accordo sul rinnovo (3+2) e per i quali il valore del canone ed altre condizioni contrattuali sono “convenzionati” o, per l’appunto, “concordati”, in quanto non liberamente pattuiti tra le parti ma stabiliti in base agli accordi tra le organizzazioni maggiormente rappresentative della Proprietà e degli Inquilini di concerto con le Istituzioni interessate.

 

Possibilità di pagamento dei canoni di locazione in contanti

Nell’ambito delle novità apportate in tema di pagamenti in contanti, l’articolo 1, comma 902, della legge di Stabilità 2016 è intervenuto anche sulle modalità di corresponsione dei canoni di locazione abitativa, abrogando l’art.12, co.1.1, del D.L. n.201/2011.

La disposizione citata prevedeva che i pagamenti dei canoni di locazione abitative (ad eccezione di quelli di alloggi di edilizia residenziale pubblica), dovevano essere effettuati obbligatoriamente, a prescindere dall’importo, in forme e con modalità che escludessero l’uso del contante e ne garantissero la tracciabilità, anche ai fini della asseverazione dei patti contrattuali per l’ottenimento delle agevolazioni e detrazioni fiscali da parte del locatore e del conduttore. In conseguenza dell’abrogazione operata, con effetto dal 1° gennaio 2016 sarà possibile pagare i canoni di locazione abitativa anche in contanti, fermo restando il limite dei € 2.999,99 (nuovo ammontare a partire dal quale è vietato il trasferimento di denaro contante o di libretti di deposito bancari o postali al portatore in conseguenza delle modifiche apportate dall’articolo 1, comma 898, sempre della legge di Stabilità 2016).

Si segnala che l’intervento normativo ha fatto seguito alla  nota n. 10492 del 5 febbraio 2014, con la quale il Ministero dell’economia e delle finanze aveva chiarito che le transazioni “critiche” fossero solo i pagamenti di canoni sopra soglia (all’epoca, € 999,99); erano di fatto, dunque già ammessi – nonostante l’esplicito divieto normativo – i pagamenti di canoni di locazione abitativa in contanti (sotto la soglia dei € 1.000), a condizione di produrre una “(…) prova documentale, comunque formata, purché chiara, inequivoca e idonea ad attestare la devoluzione di una determinata somma di denaro contante al pagamento del canone di locazione (…)” (ad esempio, la ricevuta di pagamento del canone, con relativa apposizione del bollo ove dovuto).

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Monitoraggio capitali esteri: RW semplificato per i dossier titoli

L’Agenzia delle Entrate, in occasione di Telefisco 2016, ha fornito una interpretazione nuova quanto attesa in tema di modalità per la compilazione del quadro RW. La novità riguarda le modalità di indicazione in presenza di un dossier titoli, sia ai fini del monitoraggio fiscale che ai fini dell’assolvimento dell’imposta sulle attività finanziarie estere Ivafe.

 

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L’Agenzia delle Entrate, in via interpretativa, ha finalmente semplificato le modalità di compilazione del quadro RW in presenza di dossier titoli, venendo così incontro a tutti quegli operatori che si sono confrontati con le difficoltà pratiche di compilazione in presenza di portafogli complessi e con numerose operazioni di compravendita in corso d’anno. 

Il tema in oggetto è di particolare attualità a seguito dell’adesione alle procedure di voluntary disclosure  ed ai connessi adempimenti per l’anno 2014. 

In particolare l’Agenzia, intervenendo ad un quesito sulla compilazione del quadro Rw con riferimento all’aspetto sanzionatorio, ha avuto modo di chiarire che non è necessario indicare in RW i singoli strumenti finanziari, compilando un rigo del modello per ogni titolo posseduto e movimentato nel corso dell’anno, ma è sufficiente indicare come valore iniziale e finale, rispettivamente, il valore al 31/12 dell’anno precedente e al 31/12 dell’anno di riferimento del valore complessivo del dossier risultante dalla documentazione fornita dall’intermediario estero, oltre ai giorni di possesso dell’investimento unitariamente considerato. E’ stato osservato che tale nuovo approccio richiederà qualche adattamento delle istruzioni alla dichiarazione per cui, a titolo di esempio, non sarà più possibile – compilando una sola riga – utilizzare più codici distintivi delle attività finanziarie ma occorrerà utilizzare il codice residuale quale «Altre attività estere di natura finanziaria». 

Infine, circa l’aspetto sanzionatorio, l’Agenzia ha precisato che in caso di mancata compilazione del quadro RW la sanzione, da un lato, va calcolata sul valore dell’attività estera nell’ultimo giorno di possesso e, dall’altro,  deve essere  ragguagliata ai giorni di possesso.

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Disciplina e agevolazioni fiscali per il leasing abitativo

Una novità prevista dalla legge di Stabilità 2016 è l’introduzione di disposizioni agevolative per il leasing immobiliare. Lo scopo è quello di incentivare la ripresa del mercato immobiliare agevolando l’utilizzo del leasing per l’acquisto di immobili ad uso abitativo in alternativa al tradizionale acquisto finanziato con mutuo ipotecario; il leasing, come noto, garantisce subito la disponibilità del bene, ma consente di dilazionare il pagamento mediante la corresponsione di canoni periodici e di rinviare ad un momento futuro l’eventuale atto di trasferimento della proprietà ad un prezzo ridotto. Si esamina la nuova disciplina alla luce dell’analisi contenuta nello Studio del Consiglio Nazionale del Notariato n. 4-2016/T e dei chiarimenti forniti in occasione di Telefisco 2016.

 

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Il comma 83 dell’art. 1 della L. n. 208/2015 (legge di stabilità 2016) ha previsto una disciplina civilistica speciale per i contratti di locazione finanziaria aventi ad oggetto immobili da adibire ad abitazione principale dell’utilizzatore, con la previsione di particolare agevolazioni fiscali. 

Sotto il profilo civilistico, in deroga alle regole generali, nel leasing abitativo l’utilizzatore è assimilato al compratore e subisce, pertanto tutti i vizi e i rischi dovuti ad esempio al perimento dell’immobile; regole derogatorie rispetto alla disciplina ordinaria del leasing vengono previste in caso di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore (la società leasing rientra nel possesso del bene e può venderlo a valori di mercato); è previsto il divieto di revocatoria fallimentare e la possibilità per l’utilizzatore di richiedere la sospensione del pagamento dei corrispettivi periodici, per non più di una volta e per un periodo massimo complessivo non superiore a 12 mesi, nel corso dell’esecuzione del contratto.

Sotto il profilo fiscale sono introdotte due nuove agevolazioni con riguardo ai contratti di leasing abitativo stipulati nel periodo dall’1.1.2016 al 31.12.2020; il 31 dicembre 2020 rappresenta la data entro la quale deve essere stipulato il contratto di leasing, a prescindere dal fatto che gli effetti contrattuali si protragga anche oltre. 

In particolare viene introdotta una detrazione Irpef del 19% sui canoni di leasing (fino a 8.000 euro) e sul prezzo di riscatto (fino a 20.000 euro), a favore dell’utilizzatore sotto i 35 anni e con reddito non superiore a 55.000 euro, nel caso di leasing aventi ad oggetto immobili da adibire ad abitazione principale entro un anno dalla consegna. La detrazione è ridotta se l’utilizzatore supera i 35 anni di età ed è pari al 19% dei canoni di leasing (fino ad un importo di 4.000,00 euro) e del prezzo di riscatto (fino all'importo di 10.000,00 euro).

Secondo i Notai il superamento, nel corso del contratto di leasing, del limite di età (di 35 anni) e del limite di reddito (55mila euro), non comporta la perdita del diritto alla detrazione. Resta invece da chiarire se per “reddito complessivo” si debba far riferimento al reddito del periodo d’imposta nel quale il contratto viene stipulato oppure al reddito risultante dall’ultima dichiarazione dei redditi presentata dal contribuente in questione.

Ulteriore requisito per la detrazione è che l’utilizzatore non sia titolare “di diritti di proprietà su immobili a destinazione abitativa”, ma non è specificato se a tale fine rilevano anche le quote di comproprietà, la proprietà nuda e i diritti reali di godimento, come l’usufrutto.

La seconda agevolazione fiscale riguarda la tassazione indiretta degli atti di leasing. E’ disposto che all’atto di acquisto da parte di società di leasing di immobili non di lusso da concedere in leasing a soggetti con i requisiti “prima casa” si applichi l’imposta di registro ridotta nella misura dell’1,5% (in luogo del 2%) e le ipotecarie e catastali in misura fissa; in caso di trasferimenti soggetti ad Iva, nelle medesime condizioni, si applica con l'aliquota agevolata del 4% (oltre a imposte di registro, ipotecaria, catastale e bollo per 920 euro).

L’agevolazione si applica anche all’atto di cessione del contratto di leasing immobiliare avente ad oggetto un immobile abitativo non di lusso, a favore dei soggetti per i quali ricorrono le condizioni di “prima casa” che sconta sempre l’imposta di registro dell’1,5%.

Secondo il Notariato la base imponibile dell'imposta di registro deve essere applicata sul prezzo pattuito, non potendo trovare applicazione il "prezzo valore" e quindi la tassazione su base catastale.

In occasione di Telefisco 2016 l’Agenzia ha fornito alcuni chiarimenti circa le modalità per usufruire dell’agevolazione prima casa nel caso di leasing abitativo. Si ricorda, infatti, che i requisiti per beneficiare dell’agevolazione (non essere «titolare, neppure per quote, anche in regime di comunione legale su tutto il territorio nazionale dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata dallo stesso soggetto o dal coniuge con le agevolazioni»  e non essere «titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l'immobile da acquistare) devono sussistere in capo all’utilizzatore e tali condizioni devono risultare da specifiche dichiarazioni rese in atto. Secondo l’Agenzia delle Entrate, tali dichiarazioni potranno essere rese dall’utilizzatore sin da subito nell’atto di acquisto dell’immobile da parte della società di leasing, oppure nel contratto di leasing; in tale secondo caso, tuttavia, è necessario che il contratto di leasing, che in linea generale è soggetto a registrazione solo in caso d’uso, venga invece registrato unitamente all’atto di trasferimento dell’immobile. Nel caso invece in cui nel contratto di trasferimento dell’immobile alla società di leasing nel quale interviene anche l’utilizzatore si faccia riferimento al precedente contratto di leasing stipulato e non registrato, detta enunciazione comporta l’applicazione dell’imposta di registro, in misura fissa, anche per l’atto enunciato.

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Agevolazione Irpef sull’acquisto di immobili dai costruttori

Al fine di incentivare la ripresa del settore immobiliare, la legge di Stabilità 2016 ha introdotto,  per l’anno 2016, una importante agevolazione per chi acquista una abitazione direttamente dall’impresa costruttrice. L’agevolazione consistente nella detrazione dall'Irpef del 50% dell'importo corrisposto a titolo di Iva sull'acquisto di abitazioni di classe energetica A o B. 

La detrazione irpef è ripartita in 10 quote annuali.

 

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Il comma 56 dell’art. 1 della L. n. 208/2015 (legge di stabilità 2016) ha previsto una detrazione dall’ Irpef pari al 50% dell’importo corrisposto per il pagamento a titolo di Iva:

- per l’acquisto effettuato dal 1° gennaio al 31 dicembre 2016,

- di unità immobiliari a destinazione residenziale di classe energetica A o B,

- cedute dalle imprese costruttrici.

La detrazione è pari al 50% dell’imposta dovuta sul corrispettivo d’acquisto ed è ripartita in dieci quote costanti nell’anno in cui sono state sostenute le spese e nei nove periodi d’imposta successivi.

 

Nel corso del recente Telefisco 2016 l’Agenzia delle Entrate ha fornito alcune precisazioni in merito alla suddetta detrazione. 

In particolare l’Amministrazione finanziaria ha ritenuto che dal tenore letterale della norma il presupposto dell’agevolazione sia l’acquisto di immobili nuovi venduti direttamente dalle imprese costruttrici dei medesimi. Di conseguenza, secondo l’Agenzia, sono escluse le vendite effettuate da imprese che hanno solo eseguito lavori di recupero edilizio (di ristrutturazione edilizia, di manutenzione straordinaria o di restauro e risanamento conservativo). In queste ultime ipotesi, infatti il contribuente può beneficiare di altra disposizione agevolativa: ovvero della detrazione IRPEF del 36-50% di cui all’art. 16-bis comma 3 del TUIR spettante all’acquirente o all’assegnatario di unità immobiliari site in fabbricati interamente recuperati da imprese di costruzione o ristrutturazione immobiliare e da cooperative edilizie, tramite interventi di restauro e risanamento conservativo o ristrutturazione edilizia.

 

Sempre in occasione di Telefisco 2016 l’Agenzia delle Entrate ha ulteriormente chiarito, con una interpretazione letterale e restrittiva della norma che, nel caso in cui sia stata Iva in acconto, l’agevolazione non compete:

- se l’acconto è stato pagato nel 2015 e la vendita è stipulata nel 2016: in materia vige infatti il principio di cassa ed è dunque necessario, per beneficiare della nuova agevolazione, che l’Iva sia pagata nel periodo d’imposta 2016;

- se l’acconto è stato pagato nel 2016 e la vendita è stipulata nel 2017:  in quanto la norma si applica agli acquisti effettuati o da effettuare entro il 31 dicembre 2016.

L’Agenzia ha chiarito inoltre che, nel silenzio della norma, si deve ritenere applicabile la detrazione all’immobile acquisito nel 2016 anche nel caso in cui l’impresa costruttrice, nell’attesa di trovare un acquirente, abbia precedentemente concesso in locazione il medesimo immobile.

 

Affinché possa operare la detrazione in oggetto è necessario che, sulla vendita dell’unità immobiliare, vi sia l’addebito dell’IVA in rivalsa da parte del costruttore. 

Non sono, dunque, ricompresi nell’agevolazione gli acquisti di immobili per i quali il costruttore non ha optato per l’applicazione dell’Iva ai sensi dell’art. 10 comma 1 n. 8-bis del DPR n. 633/72 (ovvero in ipotesi di fabbricati ceduti dal costruttore dopo 5 anni dall’ultimazione dei lavori, in regime di esenzione Iva) salvo il diritto di opzione per l’imposta da parte del cedente.

Ai sensi del citato n. 8-bis, la cessione di fabbricati abitativi da parte delle imprese costruttrici può essere assoggettata all’IVA anche dopo i cinque anni dalla fine dei lavori, purché l’impresa abbia manifestato espressamente l’opzione per la relativa imposizione. In tal caso, la detrazione Irpef del 50% dell’Iva pagata può essere riconosciuta indipendentemente dalla data di fine lavori. In tal senso si è espressa anche l’Agenzia delle Entrate nel corso di Telefisco 2016.

 

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Legge di Stabilità 2016 - Ampliato l’accesso all’agevolazione “prima casa”

 

La legge 28 dicembre 2015 n. 208 (legge di Stabilità 2016) ha introdotto, con effetto dal 1° gennaio 2016, un nuovo presupposto applicativo dell'agevolazione “prima casa” volto ad adeguarne la disciplina alle attuali difficoltà della contrattazione immobiliare.

In particolare è stata modificata la nota II-bis all’art. 1 della Tariffa, parte prima, del D.P.R. n. 131/1986 (Testo Unico Imposta di Registro), aggiungendo il comma 4-bis che consente al proprietario di un immobile, nel momento in cui decide di cambiare casa comprandone una nuova, di beneficiare nuovamente delle agevolazioni “prima casa” a condizione che il vecchio immobile sia venduto entro un anno dall’acquisto del nuovo. Nel caso in cui tale condizione non si realizzi, si renderà applicabile l’imposta di registro nella misura ordinaria, gli interessi e una sanzione pari al 30 per cento sulla differenza dell’imposta stessa.

 

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Il nuovo comma 4-bis, introdotto dalla Legge di Stabilità 2016, nella citata nota II-bis, dispone che «l'aliquota del 2 per cento si applica anche agli atti di acquisto per i quali l'acquirente non soddisfa il requisito di cui alla lettera c) del comma 1 e per i quali i requisiti di cui alle lettere a) e b) del medesimo comma si verificano senza tener conto dell'immobile acquistato con le agevolazioni elencate nella lettera c), a condizione che quest'ultimo immobile sia alienato entro un anno dalla data dell'atto. In mancanza di detta alienazione, all'atto di cui al periodo precedente si applica quanto previsto dal comma 4».

 

Per comprendere la portata del nuovo disposto normativo è necessario ricordare due dei presupposti per  la concessione dell'agevolazione “prima casa” previsti dalla nota II-bis, alla Tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. 131/1986:

 il primo presupposto concerne la “novità” dell'agevolazione (prevista dalla lettera c), nota II-bis, comma 1): la concessione dell'agevolazione è condizionata dal fatto che l'acquirente non sia «titolare, neppure per quote, anche in regime di comunione legale su tutto il territorio nazionale dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata dallo stesso soggetto o dal coniuge con le agevolazioni» tempo per tempo disposte dalle normativa in tema di acquisto della “prima casa”;

 il secondo è inerente la cosiddetta “impossidenza” (prevista dalla lettera b), nota II-bis, comma 1): l'agevolazione “prima casa” compete se l'acquirente non è «titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l'immobile da acquistare».

 

Coordinando, dunque, il disposto della Nota II-bis, comma 1, lettera b) e c), con il disposto del nuovo comma 4-bis della medesima nota, ne consegue che la situazione di “prepossidenza” di un'altra abitazione si rende ostativa alla concessione di una ulteriore agevolazione “prima casa” salvo che si renda possibile la alienazione infrannuale di cui oltre, nel senso che :

 se si tratta di una “prepossidenza” provocata da un acquisto effettuato con le agevolazioni “prima casa”, tale “prepossidenza” non è ostativa all'ottenimento di una nuova agevolazione purchè si abbia l'alienazione della prima abitazione entro un anno dal nuovo acquisto agevolato;

 se invece si tratta di una “prepossidenza” non provocata da un acquisto effettuato con le agevolazioni “prima casa” (ad esempio per acquisti per successione ereditaria o mediante un contratto di compravendita non agevolato), tale “prepossidenza” si rende ostativa all'ottenimento di una nuova agevolazione “prima casa” anche se l’immobile viene alienato entro un anno dal nuovo acquisto agevolato.

 

Sono rimasti invariati invece gli altri requisiti previsti per usufruire dell’agevolazione “prima casa”:

 l’abitazione deve essere situata nel territorio del Comune in cui l’acquirente ha o stabilisca entro 18 mesi dall’acquisto la propria residenza, oppure nel territorio del Comune in cui egli svolge la propria attività o, se trasferito all’estero per ragioni di lavoro, in quello in cui ha sede o esercita l’attività il soggetto da cui dipende; nel caso in cui l’acquirente sia cittadino italiano emigrato all’estero, deve trattarsi della “prima casa” sul territorio italiano. La dichiarazione di voler stabilire la residenza nel Comune in cui è situata l’abitazione acquistata deve essere resa, a pena di decadenza, nell’atto di acquisto (lett. a) della nota II-bis di cui all’articolo 1 della Tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. 131/1986);

 l’immobile oggetto di agevolazione deve essere un immobile abitativo non rientrante nelle categorie A1 (abitazioni signorili), A8 (ville) o A9 (castelli e palazzi di eminente pregio dal punto di vista storico e artistico).

 

Nel corso del recente Telefisco 2016, è stato confermato che la novità trova applicazione non solo alle cessioni, poste in essere dall'1.1.2016, soggette ad imposta di registro, ma anche:

- alle cessioni di abitazioni imponibili ad IVA (a norma del n. 21 della Tabella A, Parte II, allegata al DPR 633/72), alle quali si applica l'aliquota IVA del 4%;

- ai trasferimenti di abitazioni a titolo gratuito operati mortis causa o inter vivos (nel qual caso, tuttavia, l'agevolazione implica l'applicazione delle sole imposte ipotecaria e catastale in misura fissa mentre le imposte sulle successioni e donazioni restano dovute in misura ordinaria), purché nella dichiarazione di successione con cui si acquista il nuovo immobile si esprima l'impegno a trasferire entro 1 anno l'immobile preposseduto.

L’applicabilità della novità normativa alle cessioni poste in essere dall'1.1.2016, poi, implica che non è possibile richiedere il rimborso dell'imposta corrisposta in misura ordinaria per un acquisto operato nel 2015, anche se l’abitazione preposseduta viene  alienata nel 2016.

Inoltre, è stato chiarito che, sebbene non sia stato modificato anche l'art. 7 della L. 448/98 che disciplina il credito di imposta per il riacquisto della prima casa, il credito di imposta trova applicazione:

 sia quando il riacquisto viene effettuato entro un anno dall'alienazione;

 sia nel caso in cui l'alienazione della "vecchia" prima casa segua il nuovo acquisto (purché avvenga entro 1 anno da esso).

 

Si segnala che la materia è stata oggetto anche di un recente approfondimento da parte del Consiglio Nazionale del Notariato (studio tributario 5-2016/T, allegato).

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Superammortamenti introdotti dalla Legge di Stabilità 2016

Al fine di agevolare gli investimenti in beni strumentali nuovi, la legge di stabilità per il 2016, art. 1 c. 91 e seguenti della Legge n. 208 del 28 dicembre 2015 (GU n. 302 del 30 dicembre 2015) ha introdotto a favore di imprese e professionisti i cosiddetti “super-ammortamenti”, ovvero ammortamenti calcolati su un costo maggiorato del 40%.

 

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La nuova previsione agevolativa consiste nella maggiorazione del 40% del costo fiscale dei beni materiali nuovi acquistati, anche in leasing, dal 15 ottobre 2015 al 31 dicembre 2016, ai fini del calcolo delle quote di ammortamento e dei canoni di leasing deducibili dall’imponibile Ires e Irpef. Di contro i maggiori ammortamenti non rilevano ai fini Irap e ai fini della determinazione delle plusvalenze/minusvalenze in caso di cessione del bene.

In caso di locazione finanziaria, come illustrato da Assilea nella propria circolare n. 25/2015, i super canoni sono determinati sulla quota capitale aumentata del 40%, una volta scorporata la quota interessi. L'agevolazione dovrebbe essere estesa alle quote di ammortamento successive al riscatto, da calcolarsi pertanto sul prezzo sostenuto per il riscatto del bene (al netto dell'IVA detraibile), aumentato del 40%.

L’agevolazione riguarda l’acquisto di beni strumentali nuovi, effettuati dal 15.10.2015 al 31.12.2016, ad esclusione dei fabbricati e di beni con coefficiente di ammortamento inferiore al 6,5%; sono agevolabili gli acquisti di autoveicoli anche a deducibilità limitata (per i quali il limite di deducibilità, anch’esso aumentato del 40% passa da 18.076 euro a 25.306 euro - e da 25.823 euro a 36.152 euro per gli agenti).

I beneficiari sono le imprese e gli esercenti arti e professioni, indipendentemente dal regime contabile adottato; sembrano esclusi i contribuenti forfettari che non deducono quote di ammortamento ma l’intero costo sostenuto nell’anno di pagamento.

L’agevolazione spetta sia in caso di acquisizione diretta che in caso di acquisto tramite locazione finanziaria, a partire dall'entrata in funzione del bene; non spetta in caso di noleggio del bene al noleggiatore ma resta in capo alla società di noleggio.

L’agevolazione in oggetto non ha effetto ai fini del calcolo dell’acconto dovuto per il periodo di imposta 2016, così come previsto dall’art. 1 comma 94 Legge 208/2015; gli acconti Ires ed Irpef 2016 andranno dunque calcolati secondo le regole ordinarie.

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Nuove agevolazioni Irpef previste dalla Legge di Stabilità 2016

La legge di stabilità per il 2016 Legge n. 208 del 28 dicembre 2015 (GU n. 302 del 30 dicembre 2015), in vigore dall’1.1.2016, ha previsto nuove e significative detrazioni a favore delle persone fisiche, ed inoltre ha prorogato per tutto il 2016 le detrazioni Irpef già previste per gli interventi di ristrutturazione edilizia.

 

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La Legge di stabilità 2016, con decorrenza dal 1 gennaio 2016, ha introdotto delle nuove detrazioni Irpef al fine di agevolare l’acquisto di immobili. In particolare sono state previste le seguenti detrazioni per l’acquisto di abitazioni principali e della prima casa:

- detrazione per l’acquisto di mobili da parte delle “giovani coppie”: 

l’agevolazione, pari al 50% della spesa sostenuta, spetta alle coppie sposate o conviventi more uxorio, che abbiano costituito un nucleo familiare da almeno tre anni e nelle quali uno dei due componenti non abbia superato i trentacinque anni di età, che acquistano un’unità immobiliare da adibire ad abitazione principale (presupposto necessario è l’acquisto dell’abitazione principale e non la sua ristrutturazione). La norma non specifica chiaramente i termini temporali relativi all’acquisto: se l’acquisto deve essere effettuato nel 2016 o sono agevolabili anche spese per arredi su acquisti di abitazioni fatte in anni precedenti. La detrazione è quantificata sulla base delle spese documentate sostenute dall’1.1.2016 al 31.12.2016 per l’acquisto di mobili ad arredo (esclusi gli elettrodomestici) dell’unità abitativa destinata ad abitazione principale per un ammontare complessivo non superiore a 16.000,00 euro, da ripartire tra gli aventi diritto in 10 quote annuali di pari importo;

- detrazione per l’acquisto della prima casa con leasing: 

viene prevista una nuova detrazione Irpef del 19% per i contratti di locazione finanziaria relativi ad unità immobiliari da destinare ad abitazione principale; la detrazione si calcola sull’importo dei canoni e dei relativi oneri non superiore a 8.000 euro e sul prezzo di riscatto, non superiore a 20.000 euro. L’agevolazione viene riconosciuta nel caso in cui: a) l’unità immobiliare sia adibita ad abitazione principale entro 1 anno dalla consegna; b) il soggetto interessato abbia un’età inferiore a 35 anni (in caso contrario la detrazione è ridotta del 50%) e un reddito complessivo non superiore a € 55.000 all’atto della stipula del contratto e non sia titolare di diritti di proprietà su immobili a destinazione abitativa. 

Una nuova detrazione Irpef riguarda poi l’acquisto di immobili ad uso abitativo effettuate dai privati nei confronti delle imprese costruttrici:

- detrazione dell’IVA corrisposta per l’acquisto di immobili: 

pari al 50% dell’importo corrisposto per il pagamento dell’IVA relativa all’acquisto, effettuato entro il 31.12.2016, di unità immobiliari a destinazione residenziale di classe energetica A o B; cedute dalle imprese costruttrici. La detrazione, pari al 50% dell’imposta dovuta sul corrispettivo d’acquisto, è ripartita in 10 quote annuali;

Sempre in ambito immobiliare sono state prorogate a tutto il 2016 le seguenti detrazioni Irpef relative agli interventi sugli immobili:

- Detrazione pari al 50% delle spese sostenute per interventi volti al recupero del patrimonio edilizio, nel limite massimo di spesa detraibile pari a 96.000,00 euro per unità immobiliare; 

- Detrazione pari al 50% delle spese sostenute per l’acquisto o l’assegnazione di unità immobiliari site in fabbricati interamente recuperati con interventi di restauro e risanamento conservativo o ristrutturazione da imprese e cooperative edilizie, entro l’importo massimo di 96.000,00 euro per unità immobiliare;

- Detrazione pari al 50% delle spese per l’acquisto di mobili e grandi elettrodomestici adibiti all’arredo dell’immobile oggetto di ristrutturazione, nel limite massimo di spesa pari a 10.000,00 euro e indipendentemente dall’importo delle spese sostenute per i lavori di ristrutturazione;

- Detrazione pari al 65% delle spese per gli interventi di riqualificazione energetica; per le spese sostenute dall’1.1.2016 al 31.12.2016 per interventi di riqualificazione energetica di parti comuni degli edifici condominiali, i soggetti Irpef che si trovano nella “no tax area” per i quali l’IRPEF non è dovuta possono optare per la cessione della detrazione ai fornitori che hanno effettuato i predetti interventi;

- Detrazione pari al 65% delle spese relative alle misure antisismiche e alle opere di messa in sicurezza statica degli edifici, nel limite massimo di 96.000,00 euro per ciascuna unità immobiliare facente parte dell’edificio.

 

Si segnala inoltre che la legge di stabilità ha previsto, sempre a partire dall’1.1.2016, l’aumento degli importi delle detrazioni IRPEF per i titolari di redditi di pensione con un reddito complessivo fino a 15.000,00 euro, così che l’esenzione dall’IRPEF (c.d. “no tax area”) si verifica per i pensionati:

 con meno di 75 anni di età e un reddito complessivo fino a 7.750,00 euro;

 con almeno 75 anni di età e un reddito complessivo fino a 8.000,00 euro.

Con effetto retroattivo dal periodo d’imposta 2015, vengono infine riviste le seguenti detrazioni Irpef del 19%:

- per spese funebri sostenute in dipendenza della morte di persone, senza più alcuna limitazione in relazione al rapporto di coniugio/parentela/affinità, su un importo massimo di 1.550,00 euro per ciascun decesso;

- per spese per la frequenza di corsi di istruzione, con estensione a quelle sostenute presso università non statali in misura non superiore a quella stabilita annualmente per ciascuna facoltà universitaria con decreto del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, tenendo conto degli importi medi delle tasse e dei contributi dovuti alle università statali.

 

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Il Punto sulle spese di rappresentanza: omaggi e cene natalizie

Rinviando a quanto già illustrato nella newsletter 21/2015 in merito ai nuovi limiti di deducibilità delle spese di rappresentanza, che entreranno in vigore dal 1° gennaio 2016, si coglie l’occasione per riassumere la normativa vigente in tema di omaggi e cene aziendali, anche in considerazione dell’approssimarsi delle festività natalizie.  

 

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Come già segnalato, il  DLgs. 14.9.2015 n. 147 (G.U. 22.9.2015 n. 220) ha innalzato, a decorrere dal 2016, le percentuali di deducibilità delle spese di rappresentanza come segue:

- 1,5% (invece del 1.3%) dei ricavi e altri proventi fino a 10 milioni di euro;

- 0,6% (invece dello 0,5%)  dei ricavi e altri proventi per la parte eccedente 10 milioni e fino a 50 milioni;

- 0,4% (invece dello 0,1%) dei ricavi e altri proventi per la parte eccedente 50 milioni.

Conseguentemente le spese sostenute sino alla fine del corrente anno 2015, purché rispondenti ai criteri di cui al  DM 19/11/2008 (gratuità dell’erogazione, finalità promozionale o di pubbliche relazioni ragionevolezza della spesa in funzione dell’obiettivo di generare benefici economici, anche potenziali e della coerenza con gli usi commerciali di settore) saranno deducibili applicando le percentuali anzidette.

Secondo quanto disposto dall’art. 108, co. 2, D.P.R. 917/1986, anche i costi sostenuti per l’acquisto di beni destinati ad essere omaggiati a terzi, quali clienti e fornitori, devono essere ricompresi tra le spese di rappresentanza. Tali costi sono deducibili ai fini delle imposte sui redditi: 

- integralmente, se di valore unitario non superiore a € 50 (considerando nel costo la parte dell’Iva indetraibile);

- nel rispetto dei requisiti e dei limiti di deducibilità previsti per le spese di rappresentanza sopra indicati, se di valore unitario superiore a € 50.

Per quanto concerne l’Iva sul costo per l’acquisto di beni destinati ad omaggio, l’art. 19 bis1, co. 1, lett. h), D.P.R. 633/1972 prevede:

1) la detraibilità dell’IVA se di costo unitario non superiore a € 50,00; 

2) l’indetraibilità dell’IVA, se di costo unitario superiore a € 50,00.

Si precisa che la successiva cessione gratuita del bene (omaggio), indipendentemente dal suo valore, è esclusa dal campo di applicazione dell’IVA per effetto di quanto previsto dall’art. 2, co. 2, n. 4), D.P.R. 633/1972. 

Si ricorda con decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze tali soglie potranno essere riviste unitamente al limite di deducibilità integrale dei beni distribuiti gratuitamente.

 

Diverse considerazioni valgono nel caso in cui gli omaggi siano destinati ai dipendenti. In tal caso, infatti, i costi sostenuti per il loro acquisto sono da ricomprendere, ai fini delle imposte, tra le erogazioni liberali a favore dei lavoratori concesse in occasioni di festività o ricorrenze alla generalità o a categorie di dipendenti, le quali beneficiano della deducibilità integrale dal reddito d’impresa ai sensi dell’art. 95 del Tuir .

Ai fini Irap, tali spese proprio in quanto rientranti  nei “costi del personale”,  non concorrono alla formazione della base imponibile Irap ai sensi degli artt. 5 e 5-bis, D.Lgs. n. 446/97, ancorché siano contabilizzati in voci diverse dalla B.9 del Conto economico.

Ai fini Iva, infine, gli omaggi destinati ai dipendenti, non possono essere considerati spese di rappresentanza, in quanto prive del requisito di sostenimento per finalità promozionali, pertanto l’Iva sul loro acquisto è indetraibile per mancanza di inerenza con l’esercizio dell’impresa.

 

Da ultimo, si considerano le spese sostenute, assai di frequente in questo periodo, per cene o buffet aziendali organizzati dall’impresa per lo scambio degli auguri.

Nel caso in cui, ai suddetti eventi, partecipino solo i dipendenti dell’impresa, i relativi costi sono deducibili nel limite del 75% della spesa sostenuta (in quanto somministrazione di alimenti e bevande) e nell’ulteriore limite del 5 per mille dell’ammontare delle spese per prestazioni di lavoro dipendente risultante dalla dichiarazione dei redditi.

Se, viceversa, all’evento sono presenti, oltre ai dipendenti, anche soggetti terzi rispetto all’impresa (clienti e fornitori), il costo sostenuto per l’organizzazione dell’evento deve essere qualificato come spesa di rappresentanza ed è  deducibile nel limite del 75% della spesa sostenuta e nel rispetto delle soglie calcolate applicando ai ricavi della gestione caratteristica le percentuali già citate.

 

Si rinvia al prospetto allegato un riepilogo del trattamento fiscale degli omaggi.

 

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Hong Kong cancellato dalle Black list

Con due decreti del 18.11.2015 (in GU del 30.11.2015) Hong Kong è stato definitivamente cancellato dalle black list di cui ai DM 23.1.2002 (ex art. 110, comma 10 Tuir) e DM 21.11.2001 (ex art. 167 del TUIR) relativi, rispettivamente, alla disciplina CFC e a quella sulla indeducibilità dei costi. 

 

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L’eliminazione di Hong Kong dai Paesi a fiscalità privilegiata è una conseguenza della ratifica dell'Accordo contro le doppie imposizioni stipulato con l’Italia con Protocollo del 14.1.2013, ad opera della Legge n. 96/2015, in vigore dal 10.8.2015.

Gli elenchi dei Paesi black list sono stati recentemente oggetto di modifiche (v. news n. 10/2015) ad opera della legge di stabilità 2015 n. 140/2014 che, intervenendo sugli artt. 167 e 110 del Tuir,  ha modificato i criteri per l’individuazione dei Paesi black list ai fini dell’applicazione della disciplina sulle Cfc e ai fini dell’indeducibilità dei costi. 

In attuazione di tale norma, si ricorderà, il DM del 27 aprile 2015 (che ha modificato il DM 23.01.2002), ha cancellato dalla black list Paesi quali Emirati Arabi, Filippine, Malaysia, e Singapore e, in generale, gli Stati che hanno stipulato con l’Italia Accordi per lo scambio di informazioni conformi all’art. 26 modello OCSE già in vigore. Rimanevano ancora fra i Paese black list Svizzera, Liechtenstein, Monaco e Hong Kong i cui Accordi sullo scambio di informazioni già stipulati e conformi non erano ancora stati ratificati.

Ora con il citato decreto del 18 novembre anche Hong Kong esce dall’elenco dei Paesi a fiscalità privilegiata. Effetto immediato è la cancellazione di Hong Kong dalla lista dei paesi non collaborativi ai fini del monitoraggio fiscale (C.M. 38/E/2013).

Ai fini della non applicazione delle norme CFC (art. 167 Tuir) e della presunzione di indeducibilità dei costi (art. 110 c. 10 Tuir) è legittimo domandarsi se la decorrenza possa essere anticipata al 2015 stante il riferimento alla data di approvazione del decreto oppure, dato che la Convenzione Italia - Hong Kong per l’Italia è valida dal 1° gennaio 2016 mentre per Hong Kong dal 1° aprile 2016 (data questa di inizio dell’anno fiscale) debba essere riferita all’esercizio 2016. Si ritiene plausibile che per l’esercizio 2015 (UNICO 2016) debbano continuare ad applicarsi le vecchie regole, sia ai fini della CFC, sia dell’obbligo di indicare separatamente i costi nel quadro RF del modello UNICO.

Nessun dubbio invece sul fatto che per le operazioni con Hong Kong rimanga immutato l’obbligo di indicazione nella comunicazione polivalente ex art. 1, comma 1, del D.L. 25.3.2010, n. 40, in quanto tale adempimento è legato all’inserimento del Paese non solo nell’elenco di cui al DM 21.11.2001 (da cui Hong Kong è uscito) ma anche nell’elenco black list di cui al DM 4 maggio 1999 (valevole ai fini della prova per la residenza fiscale dei cittadini italiani nel quale continua a esserci Hong Kong insieme a Singapore, Malaysia e Filippine). 

 

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Favorevoli chiarimenti interpretativi in materia di “esterovestizione”

Con la recente nota del 13 novembre scorso Assonime è intervenuta in materia di esterovestizione (fittizia localizzazione della residenza fiscale di società all'estero, al fine di beneficiare di una tassazione più favorevole) alla luce delle importanti indicazioni interpretative fornite dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 43809 pubblicata il 30 ottobre 2015. Nelle motivazioni della citata sentenza, con la quale la Suprema Corte ha annullato la condanna in secondo grado degli stilisti Dolce & Gabbana per evasione fiscale, è stato chiarito che una società estera non può considerarsi “esterovestita” tout court in base al luogo in cui viene esercitata la direzione e coordinamento,  ma che per tale qualificazione occorre che venga riscontrato che nella sede estera non sia svolta una attività economica effettiva. 

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Come noto, con l'articolo 73, commi 5-bis e 5-ter del TUIR, il legislatore ha introdotto dal 2006 una presunzione legale relativa di residenza in Italia di società ed enti esteri che, pur avendo la sede legale o amministrativa all'estero, detengono direttamente partecipazioni di controllo ai sensi dell'art. 2359 comma 1 c.c., in una società di capitali o altro ente commerciale residente in Italia se, allo stesso tempo: a) sono assoggettati al controllo, anche indiretto, da parte di soggetti residenti nel territorio dello Stato italiano oppure b) presentano un organo di gestione composto prevalentemente da amministratori residenti in Italia.

Ai fini della applicazione di tale presunzione, la Corte di Cassazione, nella recente sentenza sopra citata ha precisato che occorre individuare l’effettiva sede amministrativa delle società da identificarsi nel centro effettivo di direzione e svolgimento della sua attività, ove cioè risiedono gli amministratori, sia convocata e riunita l’assemblea sociale, si trovino coloro i quali hanno il potere di rappresentare la società, il luogo deputato o stabilmente utilizzato per l’accertamento dei rapporti interni e con i terzi in vista del compimento degli affari e della propulsione dell’attività dell’ente e nel quale, dunque, hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente e ove operano i suoi organi amministrativi o i suoi dipendenti".  Secondo la Cassazione occorre verificare se all’"ufficio" estero “corrisponda una "costruzione di puro artificio" volta a lucrare benefici fiscali oppure  no. "Costruzione artificiosa" e "indebito vantaggio fiscale" vanno di pari passo: il vantaggio fiscale non è indebito sol perché l'imprenditore sfrutta le opportunità offerte dal mercato o da una  più conveniente legislazione fiscale (ma anche contributiva,  previdenziale), lo è se è ottenuto attraverso situazioni non aderenti alla realtà, di puro artificio che rendono conseguentemente "indebito" il  vantaggio fiscale”.

Inoltre,  in caso di società con sede legale estera controllata ai sensi dell'art. 2359 cod. civ., non può costituire criterio esclusivo di accertamento della sede della direzione effettiva l'individuazione del luogo dal quale partono gli impulsi gestionali o le direttive amministrative ove esso si identifichi con la sede (legale o amministrativa) della società controllante italiana; in tal caso è necessario accertare anche che la società controllata estera non sia una costruzione di puro artificio, ma corrisponda a un'entità reale che svolge effettivamente la propria attività in conformità al proprio atto costitutivo o allo statuto. 

Alla luce di tali importanti chiarimenti interpretativi da parte della Cassazione, Assonime sollecita un intervento da parte dei competenti organi amministrativi allo scopo di chiarire definitivamente che in sede di accertamento di operazioni di “esterovestizione” si faccia distinzione tra la sede estera di effettivo esercizio della direzione amministrativa e gestionale della società e il luogo in cui viene esercitata l’attività di direzione e coordinamento da parte della capogruppo/consociata ai sensi dell’art. 2497 c.c., attività quest’ultima che ben può essere esercitata in Italia.

 

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Assegnazione e/o cessione agevolata dei beni ai soci

Il disegno della legge di Stabilità 2016, all'esame del Parlamento, reintroduce un regime di favore per l’assegnazione e la cessione di beni ai soci e per la trasformazione in società semplice di società commerciali, in analogia ai precedenti disposizioni agevolative (Dl n. 282/2002, Legge n. 448/2001 e Legge n. 449/1997). Le nuove disposizioni, che non riguardano solo le società di comodo, consentono di estromettere alcune tipologie di beni dal regime d'impresa con una tassazione inferiore rispetto a quella ordinaria.

 

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Le assegnazioni/cessioni agevolate sono quelle effettuate dal 1° gennaio al 30 settembre 2016. Le agevolazioni riguardano sia le imposte dirette che le imposte indirette. In particolare ai fini delle imposte dirette, è prevista l’applicazione dell’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell’IRAP nella misura dell’8%, che sale al 10,5% per le società che risultano di comodo in almeno due dei tre periodi d’imposta precedenti a quello in corso al momento della assegnazione, cessione o trasformazione ovvero nel triennio 2013-2015.

Altra rilevante agevolazione riguardala cessione agevolata degli immobili (e non l’assegnazione o la trasformazione), per la quale è previsto che ai fini della determinazione della plusvalenza è possibile utilizzare il valore catastale.

E’ altresì prevista un’imposta sostitutiva sulle riserve in sospensione d’imposta annullate, pari al 13%.

Ai fini delle imposte indirette, è prevista la riduzione alla metà dell’imposta di registro eventualmente dovuta per l’assegnazione, nonché l’applicazione delle imposte ipotecaria e catastale in misura fissa. 

Se l’operazione rientra nell’ambito di applicazione dell’IVA, a differenza delle precedenti versioni dell’agevolazione in cui si poteva pagare una maggiorazione dell’imposta sostitutiva pari al 30% dell’Iva applicabile al valore normale dei beni, con l’aliquota propria dei medesimi, con il nuovo regime si applicano regole ordinarie.

L'assegnazione o la cessione può riguarda solo i beni immobili ad esclusione di quelli strumentali per destinazione  e i beni mobili iscritti in pubblici registri non utilizzati quali beni strumentali nell'esercizio dell'impresa a favore di soci che risultino tali alla data del 30.9.2015.

La trasformazione in società semplice è agevolata solo se la società ha per oggetto esclusivo o principale la gestione dei predetti beni "agevolabili".

Per quanto compatibili, devono ritenersi applicabili alla nuova disciplina tutti i chiarimenti forniti dall’agenzia delle Entrate per le precedenti versioni (come, ad esempio, le circolari 21 maggio 1999, n. 112/E e 13 maggio 2002, n. 40/E, paragrafo 1.4).

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Internazionalizzazione delle imprese: il nuovo regime della Branch exemption 

L’art. 14 del “Decreto internazionalizzazione” DLgs. 147/2015 ha introdotto nel TUIR il nuovo art. 168-ter, che disciplina la cosiddetta “branch exemption” per le stabili organizzazioni estere di imprese italiane; tale regime opzionale consente di beneficiare, con riguardo alle SO estere della tassazione più favorevole prevista nel Paese estero dove le stesse sono localizzate. La norma in oggetto deve essere salutata con favore rappresentando indubbiamente una opzione interessante per le imprese che guardano all’espansione all’estero; di contro deve essere segnalato sin da subito che la stessa può risultare penalizzante nella misura in cui è prevista l’irrevocabilità del regime e, soprattutto, la necessità di esercitare l’opzione per tutte le S.O. indipendentemente dalla localizzazione. 

 

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Le nuove disposizioni sono applicabili dal periodo d'imposta successivo a quello in corso al 7.10.2015 e, quindi, dal 2016 per i soggetti con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare. Le S.O. estere di società con sede in Italia, come è noto, non potevano beneficiare del più favorevole regime fiscale del Paese estero. Il reddito delle stesse confluiva in quello della casa madre italiana, la quale poteva solo scomputare il credito per le imposte eventualmente pagate all’estero. 

Il nuovo art. 168-ter del TUIR, consente ora alle imprese italiane di optare per l'esenzione da imposta in Italia dei redditi prodotti dalle proprie S.O. localizzate all’estero; queste ultime potranno pertanto essere tassate esclusivamente nello Stato nel quale sono stabilite in modo da beneficiare dei risparmi d’imposta ivi garantiti, rispetto alla tassazione italiana. Se lo Stato rientra tra quelli a fiscalità privilegiata, per beneficiare della branch exemption è necessario dimostrare almeno una delle esimenti previste in materia di CFC dall’art. 167 comma 5 lettere a) o b) del TUIR (a. svolgimento effettiva attività industriale o commerciale b) dalle partecipazioni non consegue l'effetto di localizzare i redditi in Stati o territori in Paesi black-list. 

Per contro, col nuovo regime viene meno la possibilità di portate a riduzione del reddito complessivo della casa madre eventuali perdite delle SO.

L'opzione al regime di branch exeption, come già segnalato, è irrevocabile e deve riguardare tutte le S.O. estere, in base al principio “all in all out”. 

L’introduzione del regime della branch exeption potrà indurre ad una riorganizzazione all’interno dei gruppi internazionali volta a trasformare le consociate estere in S.O; né risulterà ridotto il rischio di accertamento della residenza fiscale di società controllate estere, alla luce della normativa della esterovestizione”, posta la possibilità di beneficiare della tassazione più conveniente prevista dallo Stato estero di localizzazione. 

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Importanti novità sui rendiconti annuali delle imprese a partire dal 2016

Dall’esercizio 2016 entrano in vigore numerose novità per i bilanci con riferimento ai principi generali di redazione, agli schemi di bilancio, ai criteri di valutazioni, al contenuto della nota integrativa, al rendiconto finanziario, ai bilanci in forma abbreviata, ai bilanci delle micro imprese e, infine, al bilancio consolidato. I principali interventi sono finalizzati ad una maggiore comparabilità dei bilanci e all’avvicinamento ai principi contabili internazionali. 

 

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I bilanci di impresa e bilanci consolidati relativi agli  esercizi finanziari aventi inizio a partire dal 1° gennaio 2016 saranno redatti secondo le norme introdotte dal D.L. 18 agosto 2015, n. 139.

Sintetizziamo di seguito il contenuto delle novità in commento:

Tra i principi di redazione del bilancio, vengono accolti il principio di rilevanza, secondo cui “non  occorre rispettare gli obblighi in tema di rilevazione, valutazione, presentazione ed informativa quando la loro osservanza abbia effetti irrilevanti al fine di dare una rappresentazione veritiera e corretta” e di prevalenza della sostanza sulla forma, ossia “la rilevazione e la presentazione delle voci è effettuata tenendo conto della sostanza dell'operazione o del contratto”.

Modifiche agli schemi di bilancio

Per quanto attiene allo stato patrimoniale, i costi di ricerca e pubblicità non potranno più essere capitalizzati; sia tra le immobilizzazioni finanziarie, sia tra i crediti e le attività finanziarie non immobilizzate, sia tra i debiti sono state inserite voci specifiche relative alle imprese sottoposte al controllo delle controllanti (precedentemente incluse nelle voci altre imprese/verso altri).

L’acquisto di azioni proprie verrà iscritto in bilancio in una apposita voce del patrimonio netto con segno negativo; scompare quindi la “Riserva per azioni proprie in portafoglio” e viene inserita la “Riserva negativa per azioni proprie in portafoglio”. Per quanto riguarda gli strumenti derivati, sono state inserite la “Riserva per operazioni di copertura dei flussi finanziari attesi” e voci dedicate nell’attivo tra le immobilizzazioni e nel circolante.

Per quanto riguarda invece il conto economico, tra i proventi da partecipazioni e gli altri proventi saranno separatamente indicati anche quelli derivanti da imprese sottoposte al controllo della controllante. Le rettifiche di valore comprenderanno anche le rettifiche di passività per riflettere le variazione di valore degli strumenti finanziari derivati. Infine, scompare la sezione E proventi e oneri straordinari.

 

Tra i criteri di valutazione viene introdotto il criterio del costo ammortizzato per rilevazione delle immobilizzazioni rappresentate da titoli, degli aggi e disaggi su prestiti, dei crediti e debiti.

Eliminati i riferimenti ai costi di ricerca e pubblicità (ora spesati nell’esercizio). I costi di impianto e ampliamento dovranno essere ammortizzati entro un periodo non superiore a cinque  anni.  I costi di sviluppo saranno ammortizzati secondo la loro vita utile o, nei casi eccezionali di impossibilità nella stima della vita utile, entro un periodo non superiore a cinque  anni. L'avviamento deve essere ammortizzato secondo la vita utile o, nei casi eccezionali in un periodo non superiore a dieci anni.

Introdotto anche il criterio di valutazione al fair value per gli strumenti finanziari derivati, anche se incorporati in altri strumenti finanziari. Le variazioni del fair value devono essere imputate al conto economico oppure, se lo strumento copre il rischio di variazione dei flussi finanziari attesi di altro strumento, direttamente ad una riserva positiva o negativa di patrimonio netto. Tale riserva sarà poi imputata al conto economico nella misura e nei tempi corrispondenti al verificarsi o al modificarsi dei flussi di cassa dello strumento coperto.

 

La Nota integrativa prevede una nuova informativa su impegni, garanzie e passività potenziali, ora non più risultanti in calce allo stato patrimoniale, così come la specifica indicazione dei proventi e oneri di entità o incidenza eccezionali.

Maggiori dettagli sono richiesti anche in relazione ai  rapporti economici con amministratori e sindaci, agli strumenti finanziari, al gruppo societario, alla natura e l'effetto patrimoniale, finanziario ed economico dei fatti di rilievo avvenuti dopo la chiusura dell'esercizio.

Il Rendiconto finanziario diviene un documento obbligatorio costitutivo del bilancio, assieme a conto economico, stato patrimoniale e nota integrativa. Per il contenuto del rendiconto, rimandiamo alla nostra news relativa all’OIC 10.

 

Bilancio in forma abbreviata

Sono apportate all’art 2435-bis alcune modifiche per tenere conto della disciplina introdotta dal decreto. E’ previsto l’esonero dalla redazione del rendiconto finanziario e la facoltà di iscrivere i titoli al costo di acquisto, i crediti al valore di presumibile realizzo e i debiti al valore nominale.

 

Micro imprese

Il nuovo articolo 2435-ter del codice civile introduce una apposita disciplina per il bilancio delle micro imprese, ossia le imprese che nel primo esercizio o per due esercizi consecutivi, non abbiano superato due dei seguenti limiti:

- 175.000 euro di totale dell’attivo dello stato patrimoniale;

- 350.000 € di ricavi delle vendite e delle prestazioni;

- 5 dipendenti occupati in media durante l’esercizio.

Tali entità non saranno tenute alla redazione del rendiconto finanziario, della nota integrativa e della relazione sulla gestione (a patto che siano inserite in calce allo stato patrimoniale alcune informazioni previste dagli articoli 2427 e 2428 cc.)

 

Bilancio Consolidato (D.Lgs .9 aprile 1991, n. 127)

Cambiano i limiti al di sopra dei quali è obbligatoria la redazione del bilancio consolidato: 

a) 20.000.000  euro  (anziché 17.500.000) nel  totale  degli  attivi  degli  stati patrimoniali;

b) 40.000.000 euro (anziché 35.000.000) nel totale  dei  ricavi  delle  vendite  e

delle prestazioni;

c) 250 dipendenti occupati in media durante l'esercizio (invariato).

La disapplicazione dell’esonero alla redazione è ora previsto per gli enti di interesse pubblico (come da art 16, c. 1, del d.lgs 27 gennaio 2010, n. 39).

Diviene obbligatoria la redazione del rendiconto finanziario consolidato.

Anche per il consolidato vale il principio di rilevanza menzionato per il bilancio d’impresa.

Per quanto attiene ai principi di consolidamento (art 31), la possibilità di non eliminare gli importi relativi a operazioni infragruppo è riservata alle sole operazioni concluse a  normali  condizioni di mercato, se la loro eliminazione comporta costi sproporzionati.

In tema di uniformità dei criteri di valutazione, deroghe a tale principio sono ammesse in casi eccezionali, purché indicate e motivate in nota integrativa.

 

 

 

 

 

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Dal 2016 aumenta la deducibilità delle spese di rappresentanza

Fra le misure pro-contribuente previste dal “decreto internazionalizzazione” DLgs. 14.9.2015 n. 147 (G.U. 22.9.2015 n. 220) si segnala la revisione in aumento delle soglie di deducibilità delle spese di rappresentanza attualmente previste dal DM 19.11.2008. Le nuove disposizioni entrano in vigore con decorrenza dal 2016 (Unico 2017) per i soggetti con anno d’imposta coincidente con l’anno solare.

 

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Il nuovo comma 2 dell’art. 108 del TUIR, come modificato dall'art. 9 del DLgs. 147/2015 (c.d. decreto internazionalizzazione), prevede ora la deducibilità, nel periodo di sostenimento, delle spese di rappresentanza che rispondano ai requisiti di inerenza stabiliti con decreto del Ministro dell’Economia e delle finanze, anche in funzione della natura e della destinazione delle stesse. Il requisito di congruità delle spese viene specificato nello stesso art. 108 del TUIR che fissa i nuovi limiti di congruità (prima individuati dal DM 19.11.2008), che continuano ad essere commisurati all’ammontare dei ricavi e proventi della gestione caratteristica dell’impresa (quelli fiscalmente rilevanti risultanti dalla dichiarazione dei redditi come chiarito dalla circ. n. 34/2009, § 5.1). 

I nuovi limiti di deducibilità sono i seguenti:

- 1,5% (invece del 1.3%) dei ricavi e altri proventi fino a 10 milioni di euro;

- 0,6% (invece dello 0,5%)  dei ricavi e altri proventi per la parte eccedente 10 milioni e fino a 50 milioni;

- 0,4% (invece dello 0,1%) dei ricavi e altri proventi per la parte eccedente 50 milioni.

 

Si prevede inoltre che con decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze tali soglie potranno essere riviste unitamente al limite di deducibilità integrale dei beni distribuiti gratuitamente (omaggi), ad oggi fissato in misura pari a 50,00 euro.

 

In allegato si riporta un prospetto di sintesi delle soglie di deducibilità delle spese di rappresentanza prima e dopo le modifiche apportate dal decreto internazionalizzazione.

 

 

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Paesi black list e decreto internazionalizzazione

È stato di recente approvato il c.d. “decreto internazionalizzazione” - DLgs. 14.9.2015 n. 147 (G.U. 22.9.2015 n. 220) in attuazione dell’art. 12 della L. delega 23/2014 - che interviene a modificare il quadro delle norme interne che regolano alcuni importanti profili nei rapporti internazionali tra imprese indipendenti o appartenenti al medesimo gruppo. 

Tra le varie risulta modificata, in senso meno restrittivo, la disciplina sulla deducibilità dei costi con imprese residenti in Stati o territori a fiscalità privilegiata.  Le disposizioni operano già dal periodo d’imposta 2015.

 

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In tema di deducibilità dei costi black list si è passati da una presunzione di indeducibilità ad una presunzione di deducibilità, seppur  nel limite del valore normale degli stessi (ex art. 9 del TUIR). Di contro,  per i costi che eccedono il valore normale, resta la necessità, ai fini della deducibilità del costo, di provare l’effettivo interesse economico dell’operazione ex art. 110 c. 10 Tuir.

Di conseguenza, dal 2015 in presenza di un componente negativo di spesa proveniente da fornitore residente in un Paese Black list, ivi comprese, in base alle circolari dell’Agenzia delle Entrate 51/2010 e 35/2012, le minusvalenze dei cespiti acquistati da un fornitore black list, gli interessi passivi e le quote di ammortamento, lo stesso risulta deducibile posto che il suo valore non ecceda quello “normale”. 

Per altro verso in caso di superamento del valore normale resta necessario dimostrare, come peraltro avveniva in passato in ogni caso, che l'operazione ha avuto concreta attuazione e che l'acquirente residente ne ha tratto un effettivo interesse economico. E’, quindi, questa l’unica condizione rimasta in quanto l’altra prevista dal previgente art. 110, consistente nella prova dell’esercizio effettivo di un’attività commerciale prevalente da parte del fornitore estero, è stata eliminata. 

Resta invece in vigore l’obbligo di indicare separatamente il costo nel modello UNICO, anche se non superiore al valore normale.

La novità in esame rappresenta una significativa semplificazione delle disposizioni inerenti i rapporti con imprese aventi sede nei paesi black list; tale novità normativa, unitamente alla recente revisione degli elenchi dei paesi a regime fiscale privilegiato (DM 27.4.2015, che ha modificato il DM 23.1.2002 che ha espunto dalla liste importanti paesi quali Singapore, Emirati Arabi Uniti), fa emergere un sostanziale alleggerimento degli adempimenti a carico delle imprese italiane interessate. 

 

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Più mercato nelle vendite degli assets nei concordati

Il decreto giustizia che riforma la disciplina del concordato preventivo, con l’introduzione del nuovo istituto delle offerte concorrenti di cui al nuovo art. 163 bis L.F. e l’adozione nei concordati di tipo liquidatorio della pubblicità attraverso il portale delle vendite giudiziarie ai sensi del nuovo art. 182 L.F., conferma la linea che persegue obiettivi di efficientamento nella gestione delle procedure grazie a meccanismi ispirati alla concorrenza ed apre ad alternative, rispetto a quanto eventualmente  predisposto dall’impresa in crisi, sulle soluzioni relative al  realizzo dell’azienda  o di specifici beni per i quali la proposta del debitore prospetta già sia la destinazione finale che la correlata misura di prezzo.

 

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Nel Decreto Giustizia, D.L. n. 83/2015, può vedersi il filo conduttore seguito dal Governo nella elaborazione di novità volto ad assicurare una maggiore efficacia delle gestioni delle procedure (vendite giudiziarie e procedure concorsuali) introducendo meccanismi concorrenziali; in particolare, e non poteva essere diversamente trattandosi di gestioni incentrate nel realizzo di beni del debitore destinati a tradursi in mezzi liquidi per il pagamento del passivo, si ha riguardo alla sollecitazione delle più convenienti possibilità di realizzo che il mercato può esprimere favorendo la concorrenza dal lato dei potenziali acquirenti. 

In tale direzione va l’implementazione del portale delle vendite pubbliche (art. 490 c.p.c. in tema di vendite giudiziarie), la modifica dell’art. 182 L.F. in materia di concordati liquidatori  che prevede l’adozione della pubblicità a norma del predetto nuovo art. 490 primo comma c.p.c. nonchè l’introduzione del nuovo istituto delle offerte concorrenti, termine che dà il titolo al nuovo art. 163 bis L.F. (in materia di concordato preventivo). 

Si rileva subito che il nuovo istituto delle “offerte concorrenti” ha in comune con quello delle “proposte concorrenti” di cui al nuovo art. 163 L.F.  (vedi news n. 17/2015), oltre che il termine per l’appunto “concorrente”, l’obiettivo di contrastare eventuali abusi da parte dell’impresa che ricorre al concordato la quale  potrebbe ricercare di conseguire propri vantaggi sfruttando le prerogative – in tema di competenza per la elaborazione della proposta ed anche per la prospettazione di “pacchetti di vendite” già preconfezionati - che la previgente disciplina dava al debitore in crisi che presenta la proposta e il piano di concordato. 

Nei casi in cui la proposta di concordato contempli la vendita dell’azienda (o di rami d’azienda) oppure anche di determinati beni a favore di un individuato soggetto e a determinate condizioni, verrà fatto obbligo al Commissario Giudiziale di valutare la congruità della soluzione e, in definitiva, la rispondenza della vendita prospettata nella proposta alla migliore tutela degli interessi dei creditori;  ove non ravvisi detta rispondenza, il C.G. darà impulso ad un procedimento di tipo competitivo per la selezione di una alternativa più conveniente, procedimento che viene poi attivato e delineato nelle sue modalità concrete dal Tribunale. La nuova disciplina prevede che l’eventuale selezione di una vendita in termini più convenienti debba concludersi ancora prima della adunanza dei creditori per il voto della proposta così che, in caso di esito positivo della sollecitazione del mercato attivata dal Tribunale, la proposta di concordato (ed il piano) sarà modificata recependo i termini della vendita così selezionata e su tale proposta i creditori saranno chiamati ad esprimere il voto di approvazione. Chiunque, quindi, potrà sottoporre all’attenzione del C.G. oltre che proprie manifestazioni di interesse o addirittura offerte, elementi utili per i riscontri del caso che potrebbero portare ad un concreto vantaggio, oltre che per i creditori beneficiati da più consistenti entrate, anche per le imprese potenzialmente interessate a prendere parte a procedimenti competitivi per l’acquisizione di aziende ed assets.

Deve dirsi che la nuova disciplina sulle offerte concorrenti trova applicazione  quando la vendita prospettata nella proposta di concordato ha il carattere di definitività in termini di individuazione dell’asset oggetto del realizzo “preconfezionato”,  di identificazione dell’acquirente e di quantificazione del prezzo. 

Per contro non sembrerebbe costituire presupposto per l’applicazione di tale disciplina il caso della proposta di concordato che si limiti alla allegazione di un impegno unilaterale di un potenziale acquirente di un bene senza far assurgere la vendita in questione a vero e proprio termine definitivo  della proposta e del piano rilegando invece la produzione dell’offerta di acquisto (che resta quindi non impegnativa per il concordato), a strumento di riscontro delle effettive possibilità di realizzo di singoli elementi dell’attivo. 

Il  Decreto Giustizia, infine (combinato disposto del nuovo art. 182 L.F. che richiama il novellato art. 490 c.p.c.), sempre guardando al nuovo scenario nelle attività di realizzo degli assets dell’impresa in concordato, prevede che  se la proposta si sostanzia nella mera cessione dei beni ai creditori, senza articolare nessuna specifica vendita (o come sopra ipotizzato mettendo a disposizione una mera opzione non vincolante), trovi applicazione il meccanismo della nuova pubblicità delle vendite giudiziarie attraverso il portale del Ministero della Giustizia, strumento sul quale la riforma punta molto per la cd. apertura al mercato. 

 

 

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Irrilevanti per il fisco i prelevamenti dei professionisti

Con le recenti sentenze n. 12021 del 10.06.2015, n. 4585 del 06.03.2015, la Cassazione, ribaltando un consolidato orientamento pregresso, limita l’impatto di una delle norme più controverse del sistema tributario, la cosiddetta presunzione di equivalenza dei prelevamenti non giustificati a compensi professionali imponibili. In particolare, la Suprema Corte, confermando, quanto stabilito già dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 228/2014, disconosce la rilevanza dei prelevamenti non giustificati di un professionista, ai fini dell’accertamento bancario di cui all’art. 32, comma 1, numero 2), secondo periodo del DPR 600/1973. 

 

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Si ricorda come, ai sensi della normativa prevista dall’art.. 32, comma 1, numero 2), secondo periodo del DPR 600/1973, i dati risultanti dalle movimentazioni bancarie sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione dei redditi o che essi non hanno rilevanza a tal fine. Allo stesso modo, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito delle predette operazioni sono da considerarsi come “ricavi o compensi” a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica i soggetti beneficiari e sempreché non risultino dalle scritture contabili. La presunzione disciplinata dalla seconda parte dell’art. 32, nella sua originaria formulazione - limitata ai “ricavi”- interessava unicamente gli imprenditori; ma la legge n. 311/2004 inserendo anche i “compensi” ne ha di fatto esteso l’applicazione anche ai lavoratori autonomi. 

Tale modifica legislativa ha originato numerosi accertamenti bancari da parte dell’Agenzia delle Entrate nei confronti dei professionisti, ciò che ha dato luogo ad un notevole contenzioso.

La Corte Costituzionale, già con la sentenza n. 228/2014, ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 32 limitatamente ai “compensi”, stabilendo che la figura del lavoratore autonomo, pur avendo talune caratteristiche in comune con quella l’imprenditore, conserva delle specificità che conducono a ritenere arbitraria l’omogeneità di trattamento prevista dal citato articolo in relazione alla presunzione relativa ai prelevamenti, secondo cui anche per il lavoratore autonomo, come per l’imprenditore, il prelevamento dal conto corrente corrisponde ad un costo da cui a sua volta si origina un ricavo. Secondo la Corte, questo, in realtà, non avviene per i lavoratori autonomi, poiché la loro attività è caratterizzata dal preminente apporto del lavoro proprio e la marginalità dell’apparato organizzativo, ben emergendo questo soprattutto nelle professioni liberali.

Se si considera poi che il regime in contabilità semplificata, spesso prescelto dalla categoria dai professionisti e lavoratori autonomi,, conduce a frequenti commistioni di entrate e spese tra sfera privata e professionale, è evidente la non ragionevolezza della presunzione per cui i prelievi ingiustificati dai conti correnti di un lavoratore autonomo possano essere considerati dal Fisco come investimenti nell’ambito professionale da cui derivi un reddito.

La Corte di Cassazione, con le recenti sentenze in commento, ha pertanto ribadito tale principio della Corte Costituzionale e affermato che la presunzione legale, relativa ai prelevamenti effettuati dal lavoratore autonomo (nel caso di specie un amministratore di condominio), sulla quale era fondato l’accertamento, “deve ritenersi inesistente, essendo stata dichiarata illegittima” dalla Consulta. 

 

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Creditori non più solo spettatori passivi nel concordato

 

Il decreto giustizia per la crescita introduce la possibilità per percentuali qualificate di creditori di imprese in concordato (e prima che abbia luogo la votazione) di farsi parte attiva nella elaborazione di soluzioni concordatarie alternative che vengono quindi messe a raffronto con quella presentata dal debitore e offerte al ceto creditorio come ulteriori opzioni sulle quali operare la scelta finora in definitiva ristretta tra l’accettazione  della domanda e gli effetti del fallimento.

 

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Con il D.L. n. 83/2015,  l’esecutivo è intervenuto innovando significativamente più settori; il decreto giustizia per la crescita introduce nuove disposizioni in materia di procedure esecutive e detta nuove modalità di esecuzione delle vendite giudiziarie dei beni (sia mobili che immobili), contempla l’introduzione del nuovo strumento telematico del portale delle vendite pubbliche nel quale troverà unitaria collocazione la pubblicità di ogni tipo di vendita nell’ambito giudiziario, ed infine introduce novità relative a più istituti della legge fallimentare tra i quali il concordato preventivo.

Le procedure di concordato preventivo hanno visto, fatto ormai pacifico e sperimentato ormai da tutti gli operatori economici, una diffusione che ne ha fatto parlare in termini di “boom” del fenomeno. La disposizione in commento dà luogo al nuovo art. 163 l.f., il cui titolo si arricchisce della seconda parte divenendo “ammissione alla procedura e proposte concorrenti”. Viene cioè introdotta la possibilità di avere a disposizione, oltre che la proposta elaborata dal debitore, anche la o le “proposte concorrenti”. Si tratta di una possibilità appannaggio dei creditori, e qui appunto il ruolo attivo di chi si è trovato sinora a poter soltanto scegliere tra soluzione concordataria o liquidazione fallimentare, di elaborare essi stessi i termini di una soluzione, sempre di tipo concordatario, che si presenterà concorrente e cioè alternativa rispetto a quanto prospettato dall’imprenditore in crisi. Come si comprende, la novità costituisce misura anche per arginare fenomeni di tipo abusivo nel ricorso al concordato da parte di imprese in crisi  potendoci aspettare una sorta di maggiore responsabilizzazione da parte dell’impresa stessa nella fase di redazione della proposta e formulazione del piano in ragione della astratta possibilità di vedere la propria soluzione raffrontata e quindi scartata da altra preferibile. In effetti, che lo spirito della novità è da ricollegare a quanto appena detto, lo si ricava anche dalla previsione che la proposta concorrente è ammissibile soltanto in relazione a concordati nei quali il debitore ha assicurato al chirografo una percentuale inferiore al 40%, limite al quale l’impresa in crisi dovrebbe dunque cercare di tendere per affrancarsi rispetto a possibili “interferenze” dei creditori. 

Il nuovo art. 163 attribuisce la facoltà di presentare la proposta concorrente a tanti creditori che rappresentino almeno il 10% dei debiti esposti nella situazione patrimoniale depositata dal debitore. Tra le disposizioni volte a rendere concreta la eventualità della presentazione della proposta concorrente, si segnala che la predetta dimensione minima dei crediti può essere raggiunta oltre che a seguito di iniziativa congiunta di più creditori (ottenendo così il cumulo dei rispettivi crediti), anche per effetto di acquisizione dei crediti successive al deposito della domanda da parte dell’impresa in crisi. Nella stessa direzione possono leggersi le semplificazioni sulla proposta concorrente con riguardo alla attestazione (che potrebbe anche non essere presentata se la proposta concorrente non contiene aspetti rimasti non coperti dalla verifica a cura del Commissario Giudiziale) e la esplicita previsione dell’obbligo facente carico allo stesso  C. G. di assecondare le richieste di informativa da parte dei creditori funzionali alla elaborazione della proposta concorrente.

Per la maturazione delle decisione dei creditori, non più posti di fronte  al dilemma concordato o fallimento, ma chiamati a votare questa volta scegliendo anche tra più proposte concordatarie (quella dell’impresa debitrice e quella o quelle concorrenti di creditori), il C.G. offrirà una integrazione della propria relazione ex art. 172 l.f. contenente la rappresentazione della o delle proposte concorrenti ed una comparazione tra di esse, sottoposte al voto. 

 

 

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Riforma del reato di falso in bilancio

Il Disegno di Legge anticorruzione, approvato in via definitiva il 21 maggio scorso,  contiene la revisione del reato societario di false comunicazioni sociali di cui agli artt 2621 e 2622 del codice civile, meglio noto come “falso in bilancio” Le principali novità riguardano il generale aumento delle sanzioni, la depenalizzazione delle infedeltà nelle valutazioni, l’eliminazione delle soglie percentuali di rilevanza penale;  sono previsti sconti per i fatti di lieve entità, esimenti per la particolare tenuità e delle aggravanti per le società quotate.

 

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A seguito dell’intervento legislativo, le disposizioni in materia di falso in bilancio distinguono a seconda della tipologia di soggetto coinvolto: società non quotate (da 2621 a 2621 ter c.c.), società quotate (2622 c.c.), società non fallibili (2621- bis c.c.). 

In particolare in base alla nuova previsione contenuta nell’art.2621 che riguarda tutte le società non quotate (escluse quelle «non fallibili») è ora prevista la reclusione da 1 a 5 anni “per gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, i quali, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico, previste dalla legge, consapevolmente espongono fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero ovvero omettono fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore”. La stessa pena si applica anche se le falsità o le omissioni riguardano beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi.

La principale novità rispetto al testo previgente è che solo i «fatti materiali rilevanti» potranno integrare il reato nelle società non quotate, non configurando più comportamento illecito gli errori attinenti alle valutazioni e riducendo così margini di discrezionalità nell’interpretazione della norma. Viene inoltre eliminato ogni riferimento alle soglie di rilevanza dell’errore; per contro si prevede che i fatti materiali esposti od omessi devono risultare contabilmente “rilevanti” e che le falsità devono essere “concretamente idonee” e non più soltanto “idonee” a indurre altri in errore. 

Con riferimento alle società non quotate vengono, inoltre, introdotte alcune fattispecie a punibilità ridotta o esclusa:

- l'art. 2621- bis c. 1 c.c. (fatti di lieve entità) che prevede una riduzione di pena (reclusione da sei mesi a tre anni), allorché i fatti siano di «lieve entità» tenuto conto della natura e delle dimensioni della società e delle modalità o degli effetti della condotta;

- l'art. 2621- bis c. 2 c.c., per le società non assoggettate alla disciplina del fallimento (ai sensi dell’art. 1 comma 2 del RD 267/1942) la pena da applicare è sempre quella ridotta per i fatti di lieve entità e il reato è perseguibile a querela;

- l'art. 2621 - ter c.c. (non punibilità per particolare tenuità del fatto) secondo cui la punibilità può essere esclusa dal giudice quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo provocato alla società, ai soci e ai creditori, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale.

Si osserva come tali disposizioni introducano elementi di discrezionalità che lasciano dunque alla magistratura il compito di individuare “i fatti di lieve entità” e la “particolare tenuità” dell’offesa che determinano gli estremi per la riduzione della pena; è il caso di rilevare, inoltre, che la pena base compresa tra 1 e 5 anni, rende non praticabile , sul piano investigativo, l’utilizzo delle intercettazioni riservate per i reati più gravi.

Il nuovo art. 2622 c.c. dedicato alle false comunicazioni nelle società quotate vede un aumento delle sanzioni (da 3 a 8 anni di reclusione), giustificata dalla maggior rilevanza e ampiezza degli interessi coinvolti che in tali società.

Tale norma punisce quegli stessi soggetti elencati all’art. 2621 c.c. che, “al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico, consapevolmente espongono fatti materiali non rispondenti al vero ovvero omettono fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore”.

Anche per tali società il reato di falso in bilancio risulta integrato attraverso l’esposizione ovvero l’omissione di fatti materiali non rispondenti al vero e diviene “reato di pericolo”, non rilevando più l’effettività del danno arrecato a soci o creditori ma solo la potenzialità dello stesso. 

Si osserva che rispetto alle non quotate, non si prevede che i fatti materiali non rispondenti al vero siano “rilevanti” e ciò fa pensare ad un’estensione della rilevanza penale anche per fatti non veritieri ritenuti di scarsa rilevanza.

Da ultimo occorre dar conto della modifica dell'art. 25-ter del DLgs. 231/2001 concernente i reati societari presupposto della responsabilità amministrativa degli enti. Aseguito della sopra menzionata modifica è innalzata anche la sanzione amministrativa  della quale potrebbe essere chiamata a rispondere la società per le false comunicazioni sociali nei casi di responsabilità amministrativa dell’ente.

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In Gazzetta i nuovi elenchi Black list

Ecco pubblicati in Gazzetta Ufficiale i decreti del Ministero dell’Economia e delle Finanze (DM del 27.4.2015 e del 30 marzo 2015 in GU 11.05.2015), con cui si dà attuazione alle disposizioni della Legge di Stabilità 2015 (L. 190/2014) in materia black list degli Stati o territori a fiscalità privilegiata. 

 

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Prima di descrivere i summenzionati decreti occorre subito rilevare che la normativa black list è destinata a subire ulteriori interventi ad opera dello schema di DLgs. di riforma della fiscalità internazionale, approvato in via preliminare dal Governo il 21.4.2015 e attualmente all’esame del Parlamento. Quest’ultimo prevede che le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni effettivamente eseguite con fornitori black list potranno essere dedotti nei limiti del valore normale. Per dedurre di più rispetto al valore normale, il contribuente italiano dovrà dimostrare l’effettivo interesse economico all’operazione con la controparte straniera.

Secondo quanto esposto nella nostra news n. 10-2015, la legge di stabilità 2015 n. 140/2014, intervenendo sugli artt. 167 e 110 del Tuir, ha modificato i criteri per l’individuazione dei Paesi black list rispettivamente ai fini dell’applicazione della disciplina sulle “Controlled foreign companies” (Cfc) e ai fini dell’indeducibilità dei costi, prevedendo, in particolare che per l’individuazione di tali Stati o territori:

- ai fini della Cfc, la soglia del minor livello di tassazione, rispetto a quello italiano, passi dal 30% al 50%.

- ai fini dell’indeducibilità dei costi venga effettuata avendo riguardo al solo parametro dell’assenza di strumenti di scambio di informazioni tra l’Italia e lo Stato o territorio estero

Rispetto al contenuto del DM 23.1.2002 (contenente l’elenco Stati BL ex art. 110 c. 10 Tuir) vengono, quindi, espunti ben 21 Stati o territori che hanno con l’Italia una Convenzione contro le doppie imposizioni o un Accordo per lo scambio di informazioni ai fini fiscali (TIEA) in vigore, come Costa Rica, Emirati Arabi, Filippine, Isole del Canale e Isole Cayman, Malaysia, Mauritius e Singapore. Ne consegue che gli acquisti di beni e servizi da tali Paesi diventano sempre deducibili per le imprese italiane. Il nuovo decreto mantiene la suddivisione presente anche nel DM 23 gennaio 2002, tra paradisi fiscali “puri”, paradisi fiscali con eccezioni e paradisi fiscali limitatamente a determinate tipologie societarie. 

Rimangono nella black list Hong Kong, Liechtenstein e tra i paradisi fiscali “con eccezioni” il Bahrein e il Principato di Monaco (quest’ultimo con esclusione delle società che realizzano almeno il 25% del fatturato al di fuori del Principato). 

Un discorso a parte va fatto per la Svizzera. La ratifica non ancora avvenuta dell’accordo sullo scambio di informazioni non consente per ora l’uscita definitiva dalla black list italiana: in particolare la Svizzera scompare dalla lista dei Paradisi fiscali “assoluti” (art. 1 del DM 23.1.2002), ma resta nella lista nera limitatamente alle società non soggette alle imposte cantonali e municipali, quali le holding ausiliarie e «di domicilio».

A seguito della pubblicazione in Gazzetta del DM 30 marzo 2015, dall’elenco dei Paesi che fanno scattare la disciplina sulle Controlled foreign companies (Cfc), con tassazione del reddito per trasparenza in capo alla controllante italiana, vengono esclusi Singapore, Malesia e Filippine. 

Non è stata prevista alcuna decorrenza specifica per le nuove norme in commento. Non appare, quindi, chiaro se esse possano valere sin dal periodo d’imposta in corso alla data della loro entrata in vigore (il 2015, o già ai fini dell’indicazione dei costi nei modelli UNICO 2015, riferiti al 2014.

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Delega fiscale: approvato lo schema di decreto sull’abuso del diritto

 

Il Consiglio dei Ministri, in data 21 aprile ’15, ha approvato lo schema di D. Lgs. sulla certezza del diritto nei rapporti tra Fisco e contribuente in attuazione della Delega fiscale per la revisione del sistema fiscale di cui alla L. 23/2014. Il decreto, che passa ora all’esame del Parlamento, formula la tanto attesa norma sull’abuso del diritto che eliminerà ogni distinzione tra l’abuso (di estrazione giurisprudenziale) e l’elusione (di origine normativa) e regolamenterà i casi in cui un’operazione economica consente di ottenere un vantaggio fiscale illegittimo. Il decreto in oggetto rappresenta un significativo passo in avanti nella direzione della certezza di diritto e renderà in molti casi più sicura l’attuazione di operazioni societarie straordinarie caratterizzate da evidenti effetti economici. 

 

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Lo schema di decreto attua l’art. 5 della Legge Delega in materia di Abuso del diritto e elusione fiscale, intervenendo sullo Statuto del contribuente L. 212/2000 nel quale inserisce un nuovo articolo, il 10-bis che codifica il principio dell’Abuso di diritto. 

In particolare, l'abuso del diritto - che viene parificato all’elusione fiscale - è applicabile a tutti i tributi (imposte sui redditi e imposte indirette, fatta comunque salva la speciale disciplina vigente in materia doganale), si verifica quando si effettuano operazioni (fatti, atti, contratti) connotate da:

1) assenza di sostanza economica: quando le operazioni effettuate non perseguono obiettivi aziendali ma solo vantaggi fiscali; 

2) realizzazione di un vantaggio fiscale indebito: anche se formalmente corrette, le operazioni poste in essere consentono il conseguimento di benefici che risultano in contrasto con le finalità delle norme tributarie;

3) effetto essenziale dell’operazione dato dal conseguimento del vantaggio fiscale indebito. 

Le operazioni che verranno accertate, sulla base di tali presupposti, come elusive diventeranno inefficaci ai fini tributari e, quindi, non opponibili all'Amministrazione finanziaria, che ne disconoscerà i vantaggi determinando i tributi sulla base di norme e principi elusi,  tenuto comunque conto di quanto versato dal contribuente per effetto delle operazioni. 

Di contro, in ogni caso, non potranno essere considerate come elusive le operazioni giustificate da “valide ragioni extrafiscali non marginali” anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa o dell’attività professionale del contribuente. 

Oltre alla definizione puntuale delle condotte abusive, altro elemento di novità è che nel procedimento di accertamento dell’abuso del diritto l’onere della prova della condotta abusiva grava sull’Amministrazione finanziaria, mentre il contribuente è tenuto a dimostrare la sussistenza delle “valide ragioni extrafiscali” che stanno alla base delle operazioni poste in essere.

E’ infatti l’Amministrazione che, in fase accertativa, sarà tenuta a dimostrare che il comportamento del contribuente ricade nella definizione normativa di abuso del diritto, come sopra definito, in quanto comportamento finalizzato all’esclusivo conseguimento di un vantaggio fiscale indebito. In ogni caso, l’Amministrazione finanziaria che intendesse contestare l’abuso del diritto sarà obbligata a far precedere gli atti da richieste di chiarimenti. 

L’abuso di diritto, inoltre,  risulterà sanzionato solo amministrativamente e non darà luogo a conseguenze di natura penale tributaria. 

 

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Voluntary Disclosure versus Ravvedimento Operoso

Una delle questioni preliminari che in molti casi occorre affrontare nell’analisi di convenienza della voluntary disclosure è quella relativa al raffronto con l’istituto deflattivo del ravvedimento operoso nella nuova versione introdotta dalla Legge di Stabilità 2015, con decorrenza dal 1° gennaio 2015.

 

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Di seguito si vuol mettere in evidenza alcune delle differenze principali tra l’istituto delle voluntary disclosure e quello del ravvedimento operoso di cui all’art. 13, co. 1, del D.Lgs. n. 472/1997 al fine di individuare le variabili che possono spostare la scelta verso l’una o l’altra soluzione o la combinazione delle due. 

In primo luogo occorre rilevare che una prima importante differenza attiene alle cause di inammissibilità. 

Il ravvedimento operoso è precluso infatti in caso di omessa dichiarazione e di notifica degli atti di liquidazione e accertamento (comprese le comunicazioni di controllo ex artt. 36-bis e 36-ter, DPR n. 600/73 e 54-bis, DPR n. 633/72), ma è ammesso qualora la violazione sia già stata constatata e comunque siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento delle quali il contribuente o i soggetti solidalmente obbligati abbiano avuto formale conoscenza (notifica di pvc)Per contro, l’accesso alla voluntary disclosure è ammesso anche in caso di mancata presentazione delle dichiarazioni ed è invece precluso quando l’autore della violazione (o un soggetto solidalmente obbligato) abbia avuto formale conoscenza dell’inizio di accessi, ispezioni o verifiche ovvero dell’inizio di un’attività di accertamento amministrativo (incluso pvc con esito positivo), ovvero ancora della propria condizione di indagato o imputato in un procedimento penale per la violazione delle norme tributarie. L’Agenzia delle Entrate ha tuttavia chiarito che, ricorrendo tali circostanze, detta preclusione opera esclusivamente con rifermento alle annualità e ai tributi interessati agli accertamenti o verifiche. 

Quanto agli anni interessati alla regolarizzazione con il ravvedimento si può scegliere quali e quante violazioni sanare, mentre la voluntary deve riguardare tutte le violazioni con riferimento alle quali sono sempre aperti i termini per l’accertamento.

Sotto il profilo sanzionatorio il ravvedimento operoso risulta in linea generale più oneroso:  per esempio in caso di ravvedimento la riduzione delle sanzioni su RW (variabile in base alla tardività della regolarizzazione) varia da 1/7 sino ad massimo di un 1/5 della sanzione minima (contro un 1/6 della voluntary). Oltre a ciò ad oggi il ravvedimento operoso non offre specifiche coperture in materia penale; sul punto occorre segnalare tuttavia che lo schema di D Lgs “sulla certezza del diritto nei rapporti tra il fisco e il contribuente” approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri il 24.12.2014 in attuazione della delega fiscale ed ora al vaglio delle commissioni parlamentari, ancora all’esame del Parlamento, contiene la proposta “ampliare gli effetti prodotti dal versamento spontaneo delle imposte se la violazione costituisce illecito tributario, prevedendo che a ciò segua la completa estinzione di alcune fattispecie criminose in luogo dell’attuale riduzione di un terzo della pena, mentre per i redditi non denunciati in paesi esteri sarà possibile beneficiare di forti riduzioni delle sanzioni”.

Un’altra differenza tra i due istituti che può rivelarsi particolarmente rilevante in certi casi è la possibilità di scomputare i crediti per le imposte pagate all’estero. In effetti ai fini della procedura di Voluntary disclosure (fatto salva la possibilità di nuove aperture da parte dell’Agenzia delle Entrate) detto scomputo non è possibile posto che l’art. 165, Tuir, non ammette la detrazione in caso di omessa presentazione della dichiarazione o di omessa indicazione nella stessa del reddito estero.

Altra differenza riguarda il fatto che il ravvedimento operoso non ammetta la possibilità di frazionamento dell’imposta  mentre nella voluntary il pagamento è rateizzato in tre rate mensili

Da ultimo, occorre segnalare che, in caso di attività detenute in Paesi black list che hanno siglato con l’Italia un accordo per lo scambio delle informazioni il ravvedimento operoso potrebbe essere meno conveniente in quanto potrebbe restare in vigore il raddoppio dei termini di accertamento e il raddoppio delle sanzioni, che invece non opera nella voluntary. E’ noto infatti che gli accordi con tali paesi hanno effetto, al momento, solo ai fini della voluntary disclosure mentre non implicano l’automatica uscita dalla black list per la quale occorre un apposito provvedimento. 

In sintesi il ravvedimento dovrà essere valutato quale alternativa nei seguenti casi: 

- in caso di dichiarazione presentata nei termini; 

- in caso di investimenti in paesi non black list; 

- quando non sono stati commessi reati fiscali; 

- qualora si intenda regolarizzare solo alcune delle violazioni commesse;

- se vi è da recuperare un credito di imposta relativo a redditi assoggettati a tassazione ordinaria (per es. redditi da lavoro o canoni di locazione).

Occorre infine rilevare che i due istituti oltre ad essere utilizzati alternativamente possono anche essere variamente combinati fra loro: come chiarito dalla C.M. n. 10/E/2015, infatti, le cause ostative alla voluntary possono essere rimosse anche tramite ravvedimento, rendendo dunque possibile la successiva istanza di collaborazione volontaria. 

Inoltre per gli anni a partire dal 2012, con il ravvedimento operoso è possibile sanare l’omesso versamento dell’IVIE e dell’IVAFE la cui regolarizzazione non rientra nell’ambito oggettivo della voluntary.

 

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IVAFE e imposta di bollo: tributi a confronto in vista della Voluntary disclosure 

L’art. 9 della Legge n. 161 del 30.10.2014 (Legge Europea 2013-bis)  ha modificato, con effetto già  per l’anno 2014, l'ambito di applicazione dell’Imposta sul Valore delle Attività Finanziarie possedute all’Estero (IVAFE). Con tale ultimo intervento normativo si è completata la metamorfosi del tributo - in atto dalla data di introduzione del tributo da parte del governo Monti (2012) - attraverso la sostanziale equiparazione dell’IVAFE alla imposta di bollo sulle attività finanziarie interne. Si osserva che l’argomento è di attualità posto che molti contribuenti, nell’ambito dell’adesione alla procedura di “voluntary disclosure”, saranno nel prossimo futuro chiamati a formulare delle scelte di localizzazione delle attività finanziarie oggetto di “disclosure”. 

 

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Con l’entrata in vigore dell’ Ivafe, ai sensi dell’art. 19, commi 18-21, D.L. n. 201/2011, la stessa si applicava ai conti correnti, ai libretti di risparmio e alle altre "attività finanziarie"  detenute all'estero da persone fisiche residenti in Italia. 

Il concetto di "attività finanziarie" era molto esteso. Ed infatti l'Agenzia delle Entrate, con la Circolare n. 28/E del 2 luglio 2012, ha incluso fra le attività finanziarie estere le partecipazioni sociali, le obbligazioni, le azioni e i contratti di natura finanziaria, ma anche metalli preziosi (allo stato grezzo o monetato) e valute estere (in banconote o monete). Inoltre, secondo il prevalente orientamento dottrinale, l'IVAFE si applicava anche sia alle quote di partecipazione in società estere non rappresentate da titoli che agli stessi finanziamenti dei soci. 

La disciplina Ivafe è stata oggetto di modifica, dapprima, con la Legge n. 228/2012 che ne ha differito l’entrata in vigore dal 2011 al 2012 e, successivamente, ad opera della Legge di Stabilità 2014 che ne ha aumentato l’aliquota dal 0,15% al 0,2%. La stessa legge di Stabilità è poi intervenuta per eliminare il minimo dell’imposta di bollo (pari a € 34.20) per i contribuenti persone fisiche che sono quindi ora soggetti solo al tributo proporzionale dello 0,2%. 

Infine la Legge europea 2013 bis, al fine di evitare una procedura d'infrazione da parte dell'UE nei confronti dell'Italia per violazione del principio di libera circolazione dei capitali, ha ristretto l'ambito di applicazione dell’Ivafe ai soli "prodotti finanziari", conti correnti e libretti di risparmio detenuti all'estero da persone fisiche residenti in Italia. 

In sostanza, dal 2014, anche l'IVAFE, come l'imposta di bollo, si applica non più alle "attività finanziarie", definizione questa ampia ed onnicomprensiva, ma ai "prodotti finanziari", intendendosi per essi gli strumenti finanziari ed ogni altra forma di investimento di natura finanziaria.

Risultano, pertanto, esclusi i metalli preziosi (allo stato grezzo o monetato) e le valute estere (in banconote o monete) ed anche le quote di partecipazione in società estere (fuori dalle gestioni patrimoniali) e i relativi finanziamenti dei soci.

E’ oggi in vigore quindi un allineamento oggettivo e in termini incidenza economica dell’IVAFE rispetto all’imposta di bollo per le persone fisiche. Tali tributi, infatti, sono dovuti come segue:

- In misura pari allo 0,2% per le attività finanziarie; 

- In misura pari a zero (esente) per i conti correnti e libretti di risparmio se il valore medio di giacenza annuo risultante dagli estratti conto e dagli stessi libretti (a tal fine occorrendo tenere conto di tutti i conti o libretti detenuti dal contribuente presso il medesimo intermediario) è inferiore a € 5.000; 

- Fissa in misura pari a € 34,20 per i conti correnti e libretti di risparmio se il valore come sopra identificato è uguale o superiore a € 5.000. 

E solo il caso di ricordare che dall’imposta IVIE eventualmente dovuta è possibile, in linea generale,  detrarre, fino a concorrenza del suo ammontare, un credito d’imposta pari all’ammontare dell’ imposta patrimoniale eventualmente versata nello Stato in cui i prodotti finanziari, i conti correnti e i libretti di risparmio sono detenuti. 

Occorre tuttavia fare attenzione in quanto non spetta alcun credito d’imposta se con il Paese nel quale è detenuta l’attività finanziaria è in vigore una convenzione che prevede l’imposizione esclusiva nel Paese di residenza. In questi casi, per le imposte patrimoniali eventualmente pagate all’estero, può essere solo richiesto il rimborso all’Amministrazione fiscale del Paese in cui le suddette imposte sono state applicate. Il rimborso sarà richiesto invocando, da un lato, la residenza estera e, dall’altro, le disposizioni convenzionali applicabili tra i due paesi interessati. 

 

 

 

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Chiarimenti sui “Depositi Iva”

L'Agenzia delle Entrate, con la corposa circolare n. 12 del 24.3.2015, esamina per la prima volta in maniera organica e dettagliata la disciplina dei depositi IVA di cui all’art.50-bis D.L. n.331/93, al fine di fornire agli operatori i chiarimenti a lungo attesi «anche alla luce delle problematiche trattate in sede di interpello, nonché del pronunciamento della Corte di Giustizia Ue, con la sentenza 17 luglio 2014, in causa C-272/13» (Equoland).

 

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Come noto, i depositi Iva sono luoghi fisici situati nel territorio dello Stato, all’interno dei quali la merce viene introdotta, staziona, e poi viene estratta, che consentono all’acquirente finale di beni comunitari di assolvere l’Iva in maniera differita mediante reverse charge. Stesso trattamento è previsto anche per le prestazioni di servizi relative a tali beni, anche se non effettuate materialmente nel deposito (art. 50-bis, comma 4, lett. h)).

In primo luogo, l’Agenzia, affronta il caso dei cosiddetti “depositi Iva virtuali” e recependo l’orientamento della Corte di Giustizia (causa C-272/13 Equoland), chiarisce finalmente che per applicare la disciplina dei depositi Iva, non è ammesso l’utilizzo virtuale o meramente contabile del deposito ma è necessario che i beni siano introdotti fisicamente nel deposito, ivi detenuti e poi estratti con il meccanismo dell’inversione contabile. Fa eccezione solo l’ipotesi dei beni oggetto di lavorazioni, che possono essere eseguite all’esterno senza obbligo di introduzione. 

La circolare citata fornisce inoltre i seguenti chiarimenti:

- circa la determinazione della base imponibile in caso di cessione prima dell’estrazione dei beni dal deposito Iva: il valore da dichiarare è quello dell’ultima cessione, che può essere più basso del valore dichiarato all’introduzione e deve tenere conto anche delle prestazioni di servizi rese sui beni immessi e custoditi nel deposito;

- sui passaggi di beni tra depositi IVA che sono soggetti a reverse charge da parte del cedente, se l'operazione configura anche un passaggio della proprietà dei beni tra i due depositari;

- sull'istituto del rappresentante fiscale "leggero", per l'assolvimento degli obblighi IVA relativi ad operazioni di estrazione dal deposito non imponibili (quali cessioni all'esportazione o cessioni intracomunitarie) che può essere utilizzato anche da soggetti residenti al di fuori della UE chiarendo che può valere anche per le operazioni extracomunitarie, anche se non espressamente indicate dall’art.44, co.3 del D.L. n.331/93.;

- sulle prestazioni di servizi relative ai beni custoditi nel deposito IVA si intendono eseguite anche senza immissione fisica dei beni all'interno del deposito, essendo sufficiente registrare "contabilmente" l'estrazione sui registri di carico e scarico dei beni.

 

Si allega alla presente la citata circolare n. 12 del 24.3.2015.

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Ridisegnata la mappa dei Paesi Black List

A seguito di recenti interventi normativi interni e della stipula di nuovi protocolli internazionali è in corso di radicale mutamento la mappa dei Paesi considerati a fiscalità privilegiata. 

 

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Gli elenchi Black List, come è noto, sono delle liste di paesi, aggiornate ogni anno dal Ministero dell’Economia e dall’Agenzia delle Entrate, per i quali vige l’obbligo di monitoraggio di tutte le attività economiche intercorse al fine di contrastare il fenomeno delle frodi fiscali internazionali e nazionali.

Si ricorda che in tema di Black list gli Stati e i territori aventi un regime fiscale privilegiato sono individuati in separate liste con i seguenti provvedimenti:

 

- DM 4 maggio 1999 in G.U. n. 107 del 10 maggio 1999, rilevante ai fini della presunzione di residenza in Italia per le persone fisiche cancellate dalle anagrafi della popolazione residente ai sensi dell’art. 2, comma 2bis Tuir;

- DM 21 novembre 2001 in G.U. n. 273 del 23 novembre 2001, rilevante ai fini della identificazione delle cosiddette Cfc “Controlled foreign companies” ai sensi dell’art. 167, comma 4 Tuir;

- DM 23 gennaio 2002 in G.U. n.29 del 4 febbraio 2002 rilevante ai fini dell’applicazione della normativa sulla indeducibilità componenti negativi di reddito ex art. 110 c. 10 Tuir.

La legge di stabilità 2015 n. 140/2014, intervenendo sugli artt. 167 e 110 del Tuir, ha modificato i criteri per l’individuazione dei Paesi black list sia ai fini dell’applicazione della disciplina sulle “Controlled foreign companies” (Cfc) che ai fini dell’indeducibilità dei costi. 

Ai sensi dell’art. 167 Tuir (CFC) prima della modifica in commento (ed in mancanza della white list di cui all’art. 168bis Tuir) i Paesi black list erano individuati con riferimento al livello di tassazione adottato ed all’assenza di un adeguato scambio di informazioni; ora, a seguito delle  modifiche introdotte con la Legge di stabilità 2015, la soglia del minor livello di tassazione, rispetto a quello italiano, è passata dal 30% al 50%. Ne consegue che Paesi quali Singapore, Filippine e Malesia non saranno più inclusi nella black list di cui al D.M. 21 novembre 2001, poiché presentano un’aliquota dell’imposta sui redditi pari almeno al 50% dell’aliquota italiana (Ires+Irap). 

Di contro, ai fini della indeducibilità dei costi, la Legge di stabilità 2015, attraverso la modifica dell’art. 110 Tuir, individua i paradisi fiscali solo con riferimento alla mancanza di un adeguato scambio di informazioni con lo Stato italiano, senza attribuire più alcun rilievo al livello di tassazione effettuato in tali territori;  in sostanza andranno esclusi dalla black list tutti i Paesi o territori che, pur presentando un livello di tassazione “non congruo”, si dimostrano “collaborativi” quali Emirati Arabi Uniti, Ecuador, Filippine, Isole Mauritius, Singapore  e Hong Kong. 

Occorre segnalare che l’operatività delle modifiche agli art. 110 e 167 Tuir sopra descritte non è automatica; ed infatti, seppure la Legge di Stabilità ne preveda l’entrata in vigore dal 1 gennaio 2015, occorrerà tuttavia attendere l’emanazione del provvedimento attuativo con cui dovranno essere aggiornati gli elenchi DM 21 novembre 2001 e Dm del 23 gennaio 2002.

Preme, inoltre, dar conto dei recenti accordi per lo scambio di informazioni firmati dal Governo italiano con i seguenti Paesi Black list: San Marino e Lussemburgo nel corso del 2014, Svizzera, Liechtenstein e il Principato di Monaco nei primi mesi del 2015.

A seguito di tali accordi, San Marino e Lussemburgo sono stati già esclusi dalla black list ex art. 110 Tuir ad opera del DM 12.02.2014 in GU 24 febbraio 2014 (San Marino) e del DM 16.12.2014 in GU 23 dicembre 2014 (Lussemburgo). 

Per quanto riguarda invece Svizzera, Liechtenstein e Principato di Monaco la firma del protocollo per la modifica dell’articolo della convenzione in tema di scambio di informazioni (adeguato al modello OCSE), ad oggi ha valenza esclusivamente ai fini della voluntary disclosure. L’uscita dalla black list per tali Paesi avverrà infatti solo a seguito di ratifica di tali accordi da parte dei rispettivi Parlamenti.

Per ultimo occorre, infine, soffermarsi a esaminare le conseguenze delle modifiche sopra illustrate circa gli obblighi comunicativi a carico degli operatori commerciali che intrattengono rapporti con un paese che rientra nella lista paesi dei paradisi fiscali. 

Com’è noto, ai sensi dell’art. 1, comma 1 D.L. 25.3.2010, n. 40, tali soggetti sono tenuti a comunicare in via telematica all'Agenzia delle Entrate, le operazioni IVA che superano una certa soglia fissata dalla legge (ora € 10.000 a seguito modifiche introdotte dal Decreto semplificazioni fiscali D. Lgs 175/2014), utilizzando il cosiddetto modello polivalente. 

Ai fini di tale adempimento, per verificare se un paese rientra o no nella lista paesi Black list, occorre considerare congiuntamente tutte le liste emanate dai singoli decreti attuativi ex art. 2, 110 e 167 Tuir . In altre parole, l'elenco Paesi Black List completo è dato dall'insieme delle liste e a prescindere dalla condizione soggettiva dell’operatore economico; pertanto, è sufficiente che l’operatore economico abbia sede, residenza o domicilio in un Paese contemplato da una sola delle suddette liste e indipendentemente dalla natura giuridica e dall’attività svolta da tale operatore, vige l’obbligo di Comunicazione delle Operazioni Black List.

Conseguentemente, l’uscita dalla lista di cui al DM 23.01.2002 di Singapore, ad esempio, comporterà l’esclusione dagli adempimenti di cui all’art. 110, comma 10 Tuir per evitare l’indeducibilità dei costi, mentre rimarranno gli obblighi di comunicazione mediante il modello polivalente.  

Si allega alla presente l’elenco dei Paesi a fiscalità privilegiata che tiene conto delle modifiche sopra esposte.

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L’Agenzia chiarisce il Rent to buy

Con Circolare n. 4 del 19 febbraio 2015 l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti sul trattamento fiscale, ai fini delle imposte dirette ed indirette applicabile al cosiddetto “Rent to buy” disciplinato dall’art. 23 del Decreto Sblocca Italia DL 133/2014.

 

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L’Agenzia, con la circolare in commento, è intervenuta al fine di delineare in maniera dettagliata i profili fiscali del Rent to buy ribadendo quanto già chiarito dal Notariato, con lo Studio n. 490-2013/T, nonché dall’Associazione Italiana dottori commercialisti di Milano con la Norma di comportamento n. 191/2014, oggetto delle nostre newsletter n. 30 e 34 del 2014.

La circolare si sofferma in particolare sulla disciplina delle imposte indirette, specificando che alle quote dei canoni da imputare a corrispettivo dovrà essere applicata l’imposta di registro con aliquota del 3% (mentre sulle quote a titolo di locazione l’aliquota sarebbe del 2%), ferma restando la possibilità di scomputare tale imposta dall’imposta dovuta sul trasferimento finale del bene, determinata con le aliquote ordinarie per i trasferimenti di immobili. Si precisa che la base imponibile è costituita dal valore dichiarato dalle parti o, se superiore, dal corrispettivo pattuito, salvo l’applicazione, ove possibile, del prezzo-valore. Resta salvo il diritto al rimborso della maggiore imposta eventualmente versata, se l’imposta versata sugli acconti risulti superiore a quella dovuta per il contratto di compravendita definitivo.

Da ultimo la circolare fornisce nuovi chiarimenti in marito alle particolari ipotesi in cui le parti non procedano alla conclusione del contratto di compravendita: a) caso in cui il conduttore rinunci all’esercizio del proprio diritto; b) caso di risoluzione per inadempimento.

In entrambe le ipotesi (rinuncia all’opzione e risoluzione per inadempimento), ai fini delle imposte dirette per il concedente operante nel regime d’impresa, le quote di canone imputate ad acconto prezzo trattenute costituiscono proventi imponibili; per il privato, le stesse costituiscono reddito diverso ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. l) Tuir.

Ai fini IVA, in caso di mancato esercizio dell’opzione, il concedente dovrà emettere in ogni caso una nota di accredito pari ai canoni percepiti a titolo di acconto, salvo riassoggettare ad Iva, con aliquota ordinaria, la sola quota di canoni eventualmente trattenuta. Deve essere emessa nota di variazione anche in caso di risoluzione per inadempimento del concedente, tenuto a restituire tutti gli acconti; analogamente, in caso di inadempimento del conduttore, occorre emettere nota di variazione dato che i canoni trattenuti a titolo di penalità escono dal campo di applicazione dell’Iva. 

Secondo l’Agenzia non è invece ammessa la restituzione della eventuale maggiore imposta di registro versata per gli acconti nel caso di mancato esercizio del diritto di acquisto da parte del conduttore ovvero di risoluzione del contratto per inadempimento.

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Conversione decreto Milleproghe novità sulla voluntary disclosure

Con i recenti emendamenti al Ddl. di conversione del DL 31.12.2014 n. 192 (c.d. “Milleproroghe”) approvati dalla Commissione Affari Costituzionali e Bilancio in data 17.2.2015 vengono introdotti importanti chiarimenti in materia di voluntary disclosure.

 

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In particolare, l’emendamento chiude definitivamente la questione circa i tempi dell’accertamento fiscale delle attività detenute in Paesi ex “black list” che concludono accordi per lo scambio di informazioni prima del 2 marzo prossimo, tra cui la Svizzera che ha firmato proprio in questi giorni l’accordo con l’Italia, cui faranno seguito, presumibilmente nei prossimi giorni, anche il Liechtenstein ed il Principato di Monaco.

La legge 186/2014 sul rientro dei capitali già prospettava una riduzione in tal senso, ma, per un mancato coordinamento nel testo della legge, i termini del monitoraggio fiscale per quei Paesi che pur si erano attivati per consentire lo scambio di informazioni a livello fiscale, restavano di fatto bloccati a 10 anni (termine raddoppiato rispetto a quello dei Paesi non black list). 

La legge di conversione al Decreto Milleproroghe chiarisce quindi definitivamente che il dimezzamento dei termini per l’irrogazione delle sanzioni per le violazioni inerenti al modulo RW si applicherà anche in capo ai contribuenti che aderiranno alla collaborazione volontaria in merito agli investimenti detenuti in Paesi ex black list che firmeranno con l’Italia l’accordo sullo scambio di informazioni fiscali entro il 2.3.2015. Quindi, con la conversione del Milleproroghe, anche per tali soggetti potranno essere contestate le violazioni in RW soltanto a partire dal 2009 (Unico 2010).

Sempre in tema di voluntary, un altro emendamento al Milleproroghe chiarisce altro punto che ha sollevato questioni interpretative, ovvero se l’obbligo di segnalazione antiriciclaggio in capo al professionista scatti anche quando l’attività di consulenza è limitata alla valutazione circa l’opportunità di accedere o meno alla procedura di collaborazione volontaria. 

Con la modifica normativa, il legislatore ha recepito di fatto il chiarimento già fornito dal Ministero dell’Economia e delle finanze (MEF) nelle risposte pubblicate sul proprio sito in data 23.01.2015 prevedendo che se l’attività del professionista è «limitata alla valutazione circa l’opportunità, per il suo assistito, di accedere o meno alla procedura di voluntary disclosure» e «non segua il conferimento dell’incarico, non sussistono gli obblighi di segnalazione connessi alla disciplina dell’antiriciclaggio».

 

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Decreto Milleproghe: proroga al 2015 del regime minimi 5%

Con gli ultimi emendamenti al Ddl. di conversione del Decreto “Milleproroghe” (DL 31.12.2014 n. 192) approvati dalla Commissione Affari Costituzionali e Bilancio in data 17.2.2015 viene prorogato al 2015 il regime dei minimi introdotto dal DL 98/2011 che, si ricorda, prevede la tassazione con imposta sostitutiva del 5% e che, altrimenti, risultava abrogato, con decorrenza dal 01.01.2015 ad opera della Legge di Stabilità 2015 (L. 190/2014).

 

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Come noto, la Legge di Stabilità 2015, dal 1° gennaio 2015, ha previsto un nuovo regime fiscale per i imprese e professionisti di dimensioni minime, che prevede l’applicazione di un’imposta sostituiva del 15% abrogando i precedenti regimi minori (regime dei minimi e nuove attività produttive), salvo consentire ai soggetti in regime dei minimi già in attività di proseguire in tale regime fino alla naturale scadenza. 

Tale intervento legislativo è stato criticato dalla stampa specializzata e dagli operatori in quanto il nuovo regime forfettario risulterebbe meno conveniente per il professionisti, rispetto al previgente regime dei minimi, dato che prevede una riduzione della soglia di ricavi a 15.000 (da 30.000 del regime dei minimi) oltre ad un aumento dell’imposta sostitutiva dal 5% al 15%. D’altro canto si osserva che il regime introdotto dalla Legge di Stabilità non incontra le limitazioni soggettive ed oggettive previste nel regime del 5% e si presenta quindi di più agevole applicazione.

Il legislatore in sede di conversione del Decreto Milleproroghe del 24.12.2014, ha comunque disposto una proroga del vecchio regime dei minimi “per i soggetti che, avendone i requisiti, decidono di avvalersene, consentendone la relativa scelta nel corso dell’anno 2015”. A seguito di tali modifiche, limitatamente all’anno 2015 sarà consentito scegliere, in presenza delle rispettive condizioni, fra il nuovo regime agevolato ex L. 190/2014 e il previgente regime di vantaggio per l’imprenditoria giovanile ex DL 98/2011; resta confermata l’abrogazione del regime delle nuove iniziative produttive ex L. 388/2000 e del regime degli “ex minimi” ex L 244/2007. 

Seppure ai fini di una corretto raffronto fra i due regimi, occorrerebbe considerare una serie di fattori variabili, tra cui le spese effettivamente sostenute e il coefficiente di redditività applicabile (che dipende dal tipo di attività), un semplice esempio numerico può far apprezzare le differenze tra il regime dei minimi rispetto al nuovo regime forfettario. 

A parità di condizioni, considerando un professionista che inizia l’attività con compensi annui pari a 15.000 euro, con il nuovo regime forfettario (coefficiente di redditività 78%) e tenendo conto della riduzione di 1/3 prevista per i primi tre anni, la tassazione ammonta a 1.170 euro. Applicando il regime dei minimi l’imposta sostitutiva del 5% su 15.000 (senza considerare eventuali costi) è pari invece a 750 euro. Ciò detto sotto il profilo fiscale, ogni valutazione di convenienza fra i due regimi deve tener conto del diverso impatto della contribuzione previdenziale (a seconda dei casi gestione separata Inps, cassa previdenza professionale di appartenenza., ecc..) che può fare la differenza in quanto la base imponibile previdenziale è determinata moltiplicando i ricavi per coefficiente redditività, nel caso di regime forfettario, mentre nel regime minimi è data dalla differenza fra i ricavi e i costi deducibili.

D’altro canto si osserva che, per gli imprenditori gli iscritti alla gestione IVS artigiani e commercianti, il nuovo regime forfettario comporta notevoli agevolazioni sotto il profilo previdenziale in quanto esenta dal versamento dei contributi sul reddito minimale e richiede i versamenti contributivi solo sul reddito quale risultante dell’applicazione dei coefficienti di redditività.

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Revisione Principi contabili nazionali 

L’Organismo Italiano di Contabilità (OIC) ha recentemente revisionato e approvato in via definitiva i principi contabili nazionali tra cui, da ultimo, l’OIC 24 del 29 gennaio 2015, dedicato alle immobilizzazioni immateriali. Con tale pubblicazione, si conclude il progetto di aggiornamento realizzato dall’OIC a partire dal 2010 che ha coinvolto la maggior parte dei principi contabili nazionali. I nuovi principi si applicano ai bilanci di esercizio e consolidati chiusi a partire dal 31.12.2014.

 

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La revisione riguarda 20 documenti ed è finalizzata ad adeguare i principi contabili alla prassi consolidata e in alcuni casi a recepire i criteri previsti dai principi internazionali. Occorre tener conto dell’importanza acquisita dai principi contabili emanati dall’OIC a seguito del riconoscimento ufficiale attribuito all’OIC, ad opera dell’articolo 20 della legge 116/2014, come standard setter nazionale, ovvero organismo di riferimento in materia di principi contabili.

I nuovi principi contabili assumono, in virtù del principio di derivazione, piena rilevanza anche ai fini fiscali, in tutti quei casi in cui manchino norme specifiche di natura fiscale che derogano alle disposizioni civilistiche in materia di bilancio.

In particolare, è stata rivista e uniformata la struttura dei Principi con l’inserimento di paragrafi numerati suddivisi fra definizioni, classificazioni, rilevazione iniziale, valutazione successiva e informativa in nota integrativa, che rendono gli stessi più schematici e chiari, facilitandone la consultazione. Sono state poi introdotte modifiche sostanziali ad alcuni principi tra cui l’OIC 9 sulle svalutazioni per perdite durevoli di valore delle immobilizzazioni materiali e immateriali, l’OIC 15 sui Crediti, l’OIC 16 “Immobilizzazioni materiali” e, da ultimo l’OIC 24 “Immobilizzazioni immateriali”. Non sono stati modificati, tra gli altri, l’OIC 11 “Postulati” l’OIC 4 “Fusioni e scissioni” e l’l’OIC 6 “Bilanci di liquidazione.

Al fine di tener conto dell’evoluzione dei principi contabili Assirevi ha pubblicato il Quaderno n. 14 che illustra dettagliatamente le novità dei nuovi Principi Contabili OIC e aggiorna le check-list di controllo relative ai principi di redazione del bilancio d’esercizio e del bilancio consolidato.

Il Quaderno n. 14 Assirevi viene reso disponibile in allegato per ogni ulteriore approfondimento. 

 

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Voluntary Disclosure: valutazione preventiva senza rischi 

Il Ministero dell’Economia e delle finanze (MEF) nelle risposte pubblicate sul proprio sito in data 23.01.2015 ha fornito un utile chiarimento circa gli obblighi antiriciclaggio per i professionisti chiamati ad assistere i propri clienti nell’ambito della procedura di Voluntary Disclosure. Nello specifico il Ministero ha chiarito che non sussistono gli obblighi di segnalazione antiriciclaggio nell’ipotesi in cui la consulenza del professionista sia limitata a valutare gli effetti dell’adesione alla procedura di voluntary disclosure. 

 

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La questione affrontata dal MEF concerne il delicato profilo degli adempimenti antiriciclaggio da parte di commercialisti, notai, avvocati, banche coinvolti nelle operazioni effettuate dai contribuenti che decidono di avvalersi della loro consulenza per la procedura di voluntary disclosure.

Con nota del 9 gennaio 2015, il Ministero dell’Economia e delle finanze aveva già precisato come, anche in sede di collaborazione volontaria, restano valide le sanzioni e i presidi previsti dal DLgs. 231/2007, in materia di contrasto del riciclaggio e di finanziamento al terrorismo, che pone in capo ai professionisti specifici obblighi di collaborazione strumentali alla prevenzione dei fenomeni di circuitazione di capitali di provenienza illecita. 

Anche rispetto alle attività volontariamente dichiarate al Fisco, resta pertanto immutato, innanzitutto, l’obbligo di attivare le procedure di adeguata verifica della clientela, incluso l’obbligo di identificazione del titolare effettivo e l’applicazione di misure rafforzate di adeguata verifica della clientela, nel caso di elevato rischio di riciclaggio o finanziamento del terrorismo. Allo stesso modo restano fermi gli obblighi di registrazione e di segnalazione di eventuali operazioni sospette, secondo quanto previsto dal DLgs. 231/2007; in particolare, l’art. 41 del D.Lgs. n. 231/2007 in materia di antiriciclaggio impone di inviare all’Unità di informazione finanziaria (Uif), presso Banca d’Italia, una segnalazione di operazione sospetta (s.o.s.) “quando sanno, sospettano o hanno motivi ragionevoli per sospettare che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo”.

Ci si chiesti pertanto se l’obbligo di segnalazione di operazione sospetta fosse escluso (in virtù dell’esonero di cui all’art. 12 comma 2 del DLgs. 231/2007) nei casi in cui un professionista consigli al proprio assistito di non accedere alla procedura di collaborazione volontaria, di cui alla L. 186/2014 per l’emersione e il rientro di capitali detenuti all’estero e nel caso in cui l’assistito decida autonomamente di non accedere alla procedura di voluntary. 

Con risposta del 23.01.2015 il MEF ha precisato che l’obbligo di segnalazione di operazioni sospette non si applica nell’esame della posizione giuridica del cliente in relazione a un procedimento giudiziario, compresa la consulenza sull’eventualità di intentare o evitare un procedimento; l’esonero di cui all’art. 12 comma 2 del DLgs. 231/2007 dunque, non si estende quindi a tutti i casi di consulenza ma solo a quelli collegati a procedimenti giudiziari. 

Per contro, gli obblighi antiriciclaggio si applicano a partire dal momento in cui si concretizza, con il conferimento dell’incarico al professionista, il rapporto tra quest’ultimo e il cliente definito dall’art. 1 comma 2 lett. e) del DLgs. 231/2007 come il soggetto al quale “….i destinatari indicati agli articolo 12 e 13 rendono una prestazione professionale a seguito del conferimento di un incarico”. 

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Rent to buy: schema contrattuale e vademecum del Notariato

Il Consiglio Nazionale del Notariato, al fine di fornire agli operatori indicazioni operative utili per l’utilizzo e la diffusione del contratto di “Rent to buy” ha appena pubblicato una guida operativa che contiene un facsimile di contratto e un decalogo informativo.

 

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La disciplina del Rent to buy, introdotta solo di recente nel nostro ordinamento ad opera del cosiddetto Decreto “Sblocca Italia” Decreto n. 133/2014 (GU n.212 del 12.09.2014), convertito in Legge n. 164/2014, è stata oggetto delle nostre news n. 30-2014 (disciplina contrattuale) e n. 33-2014 (disciplina fiscale) alle quali si rinvia per un’analisi dettagliata.

Gli operatori hanno ora a disposizione anche uno schema contrattuale tipo, elaborato e reso disponibile dal Consiglio Nazionale del Notariato.

Viene inoltre fornito agli operatori un breve vademecum di stampo pratico, che si articola in 10 punti, nel quale vengono riepilogate le caratteristiche del Rent to buy, ed illustrati i vantaggi e le garanzie fornite ai contraenti.

Si allegano alla presente i citati documenti elaborati dal Consiglio Nazionale del Notariato:

- schema contrattuale;

- 10 cose da sapere sul Rent to buy.

 

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Sostanziali riduzioni dell'Irap dal 2015

Il Governo Renzi, con due provvedimenti dello scorso anno, ha disposta la riduzione dell’Irap, tributo come noto inviso alle imprese in quanto gravante sul costo del lavoro. La riduzione riguarda la componente Irap relativa costo del personale assunto a tempo indeterminato Si riassumono le novità in materia.

 

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Il cosiddetto decreto Renzi D.L. 66/2014, aveva previsto già a partire dal periodo d’imposta 2014, la riduzione dell’aliquota Irap di circa il 10%; in virtù di tale intervento l’aliquota ordinaria Irap sarebbe dovuta passare dal 3,9% al 3,5%. Era stato inoltre previsto che, per il calcolo dell’acconto con il metodo previsionale relativamente al periodo di imposta in questione, venissero utilizzate delle aliquote intermedie tra quelle fino a quel momento applicate e quelle nuove ridotte (in particolare il 3,75% per i soggetti tenuti all’aliquota ordinaria). 

Con la recente Legge di stabilità 2015 (L. 190 del 23.12.2014 pubblicata il 29 dicembre 2014, in Gazzetta Ufficiale n. 300, suppl. Ord. n. 99) è stato totalmente modificato l’intervento sull’IRAP e, in luogo della riduzione dell’aliquota, si è optato per la deduzione del costo del lavoro nella determinazione della base imponibile Irap.  In particolare, è stata disposta l’integrale deducibilità dall’Irap del costo sostenuto per lavoro dipendente a tempo indeterminato, eccedente le deduzioni sul lavoro applicate ai sensi dell’articolo 11 del Dlgs 446/1997, di cui ai commi 1, lett a), 1 bis, 4 bis e 4 quater.

La deduzione è pari alla differenza tra costo complessivo dei dipendenti (salari e stipendi, contributi, mensilità differite, quota tfr) e l’importo delle deduzioni legate al personale. Quindi, da un punto di vista operativo, si applicano prima le deduzioni in questione, usufruendo poi della nuova deduzione che, per i dipendenti a tempo indeterminato, consente di considerare la differenza fra costo complessivo e deduzione già operata. 

A seguito di tale intervento normativo, è stata azzerata la riduzione delle aliquote disposta dal decreto Renzi, tornando alla situazione precedente. E’ stata fatta salva, tuttavia, la previsione circa le aliquote ridotte utilizzabili per il calcolo dell’acconto con il metodo previsionale per il periodo 2014: pertanto, qualora l’acconto versato, determinato in misura ridotta in virtù del decreto Renzi, risultasse insufficiente a consuntivo, è consentito integrare il versamento in sede di saldo senza l’applicazione di sanzioni o interessi. Occorre precisare che mentre il ritorno alla “vecchie” aliquote ha effetto retroattivo, la nuova deduzione si applicherà soltanto dal periodo d’imposta 2015.

La nuova deduzione spetta soltanto per i dipendenti assunti a tempo indeterminato, mentre la presenza di dipendenti con contratto a tempo determinato non comporta alcun nuovo beneficio. Tuttavia, allo scopo di non penalizzare le imprese e i professionisti che si trovano a operare senza personale dipendente assunto a tempo indeterminato, la versione finale della legge di stabilità ha stabilito che alle imprese e ai professionisti che non si avvalgono di lavoratori dipendenti verrà attribuito un credito di imposta da compensare nel modello F24 pari al 10% dell’imposta lorda. In questo modo viene di fatto ripristinata per i soggetti in questione la riduzione del 10% delle aliquote originariamente prevista dal decreto Renzi.

Un problema interpretativo si pone in quanto la norma in esame fa riferimento in modo generico ai soggetti che non si avvalgono di dipendenti, con la conseguenza che, chi ha dipendenti a tempo determinato non dovrebbe beneficiare del credito d’imposta (e neppure della nuova deduzione), mentre quei soggetti che hanno soltanto collaboratori coordinati o lavoratori a progetto hanno diritto all’agevolazione. Si auspica un immediato intervento correttivo che rimedi a tale disparità di trattamento.

Senza tener conto dell’impatto sull’Ires, lo sconto Irap sul costo del personale è stimato in media pari al 3,9% del costo del personale deducibile che eccede le deduzioni già spettanti. Sconti più significativi per le società, come banche e assicurazioni, tenute ad applicare aliquote regionali superiori a quella ordinaria.

 

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Storico accordo Italia-Svizzera

E’ stato approvato l'accordo tra Italia e Svizzera, sullo scambio di informazioni in materia finanziaria, che consente alla Svizzera di uscire dalla “Black list”. La firma dell’accordo è attesa per metà febbraio, nei tempi previsti per l’efficacia ai fini della voluntary disclosure, ciò che ridurrà i costi di rientro dei capitali dalla Svizzera. Occorrerà invece attendere almeno un anno per la ratifica dell’accordo da parte dei due Paesi, che consentirà di porre fine al segreto bancario e di permettere all’amministrazione italiana di richiedere informazioni dettagliate sui propri contribuenti senza attendere i tempi di una rogatoria internazionale.

 

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L’accordo in esame rientra in nuova fase di collaborazione fra gli Stati nell’ottica di contrasto all’evasione internazionale, nell’ambito della politica lanciata dall'Ocse e dai maggiori Paesi per la trasparenza fiscale, che ha dato già luogo a diversi accordi sottoscritti a livello internazionale per lo scambio automatico di informazioni. Tra i firmatari di queste intese figurano Paesi considerati storicamente a fiscalità privilegiata, quali il Lussemburgo, San Marino, il Lichtenstein, le isole Cayman, Hong Kong, Singapore, Monaco, e ora la stessa Svizzera. Questi Stati che in questi anni hanno offerto un rifugio sicuro dai controlli del Fisco, oggi si dichiarano pronti a trasmettere tutte le informazioni su conti correnti e movimentazioni finanziarie.

Un ‘accelerazione dell’accordo con la Svizzera è stato prodotto dalla cosiddetta voluntary disclosure la legge sul rientro dei capitali che imponeva la necessità di chiudere ulteriori accordi bilaterali per lo scambio di informazioni entro 60 giorni dall'entrata in vigore del provvedimento (e quindi entro il 2 marzo 2015). La voluntary disclosure rappresenta con ogni probabilità l’ultima opportunità per regolarizzare la posizione di chi detiene capitali all’estero non dichiarati nel proprio Paese, in un mondo finanziario che sta diventando trasparente, in cui i pochi Stati che ancora non si sono adeguati saranno costretti a farlo, in breve tempo.

 

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Nuova apertura dei termini per la rivalutazione dei terreni e delle partecipazioni, ma i costi raddoppiano 

La Legge di Stabilità per il 2015, (legge n. 190 del 23.12.2014 pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 300, suppl. ord. n. 99, il 29 dicembre 2014), ha nuovamente riaperto i termini per accedere alla rivalutazione dei terreni (edificabili e non) e delle partecipazioni detenute al di fuori dell’attività di impresa usufruendo del regime agevolato introdotto e disciplinato dagli articoli 5 e 7 della legge n. 448/2001. La norma in oggetto negli anni successivi alla sua introduzione ha assunto carattere sistemico essendo interessata a regolari riedizioni, l’ultima ad opera della Legge Stabilità 2014 (di cui alla news n. 1/2014). Tuttavia rispetto alle precedenti riaperture dei termini le condizioni di adesione di cui alla Legge di Stabilità 2015 sono più onerose essendo previsto il raddoppio del costo per l’affrancamento. 

 

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Dal 1 gennaio 2015 sarà possibile affrancare in tutto o in parte le plusvalenze conseguite all’atto della cessione a titolo oneroso, ex art. 67, comma 1, lettere a)-c-bis), TUIR, di 

• terreni edificabili e agricoli posseduti a titolo di proprietà, usufrutto, superficie ed enfiteusi;

• partecipazioni non quotate in mercati regolamentati, possedute a titolo di proprietà e usufrutto;

posseduti alla data dell’1.1.2015, non in regime di impresa, da parte di persone fisiche, società semplici e associazioni professionali, nonché di enti non commerciali.

La rivalutazione dovrà essere perfezionata entro il 30.06.2015 mediante redazione ed all’asseverazione della perizia di stima da parte di un soggetto abilitato e versamento dell’imposta sostitutiva calcolata applicando al valore del terreno/ partecipazione risultante dalla perizia le seguenti nuove aliquote (raddoppiate rispetto alle leggi di rivalutazione precedenti):

• 4% per le partecipazioni non qualificate (anziché 2%);

• 8% per le partecipazioni qualificate e per i terreni (anziché 4%).

E’ solo il caso di osservare che tale aumento dei costi non farà venire meno l’appeal del provvedimento in considerazione dei costi ordinari applicati per la tassazione delle plusvalenze sulle partecipazioni e sui terreni . Infatti, si ricorda, che in caso di tassazione ordinaria:

- per le partecipazioni qualificate il reddito imponibile da tassare è pari al 49,72% della plusvalenza realizzata e, questo reddito, sommato a tutti gli altri redditi del soggetto, diventa imponibile seguendo le aliquote ordinarie;

- per le partecipazioni non qualificate la tassazione è pari al 26% della plusvalenza realizzata, senza considerare gli altri redditi del soggetto.

Infine per i terreni la rivalutazione consente di abbattere il valore della plusvalenza in quanto il nuovo valore fiscale con cui confrontare il prezzo di cessione sarà quello rivalutato più elevato . Infatti, si ricorda, che la tassazione ordinaria.

Infatti, si ricorda, che in caso di tassazione ordinaria:

- per le partecipazioni qualificate il reddito imponibile da tassare è pari al 49,72% della plusvalenza realizzata e, questo reddito, sommato a tutti gli altri redditi del soggetto, diventa imponibile seguendo le aliquote ordinarie;

- per le partecipazioni non qualificate la tassazione è pari al 26% della plusvalenza realizzata, senza considerare gli altri redditi del soggetto.

Infine per i terreni la rivalutazione consente di sostituire alle aliquote progressive Irpef la tassazione al 8%.

 

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Patent box: un argine alla delocalizzazione dei redditi dei beni immateriali 

La Legge di Stabilità 2015 introduce la patent box, un regime fiscale di favore che mira ad agevolare le attività di sfruttamento di brevetti e altri beni immateriali attraverso l'esenzione parziale dei redditi derivanti dalla concessione in uso o dalla utilizzazione diretta degli stessi.

 

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Come è noto molti paesi in Europa prevedono regimi fiscali di favore per i redditi derivanti dallo sfruttamento di beni immateriali, quali brevetti e marchi. Tale circostanza ha originato un fenomeno tipico di pianificazione fiscale diretto alla delocalizzazione di tali flussi di reddito verso tali paesi. Con la norma in oggetto si intente contrastare tale fenomeno ed agevolare lo sviluppo della ricerca nel nostro paese. 

Premesso che l’applicazione della norma interna è subordinata all’emanazione del relativo decreto di attuazione, di seguito si riassumono i tratti salienti della nuova disciplina. 

Il nuovo regime è riservato ai titolari di reddito d'impresa, alle società e agli enti di ogni tipo, (compresi i trust residenti in Paesi con i quali è in vigore un accordo per evitare la doppia imposizione e con i quali lo scambio di informazioni sia effettivo). Inoltre, tra le condizioni per rientrare nel regime di tassazione agevolata, è prevista lo svolgimento, anche attraverso enti esterni di ricerca, di attività di ricerca e di sviluppo finalizzate alla realizzazione dei brevetti o di altri beni immateriali oggetto della agevolazione.

Il regime di tassazione agevolata, cd patent box, è subordinato all’esercizio di una opzione irrevocabile per cinque anni. La misura dell’agevolazione sarà, a regime, ovvero a partire dal 2017, pari ad un abbattimento del 50% delle imposte IRES e IRAP. E’ previsto un regime transitorio per gli anni 2015 e 2016 con abbattimenti di imposta, rispettivamente, del 30% e del 40%. 

In particolare l’agevolazione si applica ai redditi derivanti dall’utilizzo diretto o dalla concessione in uso dei seguenti beni immateriali:

• opere dell’ingegno

• brevetti industriali

• marchi di impresa funzionalmente equiparabili ai brevetti, ovvero quelli che richiedono il sostenimento di spese per attività di ricerca e sviluppo.

Sono quindi esclusi i marchi commerciali, il know how e altri beni immateriali giuridicamente tutelabili.

In caso di utilizzo diretto o nel caso in cui i redditi derivanti dalla concessione in uso di marchi e brevetti, siano stati realizzati nell’ambito di operazioni all’interno del medesimo gruppo societario il reddito da detassare deve essere determinato attivando una procedura di ruling, ai sensi dell’art. 8 del DL 269/2003, cioè una forma particolare di interpello con l’Agenzia delle Entrate.  Il reddito agevolabile sarà poi individuato in base al rapporto tra i costi di ricerca e sviluppo sostenuti per il mantenimento e lo sviluppo dell’attività e i costi sostenuti per produrre il bene, rapporto da determinarsi tramite apposito decreto ministeriale. In tale decreto saranno inoltre individuate le tipologie di marchi rientranti nel regime di tassazione agevolata. 

Specifica esenzione è prevista anche per le plusvalenze da cessione relative agli stessi beni immateriali: tali plusvalenze vengono integralmente detassate a condizione che, entro il secondo periodo di imposta successivo alla cessione, almeno il 90% del corrispettivo venga reinvestito nella manutenzione e sviluppo di ulteriori intangibles agevolabili.

 

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Fiscalità più favorevole per gli omaggi natalizi

Il recente “Decreto Semplificazioni” (D.Lgs. 175/2014), entrato in vigore il 13 dicembre 2014, apporta, tra le altre, alcune modifiche alla disciplina Iva degli omaggi, aumentando la soglia per la detraibilità a 50 euro. In vista dell’approssimarsi delle festività natalizie, si coglie l’occasione per presentare un quadro aggiornato sulla disciplina fiscale in materia di omaggi.

 

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L’art. 30 del Decreto Semplificazioni modificando gli artt. 2,3 e 19-bis del Dpr 633/1972, ha infatti uniformato, in termini di soglia di valore (euro 50,00 in luogo di euro 25,82), la disciplina Iva alle norme sulle imposte sui redditi, con decorrenza dal 13 dicembre 2014.

A seguito delle modifiche ai fini Iva non è considerata cessione di beni (art. 2 Dpr 633/1972), quindi non è soggetta all’imposta, la cessione gratuita di beni la cui produzione o il cui commercio non rientra nell'attività propria dell’impresa, di valore non superiore a 50 euro. Similmente, non sono considerate prestazione di servizi (art. 3 Dpr 633/1972.), quindi non sono soggette a Iva, le prestazioni gratuitamente effettuate per l'uso personale o familiare dell'imprenditore, o per finalità estranee all'esercizio dell'impresa di valore non superiore a 50 euro.

Per quanto riguarda il profilo di detraibilità (art. 19-bis Dpr 633/1972), risulta da ora detraibile l’Iva sugli acquisti di beni afferenti alla sfera delle spese di rappresentanza (compresi gli omaggi) di valore non superiore a 50 euro (anziché 25,82 euro). Sulle altre spese di rappresentanza l’Iva rimane indetraibile.

Richiamiamo ora le varie casistiche ai fini Iva:

- la cessione gratuita di beni la cui produzione o il cui commercio non rientra nell’attività dell’impresa di valore superiore a 50 euro, risulta operazioni esente Iva (art. 10 co. 27 quinquies), data l’indetraibilità a monte dell’Iva in acquisto, in quanto spesa di rappresentanza (art. 19-bis Dpr 633/1972);

- la cessione gratuita di beni la cui produzione o il cui commercio rientra invece nell'attività propria dell’impresa di valore superiore a 50 euro sarà sempre imponibile IVA in quanto a monte i relativi costi non costituiscono mai spese di rappresentanza (C.M. 188/E del 16 luglio 1998) e, di conseguenza, l’Iva sull’acquisto è detraibile. Il cedente valuterà poi l’opportunità di avvalersi o meno del diritto di rivalsa (art 18 Dpr 633/1972), e l’Iva non addebitata rimane indeducibile. In tal caso la base imponibile è costituita dal prezzo di acquisto o, in mancanza, dal prezzo di costo

- I beni ceduti gratuitamente ai dipendenti non costituiscono spese di rappresentanza ma non sono considerate spese inerenti. Ne deriva che, se il bene non è prodotto o commercializzato dall’impresa, l’Iva a monte è indetraibile e la cessione esente; se il bene non è prodotto o commercializzato dall’impresa, l’imposta a monte è detraibilie e la cessione è imponibile.

 

Sotto il profilo delle imposte sui redditi, è necessario distinguere tra omaggi offerti a clienti (e fornitori) e a dipendenti.

Gli omaggi ai clienti rientrano tra le spese di rappresentanza (secondo la definizione del DM 19.11.2008), per cui:

- nel caso si tratti di beni di valore non superiore a 50 euro, l’acquisto è integralmente deducibile

- se il valore del bene supera i 50 euro, l’acquisto è deducibile nel rispetto dei requisiti di inerenza e congruità, ossia, complessivamente alle altre spese di rappresentanza,  nei limiti delle seguenti percentuali di ricavi e proventi, secondo i tre scaglioni:

- 1,3% dei ricavi e proventi della gestione caratteristica, fino a 10 milioni di euro di ricavi e proventi;

- 0,5% dei suddetti ricavi e proventi, per la parte compresa tra 10 e 50 milioni di euro;

- 0,1% dei suddetti ricavi e proventi, per la parte eccedente 50 milioni di euro.

Per “valore” si intende il valore normale (art. 9 Tuir) del “regalo” nel suo complesso (si pensi a omaggi composti da diversi beni, quali i cesti natalizi)

La disciplina degli omaggi a dipendenti e collaboratori coordinati e continuativi è differente: in tal caso gli acquisti di beni gratuitamente devolvibili sono deducibili dal reddito di impresa (secondo le norme dell’art. 95 Tuir). Sarà poi da considerare il profilo di imponibilità in capo al dipendente (art. 51 Tuir).

Occorre infine puntualizzare come, per i soggetti Ires, gli omaggi a clienti/fornitori sono deducibili ai fini IRAP in quanto iscritti a conto economico (in B14 - oneri diversi di gestione); per contro gli omaggi a dipendenti, rappresentando spese per il personale, sono invece indeducibili ai fini Irap (a prescindere dall’iscrizione in B9 - spese per il personale).

Per i soggetti Ipef, invece, gli oneri diversi di gestione (e tra questi anche gli omaggi) non sono deducibili (art. 5bis del D.Lgs. 446/1997).

 

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La Svizzera pone fine al segreto bancario

La Svizzera ha da poco sottoscritto il c.d. MCAA “Multilateral Competent Authority Agreement on Automatic Exchange of Financial Account Information”, accordo in virtù del quale le Amministrazioni fiscali dei Paesi aderenti potranno scambiarsi in via automatica i dati dei rapporti finanziari intestati ai relativi residenti. Tale Accordo costituisce un importante strumento di contrasto alla sottrazione d’imposta sul piano internazionale e si inserisce nl quadro degli interventi promossi sia a livello OCSE (Standard for Automatic Exchange of Financial Account Information) sia a livello di singoli Paesi quali Stati Uniti (Facta) e Unione Europea (Direttiva 2011/16/UE).

 

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In data 19 novembre 2014, il Consiglio federale svizzero ha aderito all’accordo multilaterale per lo scambio automatico di informazioni in materia fiscale, al quale avevano già aderito dal 29 Ottobre altri 51 Paesi (che diventeranno 92 entro il 2018). 

Si riporta in allegato l’elenco dei Paesi che hanno sottoscritto l’accordo.

Lo scambio automatico di informazioni è un meccanismo che consente alle autorità fiscali degli Stati di inviarsi dati relativi ai contribuenti residenti. Si tratta di una procedura amministrativa che non richiede l'intervento dell'autorità giudiziaria e che prescinde dall'esistenza di un'indagine della magistratura; lo scambio automatico sarà possibile grazie all’accordo bilaterale tra gli Stati che intendono beneficiarne.

Di fatto l’adesione al Multilateral Competent Authority Agreement comporta la trasmissione sistematica e periodica di informazioni relative a varie categorie di reddito (dividendi, interessi, royalties, stipendi, pensioni, etc) dal paese di origine dei redditi al paese di residenza del contribuente.

Per quanto riguarda la Svizzera, la raccolta dei dati comincerà dal 2017 al fine di rendere possibile lo scambio dal 2018.

La comunicazione dei dati avverrà con cadenza annuale secondo lo Standard approvato dal Consiglio dell'OCSE il 15 luglio 2014 e riguarderà le seguenti informazioni:

- i dati anagrafici del titolare dei conti;

- il numero del conto;

- i dati dell’intermediario finanziario presso il quale il conto è intrattenuto;

- il controvalore del conto alla chiusura del periodo d’imposta (o alla chiusura del rapporto, se questa è avvenuta nel corso del periodo d’imposta).

La Svizzera porrà quindi termine al segreto bancario, con l’obiettivo, tra l’altro, di uscire dalle black list. Il segreto bancario, come noto, prevede la protezione della sfera privata dei clienti delle banche da interventi ingiustificati da parte dello Stato. Esso, tuttavia, non preclude la possibilità di richiedere ed ottenere documentazione in caso di processi penali, procedimenti di esecuzione forzata, frode fiscale, anche su richiesta di autorità straniere, ed in forza di specifici trattati e convenzioni.

 

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Ravvedimento operoso più ampio dal 2015

Tra le misure volte a “semplificare gli adempimenti, stimolare l’assolvimento degli obblighi tributari e favorire l’emersione di base imponibile”, il disegno di legge di stabilità 2015, all’articolo 44, prevede un radicale rinnovamento dell’istituto del ravvedimento operoso.

 

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Come noto, il ravvedimento operoso, disciplinato dall’ art. art.13 del D. Lgs. 18/12/1997, n. 472 - disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, è lo strumento con il quale il contribuente può spontaneamente regolarizzare versamenti di imposte omessi o insufficienti e altre irregolarità fiscali, versando anche i relativi interessi e beneficiando di una riduzione delle sanzioni nella seguente misura:

- 0,2% giornaliero del minimo della sanzione entro 14 giorni (ravvedimento sprint)

- 1/10 del minimo della sanzione entro 30 giorni dal mancato versamento 

- 1/8 del minimo della sanzione entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all'anno nel corso del quale è stata commessa la violazione ovvero, quando non é prevista dichiarazione periodica, entro un anno dall'omissione o dall'errore.

 

Al fine di rendere più efficace l’istituto in commento come strumento deflattivo del contenzioso, il disegno di legge prevede l’ampliamento delle casistiche nelle quali il contribuente può accedere alla regolarizzazione attraverso il ravvedimento operoso ed in particolare l’allungamento del termine entro cui effettuare la regolarizzazione e la rimodulazione delle sanzioni.

Con modifica del comma 8 art. 2 DPR 322/1998, viene quindi prevista la possibilità di accedere al ravvedimento anche oltre il termine di un anno dall’omissione, nell’ipotesi di presentazione di dichiarazioni integrative dei redditi, Irap e sostituti d'imposta per la correzione di errori od omissioni, le quali si ricorda, possono essere presentate entro il 31/12 del quarto anno successivo a quello di originaria presentazione. Di conseguenza, al ravvedimento sprint (entro 14 giorni dopo la scadenza con sanzione dello 0,2% per ogni giorno di ritardo), al ravvedimento breve (entro 30 giorni con sanzione pari al 3%) e a quello lungo (entro un anno con sanzione al 3,75%) si aggiungono le seguenti tre opzioni:

- ravvedimento entro 90 giorni con sanzioni al 3,3% (1/9 del minimo, pari al 30%)

- ravvedimento entro due anni, con sanzione al 4,2% (1/7 del minimo, pari al 30%)

- ravvedimento oltre due anni, con sanzioni fino al 5% (1/6 del minimo, pari al 30%)

Il disegno di legge prevede, per i tributi amministrati dall’Agenzia delle Entrate, la possibilità di utilizzare il nuovo ravvedimento operoso anche in presenza di un processo verbale di constatazione o di notifica di “avvisi bonari”. Rimane preclusa la possibilità una volta avvenuta la notifica degli atti di liquidazione e di accertamento.

Quanto all’entrata in vigore del nuovo ravvedimento operoso, vi è qualche incertezza a causa dell'assenza nella legge di Stabilità d'indicazioni specifiche sulla decorrenza delle nuove norme; non è chiaro infatti se il nuovo ravvedimento riguarderà unicamente le violazioni commesse a decorrere dal primo gennaio del 2015 o se potrà essere applicato anche a quelle pregresse. Occorre sul punto rilevare come nel settore tributario il principio del favor rei dà la precedenza alla legge più favorevole che presenta quindi effetti più lievi per il contribuente anche per il passato.

Nella tabella allegata vengono riepilogati i termini per l’accesso al ravvedimento operoso evidenziando in grassetto le novità introdotte dalla legge di stabilità.

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Leverage buy out: deducibilità interessi passivi

Occorre dar conto di un recente orientamento giurisprudenziale che conferma la legittimità, anche sotto il profilo fiscale, delle cosiddette operazioni di merger leveraged buy-out (Mlbo). Si tratta di operazioni che, seppure attualmente espressamente disciplinate dalle norme civilistiche, risultano di fatto oggetto di contestazione da parte del Fisco, in quanto operazioni reputate elusive e volte ad ottenere un indebito risparmio d’imposta.

 

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Come noto, il leveraged buy-out consiste in una delle possibili opzioni di riorganizzazione societaria finalizzata a consentire l’acquisizione del controllo della società target attraverso un impiego limitato di mezzi propri e grazie al ricorso all'indebitamento. In particolare, viene generalmente realizzata mediante fusione con acquisizione a seguito di indebitamento attraverso le seguenti fasi: a) dapprima la società promotrice costituisce una società ad hoc newco o ne utilizza una preesistente per acquisire la società target; quindi b) la newco accende finanziamenti bancari per procurarsi la provvista necessaria all'acquisizione della target, nella maggior parte dei casi, offrendo in pegno le azioni della target stessa; infine c) ad acquisizione avvenuta, si procede alla fusione della newco nella target con lo scopo principale di riunire nello stesso patrimonio l'indebitamento e i flussi di cassa prodotti dalla target.

Tale operazione di acquisizione societaria è stata legittimata sotto il profilo giuridico a seguito dell’introduzione nel nostro ordinamento dell'articolo 2501-bis del Codice civile, dalla riforma del diritto societario di cui alla legge 31 ottobre 2001 n. 366.  L’art. 2501 bis ammette tali operazioni corredandole di una serie di cautele riguardanti l’equilibrio economico finanziario dell’operazione oltre che adeguati obblighi informativi.

Per contro, sotto il profilo fiscale, l’Agenzia delle Entrate ha più volte contestato le operazioni di merger leveraged buy out (Mlbo) al fine di evitare che i redditi imponibili della società oggetto dell’acquisizione (target), vengano ridotti per effetto degli interessi passivi connessi al finanziamento assunto per la realizzazione dell’acquisizione. A tal scopo l’Agenzia ha utilizzato varie argomentazioni: la non inerenza del costo degli interessi passivi ex art. 96 TUIR; l’elusività della manovra; e, nel caso di operazioni Mlbo effettuate da soggetti non residenti, ha altresì invocato l’applicazione della normativa legata al Transfer price.

Per contro, in giurisprudenza, recenti sentenze (Ctp di Milano 1527/1/14 depositata il 14 febbraio scorso, Ctr Lombardia sentenza n.4539/14 e n. 36/34/2011) hanno affermato la legittimità anche sotto il profilo fiscale di operazioni di leverage. In particolare secondo i giudici, dette operazioni devono considerarsi non elusive a condizione che rispettino i seguenti requisiti:

- siano intercorse tra soggetti terzi, tra loro indipendenti;

- rispettino le condizioni di mercato;

- non prevedano l'utilizzo di strutture societarie o enti localizzati in paradisi fiscali;

- realizzino il risultato del mutamento degli assetti societari («change of control»). 

Tale giurisprudenza ha dunque disconosciuto l’operato dell’Agenzia delle Entrate che, sulla base della presunta natura elusiva dell’operazione, aveva negato la deducibilità degli interessi passivi correlati all’operazione.

Occorre sul punto evidenziare che tuttavia la legittimità anche sotto il profilo fiscale delle operazioni di leverage by out è correlata alla condizione che si tratti di riorganizzazioni societarie motivate in misura non marginale, da ragioni di natura extrafiscale, non necessariamente consistenti in un’attesa di immediata redditività dell’operazione, ma anche riferibili a vantaggi di carattere organizzativo, ovvero di miglioramento della struttura del business e di efficientamento della stessa in una prospettiva economico-aziendale. 

Si ricorda che anche la giurisprudenza della Cassazione (sentenza 1372/2011), ripresa della Commissione tributaria regionale della Lombardia (sentenza 36/34/2011) qui in commento, riconosce che il sindacato dell’Amministrazione stessa non può spingersi sino ad imporre all’impresa la scelta di uno strumento di ristrutturazione diverso fra quelli giuridicamente accessibili, per il solo motivo che detto strumento avrebbe determinato un maggiore carico fiscale.

Infine, si ricorda che sul tema della deducibilità degli interessi passivi, anche in operazioni di leverage by out si è in attesa dell’approvazione dei decreti attuativi della delega fiscale la quale detta uno specifico criterio direttivo indirizzato proprio a revisionare la disciplina degli interessi passivi, specificando e precisando il concetto di inerenza.

 

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Exit tax

Il D.M. del 2 luglio 2014 ha modificato la disciplina in materia di “exit-tax”, ossia il regime impositivo applicabile ai trasferimenti all’estero della residenza fiscale di soggetti che esercitano imprese commerciali, di cui all’art. 166 del Tuir. Le precedenti modifiche, precisamente l’introduzione dei commi 2 quater e 2 quinquies, erano state introdotte con il D.L. n. 1 del 24.01.2012, convertito dalla L. 24.03.2012 n. 27, e regolate con il decreto attuativo del Ministero dell’economia e delle finanze del 2 agosto 2013.

 

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Con la locuzione exit-tax si fa riferimento, generalmente, a quelle forme di tassazione che hanno come presupposto la perdita, da parte del contribuente, della residenza nel proprio Stato e, quindi, il venir meno della potestà impositiva del predetto Stato. Le disposizioni in materia di exit-tax hanno natura antielusiva, in quanto volte ad evitare che redditi maturati prima della perdita del collegamento, e quindi rientrati nella potestà impositiva dello Stato di origine, non vengano più assoggettati a tassazione nello Stato di origine ma, piuttosto, beneficino della minore tassazione nello Stato di destinazione.

Nell’ambito dell’ordinamento italiano, l’art. 166 del Tuir regola il trasferimento della sede all’estero da parte di soggetti che  esercitano attività di impresa. Al pari di un evento a carattere realizzativo, il citato art. 166 prevede la tassazione delle plusvalenze, calcolata come differenza tra il valore normale (ex art. 9 Tuir) ed il valore fiscalmente riconosciuto dei beni trasferiti, fatto salvo il caso in cui i beni confluiscano in una stabile organizzazione in Italia (i redditi della quale, ovviamente, continuano ad essere tassati in Italia) e fino a quando tali beni non vengano distolti dalla stessa. Al contrario, si considerano comunque realizzate le plusvalenze relative a stabili organizzazioni all’estero.

La ratio è quella di evitare che con il trasferimento della residenza fiscale in altro Paese venga sottratto allo Stato di origine il potenziale gettito futuro in termini di utili e plusvalori latenti. 

Il regime di exit taxation previsto dall’art. 166 del Tuir è stato modificato dal legislatore a seguito della sentenza della Corte di Giustizia Europea relativa alla causa comunitara C-371/10 – “National GridIndus BV” in tema di libertà di stabilimento, in quanto l’articolo, nella vecchia formulazione, comportava un’anticipazione della tassazione delle plusvalenze rispetto al momento ordinariamente previsto se non vi fosse stato trasferimento della residenza (momento del realizzo).

Nella attuale formulazione, il comma 2 quater  introduce una possibilità di sospensione della riscossione della exit-tax quando il trasferimento avviene verso un Paese appartenente all’Unione Europea ovvero aderente all’Accordo sullo Spazio Economico Europeo che consenta un adeguato scambio di informazioni e che abbia stipulato con l’Italia un accordo sulla reciproca assistenza in materia di riscossione dei crediti tributari.

Conseguentemente, con il D.M. 2.08.2013 erano stati definiti l’ambito ed il contenuto della sospensione, le fattispecie che determinano la decadenza della sospensione, i criteri di determinazione dell'imposta dovuta e le modalità di versamento delle imposte.

A circa un anno, il MEF rimette mano, nuovamente, alla disciplina con l'emanazione del decreto del 02.07.2014, che abroga il decreto precedente. Le nuove disposizioni si applicano ai trasferimenti di residenza effettuati nel periodo d'imposta che inizia successivamente a quello della pubblicazione nella G.U. (2015 per i soggetti il cui periodo di imposta coincide con l’anno solare). Il trasferimento della residenza è determinato tenendo conto delle Convenzioni in materia di doppia imposizione sui redditi vigenti tra l'Italia e gli Stati UE o ASEE e di quelle tra questi e gli Stati terzi.

La plusvalenza sulla quale calcolare l’imposta include il valore dell'avviamento, comprensivo delle funzioni e dei rischi trasferiti, calcolato “sulla base dell'ammontare che imprese indipendenti avrebbero riconosciuto per il loro trasferimento”.  L'imposta è determinata in via definitiva alla fine dell'ultimo periodo d'imposta di residenza in Italia, e non rilevano le plusvalenze e le minusvalenze successive al trasferimento.

L’opzione di sospensione o rateazione deve essere esercitata per il complesso aziendale, non per i singoli beni distintamente (come inizialmente previsto nel D.M. del 2013) ma la plusvalenza complessiva è riferita a ciascun cespite in proporzione al rapporto tra il rispettivo maggior valore e la sommatoria di tutti maggiori valori.

All’importo dell’imposta sospesa o rateizzata  si applicano gli interessi nella misura prevista dall'art. 20 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241. 

Rimangono invece fuori dalla possibilità di sospensione o rateazione:

• i beni produttivi di ricavi (per richiamo all’art 85 TUIR); 

• i fondi in sospensione d'imposta, inclusi quelli tassabili in caso di distribuzione, iscritti nell'ultimo bilancio prima del trasferimento della residenza, non eventualmente ricostituiti nel patrimonio contabile della stabile organizzazione in Italia; 

• gli altri componenti positivi e negativi che concorrono a formare il reddito dell'ultimo periodo d'imposta di residenza in Italia, compresi quelli relativi a esercizi precedenti, non attinenti ai cespiti trasferiti, la cui deduzione o tassazione sia stata rinviata in conformità alle disposizioni del TUIR. 

Relativamente alle perdite pregresse non utilizzate, le nuove regole non differiscono da quanto previsto dal D.M. del 2013: la compensazione avverrà prioritariamente con il reddito dell'ultimo periodo d'imposta di residenza in Italia, comprensivo dei componenti sopra elencati che non possono dar luogo a sospensione o rateazione. L'eccedenza, unitamente all'eventuale perdita di periodo, compenserà la plusvalenza “di trasferimento”. Le eventuali perdite ancora residue saranno computabili in diminuzione del reddito della eventuale stabile organizzazione in Italia. 

Le imposte sui redditi oggetto di sospensione devono essere versate al verificarsi del primo dei seguenti eventi: 

• per i beni e i diritti ammortizzabili (inclusi quelli immateriali e l'avviamento), l'esercizio di maturazione delle quote residue di ammortamento che sarebbero state ammesse in deduzione ai fini dell'ordinaria determinazione del reddito d'impresa, indipendentemente dalla imputazione al conto economico; 

• per le partecipazioni e gli strumenti finanziari similari alle azioni, non produttivi di ricavi ex art 85 TUIR, l'esercizio di distribuzione degli utili o delle riserve di capitale; 

• per strumenti finanziari, anche derivati, diversi da quelli di cui al punto precedente, il maggior valore è suddiviso in quote costanti in base al periodo di durata residua dei medesimi; 

• per ciascuno dei predetti elementi e per gli altri elementi patrimoniali non soggetti a processo di ammortamento, l'esercizio in cui si considerano realizzati ai sensi delle disposizioni del Tuir; 

• il decorso di dieci anni dalla fine dell'ultimo periodo d'imposta di residenza in Italia.

Per quanto concerne la rateizzazione, le imposte dovute sono versate in 6 rate annuali di pari importo.

Il D.M. in commento prevede cause di decadenza dalla sospensione o rateazione, con il conseguente pagamento del residuo entro il termine previsto per il successivo versamento:

• operazioni straordinarie che comportino il trasferimento dei componenti di cui al ad altro soggetto residente in uno Stato non UE o non ASEE;

• apertura di una procedura di insolvenza, di liquidazione, l'estinzione;

• il trasferimento della residenza in Stati o territori non UE o non ASEE;

• la cessione delle quote da parte dei soci di società semplici,  in nome collettivo e in  accomandita semplice (ed enti equiparati ex art 5 TUIR).

Con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate n° 9214 del 10.07.2014 sono state definite le modalità di esercizio dell'opzione e di prestazione di idonee garanzie.

 

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Rapporti con Paesi a fiscalità privilegiata: modifiche in arrivo

Le preannunciate novità relative ai rapporti con soggetti residenti in Paesi Black list sono ormai prossime. Il Decreto sulle semplificazioni fiscali, definitivamente approvato dal Consiglio dei Ministri il 30 ottobre scorso, in attuazione della legge delega n. 23 del 11.03.2014, e in attesa di pubblicazione sulla GU, interviene a semplificare gli adempimenti relativi alle comunicazioni delle operazioni con i paradisi fiscali. In più, il testo del disegno di legge di Stabilità 2015, all’esame del Parlamento, prevede una modifica dei criteri su cui fondare l’individuazione dei regimi fiscali privilegiati in relazione ai quali si applica la presunzione di indeducibilità dei costi di cui all’art. 110 co. 10 del TUIR.

 

* * * 

 

L’art. 21 del DLgs. “semplificazioni” modifica la periodicità delle comunicazioni relative alle operazioni con i paradisi fiscali di cui all’art. 1 del DL 40/2010 e le condizioni a seguito delle quali è obbligatorio il monitoraggio. In particolare:

- la periodicità, da mensile o trimestrale, diviene annuale;

- la comunicazione diviene obbligatoria solo se l’importo complessivo annuo delle operazioni è superiore a 10.000,00 euro.

Entrambe le novità riguardano le operazioni effettuate nell’anno solare in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo che, salvo improbabili ritardi nella pubblicazione sulla G.U., dovrebbe essere il 2014. 

Occorre segnalare alcuni aspetti non chiari della nuova normativa:

- se la comunicazione annuale riferita al 2014 deve contenere anche i dati già inviati con le comunicazioni mensili o trimestrali già presentate nel corso dell’anno;

- se il termine di presentazione della comunicazione annuale coincida o meno con quello dello spesometro (il 10 aprile dell'anno successivo a quello di riferimento, per i soggetti obbligati che effettuano la liquidazione Iva mensile; il 20 aprile, per gli altri.);

- se la soglia di 10.000,00 euro debba essere riferita a ciascuna controparte estera.

Come anticipato in premessa, inoltre, l’art. 44 comma 40 del Ddl. di Stabilità 2015 contiene una proposta di modifica dei criteri per l’individuazione dei Paesi a fiscalità privilegiata, stabilendo che nelle more dell’emanazione della white list prevista dall’art. 168-bis del TUIR, gli Stati andranno identificati “con esclusivo riferimento all’assenza di un adeguato scambio di informazioni” con decreto ministeriali. L’elenco ministeriale dei Paesi black list identificherà gli Stati e territori cui si applica la disciplina dell’indeducibilità dei costi di cui all’art. 110 comma 10 del TUIR.

Tale modifica non riguarderà l’elenco dei Paesi cui si applica la presunzione di residenza delle persone fisiche o la disciplina CFC, e quindi sugli Stati soggetti all’obbligo di comunicazione ai fini IVA, per i quali bisognerà aspettare l’emanazione della white list prevista dall’art. 168-bis del TUIR; pertanto, salvo modifiche al testo di legge, Stati quali Singapore, Emirati Arabi Uniti e Filippine continueranno a essere soggetti all’obbligo di comunicazione Black list, anche se non saranno presumibilmente più interessati dal regime di indeducibilità dei costi.

Sul punto occorre infine ricordare che l’Italia in data 14 gennaio 2013 ha firmato la convenzione contro le doppie imposizioni con Hong Kong, che ad oggi è in attesa di ratifica da parte del Parlamento, al termine della quale la convenzione entrerà in vigore. Una volta ratificata la convenzione, Hong Kong uscirà dalla Black list e, conseguentemente nei rapporti con soggetti ivi residenti non si applicheranno le norme antielusive (limiti deducibilità dei costi black list, la norma sulle CFC) e i dividenti ricevuti da Hong Kong potranno essere tassati al 5% come per le altre società non ubicate in paradisi fiscali. 

 

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Rendiconto Finanziario: il nuovo principio contabile italiano OIC 10

Il 5 agosto 2014 l’Organismo Italiano di Contabilità ha emanato un nuovo principio contabile, l’OIC 10, sul Rendiconto Finanziario. In precedenza, le indicazioni riguardo tale documento informativo erano contenute nella versione del maggio 2005 dell’OIC 12 “Composizione e schemi del bilancio d’esercizio di imprese mercantili, industriali e di servizi”, ora rivista e pubblicata contestualmente all’OIC in commento.

L’Organismo Italiano di Contabilità ha ritenuto opportuno dedicare un apposito principio al Rendiconto Finanziario in quanto strumento indispensabile per ottenere informazioni circa la situazione finanziaria e la sua evoluzione, anche in accordo a quanto stabilito dai Principi Internazionali con lo IAS 7 - Statement of cash flow. Pur non essendo, il rendiconto, previsto dalle norme del codice civile come documento obbligatorio, l’OIC raccomanda la sua redazione a tutte le tipologie societarie.

 

* * *

 

Le novità salienti rispetto alle indicazioni previste fino ad agosto sono le seguenti:

- eliminazione del capitale circolante netto come grandezza di riferimento per la redazione del rendiconto; 

- riformulazione delle definizioni di gestione reddituale, attività di investimento e attività di finanziamento; 

- inserimento di alcune indicazioni circa l’aggiunta, il raggruppamento e la suddivisione dei flussi finanziari e del generale divieto di compensazione tra flussi finanziari; 

- inserimento di alcune indicazioni in merito al rendiconto finanziario consolidato; 

- introduzione della distinzione tra flussi finanziari derivanti da capitale proprio o da capitale di debito nella presentazione del flusso dell’attività di finanziamento; 

- indicazioni specifiche riguardo al flusso finanziario derivante dall’acquisizione di una società controllata o di un ramo di azienda; 

- precisazioni sui flussi finanziari connessi ai derivati di copertura;

- eliminazione di alcune alternative contabili in merito a dividendi ed imposte.

La grandezza rispetto alla quale è misurata la variazione dei flussi finanziari è rappresentata unicamente dalle disponibilità liquide. In una definizione più restrittiva rispetto allo IAS 7, le disponibilità liquide sono costituite da depositi bancari e postali, da assegni, denaro e valori in cassa, anche in valuta estera. Scompare lo schema di rendiconto basato sul capitale circolante netto, in quanto poco diffuso, meno esplicativo e non presente nello IAS 7.

In calce al rendiconto, la società deve indicare l’ammontare di disponibilità liquide non liberamente utilizzabili (come, ad esempio, conti vincolati).

Il rendiconto, in forma scalare, presenta nell’ordine le seguenti sezioni: gestione reddituale, attività di investimento, attività di finanziamento. La somma algebrica dei flussi finanziari delle tre sezioni rappresenta l’incremento o il decremento delle disponibilità liquide. 

E’ espressamente vietata la compensazione interna come, ad esempio, quella tra erogazione di nuovi finanziamenti e rimborsi. 

Le operazioni non monetarie (permute di attività, emissione di azioni per acquisizione di una controllata, ecc.) non devono essere inserite nel prospetto. 

Accanto ad ogni flusso va indicato l’ammontare dell’esercizio precedente per permettere la  comparazione.

Il flusso della gestione reddituale può essere rappresentato col metodo diretto (evidenziando direttamente i flussi finanziari, metodo raccomandato dallo IAS7) o indiretto (rettificando il risultato di esercizio riportato nel conto economico, metodo più utilizzato nella prassi).

Tra i flussi finanziari dell’attività di investimento troviamo, distintamente, i flussi derivanti dall’acquisto e dalla vendita delle immobilizzazioni materiali, immateriali e finanziarie e delle attività finanziarie non immobilizzate, sempre rettificati dalle variazioni dei relativi debiti o crediti, al fine di evidenziare l’effettivo esborso o incasso dell’esercizio (le plus/minusvalenze sono ricomprese nella gestione reddituale).

Tra i flussi finanziari dell’attività di finanziamento troviamo, distintamente, i flussi derivanti dall’ottenimento o restituzione di disponibilità liquide sotto forma di capitale di rischio o di capitale di debito.

Le stesse regole valgono per la redazione del rendiconto finanziario consolidato, con l’avvertenza di elidere i flussi infragruppo. Per quanto riguarda le acquisizioni e cessioni di controllate, il flusso finanziario derivante dal corrispettivo pagato o incassato va distintamente indicato fra le attività di investimento, al netto delle disponibilità liquide acquisite o dismesse come parte dell’operazione. Tali disposizioni valgono anche nel caso di acquisizione o cessione di ramo d’azienda.

 

L’OIC tratta poi specificamente alcuni particolari flussi: 

- i dividendi incassati e pagati sono indicati, rispettivamente, nella gestione reddituale e nell’attività di finanziamento;

- gli interessi pagati e incassati sono presentati distintamente tra i flussi finanziari della gestione reddituale, a meno che non afferiscano ad attività di investimento o ad attività di finanziamento;

- i flussi finanziari relativi alle imposte sul reddito sono indicati distintamente nella gestione reddituale (non è più prevista l’indicazione fra le attività di investimento o finanziamento);

- i flussi relativi ai derivati di copertura sono presentati nella medesima categoria dei flussi finanziari dell’elemento coperto;

- i flussi derivanti da operazioni in valuta estera, distinti per classe di attività, sono iscritti nel bilancio in euro, applicando il tasso di cambio tra l’euro e la valuta estera al momento in cui avviene il flusso (il risultato di esercizio è rettificato a monte per tener conto di utili o di perdite derivanti da variazioni nei cambi non realizzati).

 

In allegato lo schema di rendiconto finanziario dell’OIC 10 e il raffronto fra le disposizioni contenute nell’OIC 10 e quelle previste dall’OIC 12 (versione maggio 2005).

 

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Semplificazioni nella trasformazione da società di persone in S.p.a.

 

Il D.L. 24 giugno 2014, n. 91 (c.d. “decreto competitività”), entrato in vigore il 25.6.2014, e convertito, con modificazioni, nella L. 11.8.2014 n. 116, ha introdotto rilevanti novità in materia societaria tra cui si segnala la semplificazione del procedimento di trasformazione di società di persone in società di capitali a base azionaria. Più in particolare, il provvedimento ha esteso la valutazione semplificata prevista dall’art. 2343-ter c.c. – introdotta a seguito del recepimento della Direttiva 2006/68/CE ad opera del D.lgs. 4 agosto 2008, n. 142 - ad ulteriori operazioni societarie per le quali rimaneva obbligatoria la relazione giurata di stima redatta da un perito nominato dal tribunale ai sensi dell’art. 2343 c.c.. Le operazioni interessate dalle semplificazioni sono: a) la trasformazione di società di persone in spa (art. 2500-ter co. 2 c.c.). b) l’acquisto di beni o di crediti dei promotori, dei fondatori, dei soci o degli amministratori, nei due anni dalla iscrizione della società stessa nel Registro delle imprese (art. 2343-bis c.c.).

 

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La disciplina della valutazione in caso trasformazione in una società azionaria, come tale potenzialmente destinata a rivolgersi al mercato per reperire capitale, è sempre stata improntata a maggiore rigore rispetto a quella prevista dall’art. 2465 per la società a responsabilità limitata.

Prima del decreto competitività, ai sensi dell'art. 2500 ter codice civile, in caso di trasformazione cosiddetta progressiva di società di persone in società di capitali azionaria (S.p.a. o S.a.p.a.), il patrimonio netto della società poteva essere valutato solo seguendo le rigorose prescrizioni di forma stabilite dall'art. 2343 codice civile: nomina di un esperto, su istanza del legale rappresentante della società, di competenza del Tribunale nel cui circondario ha sede la società.

Per contro, l’art. 2465 c.c. per le s.r.l. prevede che la perizia sia redatta da un perito di nomina della stessa società.

Lo scopo della relazione di stima è quello di garantire che il capitale sociale della società sia effettivamente esistente e non sia inferiore al minimo prescritto dalla legge tanto che l'atto di trasformazione non accompagnato dalla perizia di stima è considerato invalido.

Come anticipato, il D.lgs. 4 agosto 2008, n. 142 (poi modificato dal D.lgs. 29 novembre 2010, n. 224), in recepimento della Direttiva 2006/68/CE aveva introdotto anche per le società azionarie un meccanismo volto a consentire che il conferimento di beni in natura avvenga senza relazione di stima, al fine di rendere più celere e meno costoso, il procedimento di costituzione della società azionaria o quello dell’aumento del capitale sociale. Tale meccanismo agevolato è disciplinato dall'art. 2343-ter c.c. che esclude l’obbligo di relazione giurata di un perito nominato dal Tribunale nei seguenti casi:

1) conferimento di valori mobiliari o di strumenti del mercato monetario, se il loro valore non supera il prezzo medio ponderato al quale essi sono stati negozia ti in un mercato regolamentato nei sei mesi precedenti il conferimento;

2) conferimento di beni o crediti, quando il loro valore (considerato ai fini della formazione del capitale e dell'eventuale sovrapprezzo) non supera:

a) il fair value ricavato da un bilancio approvato da non oltre un anno, purché si tratti di un bilancio sottoposto a revisione legale e a condizione che la relazione del revisore non esprima rilievi sulla valutazione dei beni oggetto del conferimento;

b) il valore equo risultante da una valutazione, redatta in conformità «ai principi e criteri generalmente riconosciuti per la valutazione dei beni oggetto del conferimento» in data non anteriore a sei mesi rispetto al conferimento, stilata da un esperto indipendente da chi effettua il conferimento e dalla società conferitaria.

Di fatto la norma consente anche nelle S.p.a. di evitare il ricorso all’esperto giudiziale e di utilizzare una valutazione “interna” purché redatta da un esperto indipendente, dotato di adeguata e comprovata professionalità e conforme ai principi di best practise. Prima dell’intervento normativo era controversa l’applicabilità di tali modalità semplificate in quanto l’art. 2343 ter c.c. non era espressamente richiamato dall’art. 2500-ter c.c.. Con il decreto competitività qui in esame, dunque, viene definitivamente risolta ogni questione interpretativa sul punto e stabilito espressamente che il capitale sociale della società risultante dalla trasformazione può essere determinato anche con le procedure semplificate di cui all’art. 2343 ter c.c..

Si fa notare come la novità riguardi solo le trasformazioni in società azionarie; ne risulta un procedimento verosimilmente più oneroso nell’ipotesi di trasformazione in s.r.l. rispetto alla s.p.a., per le quali l’art. 2465 continua a richiedere l’onere della perizia giurata.

 

Occorre infine rilevare che la formulazione dell'art. 2500 ter c.c. risulta infelice nel richiamo all’ art. 2343 ter c.c.; infatti, manca il rinvio al quarto comma dell’art. 2343 ter c.c. che sancisce la responsabilità dell’esperto, nonché al successivo art. 2343 quater c.c. che prevede il procedimento di verifica da parte dell’organo amministrativo che non siano avvenuti fatti eccezionali tali da incidere sul valore dei beni oggetto di valutazione. 

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Debiti tributari e cancellazione della società dal Registro delle Imprese

A seguito della riforma del diritto societario (D. Lgs. N. 3/2003) la cancellazione della società di capitali dal Registro delle Imprese è condizione necessaria e sufficiente per l’estinzione della medesima. Eventuali debiti, compresi quelli tributari,  non potranno più essere richiesti in capo alla stessa ma dovranno essere avanzati nei confronti dei soci ovvero dei liquidatori, ricorrendone i relativi presupporti. Il decreto delegato sulle semplificazioni fiscali in corso di emanazione, tuttavia, crea una possibile incongruenza rispetto alla norma generale nella parte in cui stabilisce che ai soli fini fiscali l’estinzione della società ha effetto trascorsi cinque anni dalla cancellazione dal Registro delle Imprese. 

 

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Secondo il sistema attualmente vigente la portata estintiva della cancellazione della società dal Registro Imprese comporta che la sussistenza di un rapporto tributario non definito non potrà, in nessun caso, far rivivere l’ente disciolto. Gli atti impositivi da parte dell’Amministrazione Finanziaria, non potendosi rivolgere alla società estinta, potranno, ricorrendone i presupposti, rivolgersi ai soci, ai liquidatori o agli amministratori. 

Il perimetro entro cui la stessa Amministrazione può attivarsi è quello delineato dalle due disposizioni di riferimento: quella a carattere generale di cui all’art.  2495 C.C. e quella, a carattere speciale, di cui all’art. 36 del Dpr 602/73, attualmente riferibile esclusivamente ai debiti di imposta Ires. 

In particolare l’art. 2495 C.C. fissa la responsabilità personale dei soci nei confronti dei creditori sociali sino a concorrenza delle somme da questi riscosse in sede di bilancio finale di liquidazione. La stessa disposizione civilistica, inoltre, fonda una ipotesi di responsabilità professionale dei liquidatori i quali risponderanno in proprio dei debiti in caso di comportamento colposo. 

La norma speciale di cui all’art. 36 del Dpr 602/73 - che non vale per i tributi rilevanti quali Irap o l’Iva per i quali il fisco potrà valersi esclusivamente della norma generale - fissa una responsabilità più estesa rispetto a quella di cui al criterio generale,  sia sotto il profilo temporale che sotto il profilo soggettivo. 

In particolare, per il primo aspetto, i soci sono responsabili nei confronti del fisco sino a concorrenza delle somme percepite dagli stessi nel corso della liquidazione e nel corso dei due anni precedenti la stessa liquidazione.  Per il secondo aspetto è prevista una responsabilità professionale dei liquidatori per le imposte dovute in corso di liquidazione e, coerentemente con il summenzionato dato temporale, anche degli amministratori che nei due anni precedenti alla liquidazione hanno compiuto operazioni di liquidazione o occultato attività sociali. 

Il quadro di riferimento appena esposto potrebbe mutare a seguito della definitiva approvazione della norma contenuta nel decreto delegato sulle semplificazioni fiscali (art. 28, 4° comma). Da un lato, ciò che appare certamente apprezzabile, è prevista l’applicazione della tutela speciale anche agli altri tributi (Iva, Irap..); dall’altro lato, è disciplinata espressamente la possibile riviviscenza della società, ai soli fini fiscali, per il periodo di cinque anni dalla cancellazione. 

Quest’ultima disposizione, oltre a risultare non coerente con riferimento ai contenuti della delega i cui principi di semplificazione non sembrerebbero rispettati, pone, come è facile intuire, una serie di incertezze sul piano sostanziale e procedurale (come si perfeziona la notifica di un atto impositivo a carico di una società estinta?) ponendosi in netto contrasto con i principi della riforma societaria a tal punto che alcuni autori hanno evidenziato la possibile sanzione di incostituzionalità della norma in corso di emanazione. 

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Disciplina fiscale del rent to buy

Si esaminano i profili fiscali della nuova figura contrattuale del rent to buy introdotta dal decreto Sblocca Italia (D.L. n. 133/14), già illustrata nella nostra recente news “La nuova disciplina del rent to buy”. Il decreto 133 non ha previsto una disciplina fiscale di tali contratti; ha solo disposto l’estensione delle agevolazioni previste dall’art. 8 del D.L. n. 47/14 per le locazioni con clausola di riscatto aventi ad oggetto alloggi sociali anche ai contratti di rent to buy e di vendita con riserva di proprietà; l’efficacia di tale disposizione è però subordinata alla autorizzazione da parte della Commissione Europea.

 

* * *

 

Per individuare la disciplina fiscale di tale nuova tipologia contrattuale, in mancanza ad oggi di un intervento ad hoc dell’Amministrazione finanziaria e di indicazioni specifiche nei Principi contabili nazionali ed internazionali occorre riferirsi ai documenti elaborati in dottrina prima dell’entrata in vigore del decreto “Sblocca Italia” ed in particolare:

- alla norma di comportamento n. 191, l’AIDC (Associazione Italiana Dottori commercialisti) 

- allo Studio del Notariato n. 490-2013/T

Si rinvia, inoltre, ai chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate, prima della regolamentazione del rent to buy ad opera dello Sblocca Italia, ed in particolare, all’intervento del 13 febbraio 2014 in risposta alla consulenza giuridica richiesta dall’Ordine dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Monza e alla precedente risoluzione n. 11/E/2009 su un’operazione assimilabile alla locazione con patto di futura vendita.

Nell’analizzare i profili fiscali dell’operazione, occorre distinguere i seguenti casi:

1. i contratti in cui sussiste un vincolo per entrambe le parti al trasferimento dell’immobile;

2. i contratti in cui sussiste esclusivamente un’opzione a favore di una delle parti (generalmente locatario/cessionario)

Nel caso di locazione con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per ambedue le parti che comporta il trasferimento della proprietà in modo automatico senza necessità di un ulteriore atto di consenso, si crea una divergenza tra effetti civilistici ed effetti fiscali.

Se ai fini civilistici il diritto di proprietà si trasferisce solo al momento dell’avverarsi della condizione dell’integrale pagamento del corrispettivo, da un punto di vista fiscale l’effetto economico del trasferimento della proprietà s’intende anticipato al momento della stipula del contratto di locazione. Tale fattispecie contrattuale è disciplinata in modo univoco ai fini dell’Iva (art 2 comma 2 n. 2 DPR633/72), dell’imposta di registro (art. 27 comma 3 DPR 131/1986) e delle imposte dirette (art. 109, comma 2 Tuir), con la previsione che, ai fini fiscali, non si tiene conto delle clausole di riserva della proprietà.

Ai fini dell’individuazione del regime fiscale, occorre distinguere poi se il locatore/cedente e il locatario/cessionario agiscono nell’esercizio di un’impresa o da privati, e, con riguardo ai profili IVA/registro, occorre anche tener conto della natura strumentale o abitativa dell’immobile come esemplificato nella tabella che segue.

 

 Locazione con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per ambedue le parti

 

 

 

Locatore /cedente impresa

 

 

Iva/Registro

Fatturazione ed assoggettamento all’imposta dell’intero corrispettivo della cessione, determinato dalla somma dei canoni e del corrispettivo finale, nel momento della stipula del contratto, ai sensi dell’art. 2, c 2, D.P.R. 633/72, secondo l’aliquota propria applicabile al bene; la cessione dell’immobile (abitativo o strumentale) potrà avvenire con applicazione dell’IVA o in regime di esenzione, secondo quanto stabilito dai n. 8) bis e 8) – ter del co.1, dell’art. 10, del D.P.R. 633/1972. A seconda che l’operazione rientri o meno nel campo di applicazione dell’IVA, si applicherà l’imposta di registro fissa o proporzionale

 

Redditi

il ricavo complessivo della cessione è assoggettato alle imposte sul reddito di impresa nel periodo d’imposta in corso al momento della stipula del contratto, ai sensi dell’art. 109, c. 2, lett. a, del TUIR, mediante imputazione allo stesso periodo di imposta del ricavo della cessione o della plusvalenza o minusvalenza realizzata

 

Bilancio

il bene deve essere eliminato dall’attivo del bilancio per intervenuta cessione nel periodo di imposta di stipula del contratto

 

 

 

Registro

Assoggettamento dell’intero corrispettivo della cessione, determinato dalla somma dei canoni e del corrispettivo finale pattuito, all’imposta di registro, ai sensi dell’art. 27, co. 3, D.P.R 131/1986, al momento della stipula del contratto

Locatore / cedente  privato

Redditi

Assoggettamento a Irpef del plusvalore realizzato al momento di stipula del contratto, ove ricorrano le condizioni previste dall’art. 67, co. 1, lett. b), del TUIR.

Dalla stipula del contratto decorre il periodo quinquennale di cui all’art. 67, co. 1, lett. b), del Tuir

 

Locatario/cessionario impresa

 

Iva/Registro

Potrà esercitare il diritto di detrazione, nel rispetto dei vincoli di inerenza disciplinati dall’art. 19, comma 1, D.P.R. 633/72, dell’IVA eventualmente gravante sul corrispettivo della cessione al momento della stipula del contratto

 

Redditi

Tiene conto, nella determinazione del reddito di impresa, dei frutti dell’immobile sin dal momento della stipula del contratto, ai sensi dell’art. 109, co. 2, lett. a, del TUIR.

 

Bilancio

iscrizione dell’immobile tra le attività del bilancio nell’esercizio in cui è stato stipulato il contratto, con possibilità di computare, qualora ne ricorrano i presupposti, le quote di ammortamento relative al cespite acquistato

Locatario/cessionario privato

Iva/Registro

Diritto di richiedere i benefici per l’acquisto della prima casa contestualmente alla stipula del contratto, con ogni conseguente adempimento

 

Redditi

Dichiarazione del reddito di fabbricati a decorrere dalla data di stipula del contratto. Decorrenza del periodo quinquennale di cui all’art. 67, co. 1, lett. b), del TUIR, dalla data di stipula del contratto

 

 

Per contro, nel caso di locazione con patto di futura vendita non vincolante per ambedue le parti ma per una sola di esse, generalmente individuata nel locatore/cedente, vi è coincidenza fra effetti civilistici e fiscali, nel senso che il trasferimento diviene rilevante in ogni caso non nel momento della stipula del contratto ma successivamente, cioè, nel momento in cui l’opzione per l’acquisto (o per la vendita) venga esercitata. 

Il trattamento fiscale è quello della locazione con tassazione, ai fini IVA e delle imposte sul reddito, limitatamente al canone percepito e, solo al momento dell'esercizio dell'opzione, quello tipico della compravendita.

Occorre rilevare che il corrispettivo può essere determinato al lordo o al netto dei canoni di locazione: le parti, infatti, possono preventivamente accordarsi riguardo alla determinazione del corrispettivo della successiva cessione, prevedendo che le somme versate dal locatario al locatore durante il periodo di locazione siano considerate, in tutto ovvero in parte, come quota del corrispettivo dovuto in caso di esercizio dell’opzione di acquisto (o di vendita). 

Un discorso a parte merita la pattuizione del versamento, in corso di locazione, di eventuali acconti prezzo, che hanno un trattamento fiscale diverso dai canoni. Il tema è stato affrontato dall’Agenzia delle Entrate nella Consulenza del 13 febbraio 2014 che, al fine di evitare doppia tassazione, indica il trattamento differenziato per le due tipologie di pagamento:

a) i canoni concorrono alla formazione del reddito imponibile nei singoli periodi d'imposta in cui vengono percepiti, come ''ricavi'', se trattasi di immobili destinati alla vendita, o come ''proventi immobiliari'' nel caso di abitazioni ''patrimonializzate'';

b) gli acconti prezzo (eventualmente corrisposti), ai fini delle imposte sul reddito, costituiscono ''debiti verso il conduttore'', da tassare (come ricavi o plusvalenze, a seconda della classificazione contabile dell'immobile) solo al momento del riscatto.

 

 

Al momento dell’opzione, sotto il profilo finanziario, dal corrispettivo della vendita pattuito dovranno devono essere detratti sia i canoni di locazione pagati che le rate di prezzo; dal punto di vista economico si avrà un provento, oggetto di tassazione ai fini IRPEF/IRES, pari alla differenza tra il prezzo di cessione pattuito (compresi gli acconti), al netto della quota dei canoni di locazione imputata in conto prezzo, e il costo fiscale dell'immobile.  Nella tabella che segue si riepilogo il trattamento fiscale del rent to buy con opzione di vendita non vincolante per entrambe le parti.

 

 Locazione con patto di futura vendita non vincolante per ambedue le parti

 

 

 

 

Locatore /cedente impresa

 

 

 

Iva/Registro

Emette le fatture per i canoni periodicamente dovuti applicando l’IVA ovvero il regime di esenzione, se previsto, in riferimento alla tipologia della locazione.

Anche gli acconti prezzo devono essere fatturati al momento del pagamento.

All’esercizio dell’opzione, emette fattura del corrispettivo contrattualmente prestabilito; la base imponibile, ai fini IVA, è pari alla differenza tra il prezzo pattuito, al netto degli acconti, ed i canoni di locazione imputati in conto prezzo, già fatturati al momento della loro corresponsione.

In tale sede, qualora l'abitazione sia acquistata in presenza dei cosiddetti ''requisiti prima casa'', è possibile effettuare la variazione in diminuzione dell'IVA (dal 10% al 4%), anche oltre il decorso di 1 anno dall'emissione della fattura (in conformità a quanto già ammesso dalla stessa Agenzia delle Entrate nella R.M. 187/E del 7 dicembre 2000). Tale possibilità, anche se espressamente accordata con riferimento agli acconti di prezzo pagati prima del riscatto, dovrebbe ammettersi anche per le quote dei canoni di locazione imputate in conto prezzo in sede di rogito. Anch'esse, infatti, a seguito dell'esercizio del diritto di riscatto, si trasformano (al pari degli acconti) in corrispettivo d'acquisto dell'abitazione

 

Redditi

Nell’esercizio in cui avviene il riscatto, tassa un ricavo pari al prezzo di cessione dell’immobile o una plusvalenza /minusvalenza nel caso trattasi di un bene strumentale; nel caso di corrispettivo determinato al lordo dei canoni rileva una sopravvenienza passiva, pari ai canoni incassati ed imputati al prezzo, deducibile in quanto trattasi di una rettifica dei ricavi che hanno concorso a formare il reddito in precedenti esercizi.

Locatore / cedente  privato

Registro

assoggetta prima i canoni di locazione e poi il corrispettivo della cessione all’imposta di registro

 

Redditi

dichiara il reddito diverso ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. B), del TUIR qualora ne ricorrano i presupposti

 

Locatario /cessionario impresa

 

Iva/Registro

annota le fatture emesse per i canoni periodici, esercitando il diritto di detrazione sull’IVA, se applicata, tenendo conto del principio di inerenza di cui all’art. 19, 1° comma, D.P.R. 633/1972; annota la fattura rettificativa emessa dal cedente, uniformando il proprio comportamento a quanto in essa contenuto e, ove del caso, rettificando il credito IVA in precedenza contabilizzato

 

Redditi

contabilizza l’acquisto dell’immobile al prezzo complessivamente determinato e ai fini del reddito di impresa ed eventualmente contabilizza una sopravvenienza attiva, relativamente ai canoni di locazione corrisposti, per la somma totale o parziale imputata al prezzo della cessione.

Locatario /cessionario privato

Iva/Registro

Ha diritto di richiedere i benefici per l’acquisto della prima casa contestualmente alla stipula del contratto, con ogni conseguente adempimento

 

Redditi

Dichiarazione del reddito di fabbricati a decorrere dalla data di stipula del contratto. Decorrenza del periodo quinquennale di cui all’art. 67, co. 1, lett. b), del TUIR, dalla data di stipula del contratto

 

 

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Beni in godimento ai soci e finanziamenti alla società

Scade il 30 ottobre prossimo il termine per la comunicazione dei beni concessi in godimento ai soci e loro familiari e dei finanziamenti da questi erogati nel corso del 2013 introdotta dalla “Manovra Bis o di Ferragosto” (DL n. 138/2011 in vigore dal 13.8.2011 convertito con Legge n. 148 del 14.09.2011). Si esamina la disciplina in oggetto anche alla luce delle modifiche previste dalla Legge delega per la riforma fiscale Legge n 23 del 2014 in materia di società di comodo e di beni intestati ai soci e che saranno contenute nell’annunciato decreto sulle semplificazioni fiscali, in corso di discussione in Parlamento.

 

* * *

 

Come noto la Manovra Bis o di Ferragosto ha inasprito la disciplina inerente l’intestazione fittizia da parte di società o imprese individuali di beni, rispettivamente, dei soci o dei familiari dell’imprenditore. In particolare, nel caso in cui  una società o una impresa individuale conceda dei beni in godimento ai soci o ai familiari dell’imprenditore è stabilito che: 

a) venga considerato reddito diverso ai fini IRPEF, in capo al socio, la differenza tra il valore di mercato e il corrispettivo annuo previsto per la stessa concessione in godimento; 

b) i relativi costi non siano deducibili dal reddito imponibile in capo alla società. 

E’ stato quindi previsto l’obbligo di comunicazione all’Agenzia delle Entrate dei dati relativi a detti beni concessi in godimento, da assolversi, alternativamente, da parte dell'impresa concedente o del socio o familiare beneficiario. Tale obbligo risponde anche all’esigenza di facilitare l’accertamento sintetico da redditometro in capo al soggetto che utilizza il bene.

Oggetto della comunicazione sono sia i beni concessi in godimento ai soci che i finanziamenti e le capitalizzazioni da questi effettuate.

In particolare, occorre comunicare l’utilizzo personale da parte dei soci o di loro familiari di qualsiasi bene nella disponibilità della società ovvero dell’imprenditore individuale (a titolo di proprietà o ad altro titolo), purché sussista una differenza tra il corrispettivo annuo relativo al godimento del bene ed il valore di mercato dello stesso diritto di godimento. Rileva tanto l’uso esclusivo che l’uso non esclusivo dei beni da parte dei soci o loro familiari.

L'adempimento, che scadrà il prossimo 30 ottobre in relazione al periodo d’imposta 2013, è pertanto strettamente correlato a quanto indicato nella dichiarazione dei redditi riferita al 2013: se, in presenza di una differenza (negativa) tra il corrispettivo annuo addebitato dalla società relativamente al godimento del bene e il valore di mercato del godimento medesimo nella dichiarazione la società ha ripreso a tassazione le spese di gestione dei beni, e il socio ha tassato nella propria dichiarazione il reddito diverso, occorrerà presentare la comunicazione entro il 30 ottobre. Viceversa, nessun obbligo di comunicazione andrà effettuato.

E’ stato chiarito che la disciplina non trova applicazione nei confronti di quei beni della società (ad esempio le auto aziendali) concessi in godimento ai soci amministratori e ai soci-dipendenti a cui si applica la normativa fiscale al fine di determinare la deducibilità dei costi per l’impresa concedente e il reddito da sottoporre a tassazione per l’utilizzatore. 

Sono altresì esclusi dalla comunicazione:

• i beni di società e di enti privati di tipo associativo che svolgono attività commerciale, residenti o non residenti, concessi in godimento a enti non commerciali soci che utilizzano gli stessi beni per fini esclusivamente istituzionali; 

• gli alloggi delle società cooperative edilizie di abitazione a proprietà indivisa concessi ai propri soci; 

• i beni diversi dagli immobili, dai veicoli dalle unità da diporto e aeromobili (quali telefoni cellulari, computers ecc..) di valore non superiore a € 3.000,00 al netto dell’Iva;

• i beni dati in godimento in anni precedenti ma non più nella disponibilità dei soci/familiari.

Per ciò che concerne i finanziamenti e le capitalizzazioni, il provv. Agenzia delle Entrate 2.8.2013 n. 94904 prevede l’obbligo di comunicazione, esclusivamente da parte della società che li riceve, di qualsiasi forma di finanziamento o di capitalizzazione effettuata nel periodo d’imposta da persone fisiche, soci o familiari dell’imprenditore, per un importo complessivo, per ciascuna tipologia di apporto, pari o superiore a 3.600,00 euro. Detto limite deve intendersi riferito, distintamente, ai finanziamenti annui ed alle capitalizzazioni annue (ad esempio, un finanziamento soci di 3.000,00 euro e un versamento in conto capitale di 2.500,00 euro non vanno comunicati) e va verificato con riguardo alla posizione del singolo socio o familiare dell’imprenditore che effettua il versamento.

Di contro, non vanno comunicati: a) i versamenti eseguiti da soci soggetti collettivi (società o enti) e dai familiari dei soci; b) i finanziamenti concessi ai soci o ai familiari dell'imprenditore; i finanziamenti già conosciuti dall’Amministrazione finanziaria (ad esempio in quanto effettuati per atto pubblico o scrittura privata autenticata); le capitalizzazioni senza apporto reale di denaro (passaggi di riserve a capitale); le rinunce ai finanziamenti da parte dei soci (senza restituzione di denaro); 

I finanziamenti e i versamenti effettuati dai soci andranno comunicati per l’intero ammontare, indipendentemente sia dalla quota del socio cui il bene è concesso in godimento sia dal fatto che l’operazione sia strumentale all’acquisizione dei beni successivamente concessi in godimento. 

Occorre infine ricordare che la legge delega fiscale prevede la semplificazione e la razionalizzazione della disciplina delle società di comodo e dei beni in uso ai soci (art. 12) e dispone la revisione degli adempimenti di scarsa utilità nell’attività di controllo (art. 7); la delega contiene infine la previsione di una norma a regime sullo scioglimento agevolato delle società "di comodo" della quale si attende, pertanto, la relativa disciplina che sarà contenuta nei decreti attuativi.

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Bonus investimenti

Tra le misure di “rilancio e sviluppo delle imprese” introdotte dall’art. 18 DL 91 del 24.06.2014, “Decreto competitività”, convertito con modificazioni dalla legge n. 116 del 11.08.2014, viene introdotta una norma di agevolazione agli investimenti non dissimile da quanto previsto dalle cosiddette “Tremonti bis e ter”. La nuova agevolazione si differenzia dalla Tremonti in quanto lo strumento agevolativo non consiste in una deduzione dal reddito ma in un credito di imposta pari al 15% dei nuovi investimenti eccedenti la media dei cinque anni precedenti. Si ritengono tuttavia applicabili al bonus investimenti i chiarimenti forniti dall’amministrazione finanziaria con riferimento all’agevolazione “Tremonti”.

 

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Soggetti potenzialmente beneficiari sono tutti i titolari di reddito di impresa in attività al 25.06.2014 e le imprese costituite successivamente a tale data, a prescindere da forma giuridica e sistema contabile adottati. Sono esclusi i lavoratori autonomi e le società semplici.

Oggetto dell’investimento agevolato sono i beni strumentali nuovi di valore unitario non inferiore a 10.000 euro, destinati a strutture produttive ubicate nel territorio dello Stato. L’acquisizione può avvenire tramite compravendita, leasing finanziario, appalto, costruzione in economia. E' escluso il leasing operativo in quanto tale formula non prevede il diritto di riscatto al termine del contratto.

I beni agevolabili sono i beni strumentali specifici di cui alla divisione 28 della tabella Ateco quali impianti e macchinari direttamente impiegati nel ciclo produttivo. Sono esclusi i beni usati e i beni acquisiti non per finalità strumentali (come i beni-merce o parti di ricambio di beni in locazione o comodato) ed inoltre le apparecchiature di controllo e di misurazione (divisione 26 e 27 Ateco), gli immobili e le autovetture.

E’ stato tuttavia chiarito (circ. 44/2009) che anche l’acquisto di beni appartenenti ad altre divisioni della tabella Ateco (quali i computers) possono usufruire dell’agevolazione qualora costituiscano parti indispensabili al funzionamento dei beni direttamente agevolabili.

Il periodo all’interno del quale l’acquisizione è rilevante va dal 25.06.2014 al 30.06.2015. Per individuare il momento di acquisizione si applicano i criteri di competenza fiscale di cui all’art. 109 del T.U.I.R, trattandosi di beni mobili, rileva quindi il momento della consegna o della spedizione o, se successiva, la data di trasferimento della proprietà.

Il credito di imposta è pari al 15% delle spese sostenute in eccedenza rispetto alla media (mobile) degli investimenti in beni strumentali compresi nella tabella 28, realizzati nei cinque periodi di imposta precedenti, con facoltà di escludere dal calcolo della media il periodo in cui l'investimento è stato maggiore. Per gli investimenti effettuati nel 2014, il periodo di osservazione riguarderà gli esercizi 2009-2013. Nessun riferimento è fatto ai disinvestimenti, da intendersi quindi irrilevanti per il calcolo della media.

Per le imprese in attività al 25.06.2014, ma costituite da meno di cinque anni, il periodo di raffronto è naturalmente limitato. Per i soggetti costituiti successivamente, rileva l’intero importo degli investimenti per ciascun periodo di imposta.

Il credito d'imposta è utilizzabile esclusivamente in compensazione, a decorrere dal 1 gennaio del secondo periodo di imposta successivo a quello in cui è stato effettuato l'investimento, e va ripartito e utilizzato in tre quote annuali; il credito deve inoltre essere indicato nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d'imposta di maturazione del credito e nelle dichiarazioni dei periodi nei quali il credito è utilizzato e non concorre alla formazione del reddito né della base IRAP. 

L’agevolazione è revocata se il bene agevolato viene ceduto a terzi o destinato a finalità estranee all'esercizio dell'impresa prima del secondo periodo di imposta successivo all'acquisto o anche se trasferito all’estero entro i termini per l’emanazione dell’avviso di accertamento. Secondo le indicazioni fornite dalla circolare n.44/E/2009, par. 3.3 in tema di “Tremonti ter”, la cessione del bene agevolato, alla società di locazione finanziaria nel contesto di un’operazione di lease back, non comporta tuttavia la revoca del bonus investimenti. Come indicato nella stessa circolare, inoltre, non rappresenta causa di revoca del credito la partecipazione del soggetto fruitore ad operazioni straordinarie, sempre che il bene agevolato rimanga nel regime di impresa.

Infine occorre segnalare che, in assenza di specifici divieti, l’agevolazione in esame risulta cumulabile con altre agevolazioni quali: Fondo di garanzia L. 662/96, “Nuova Sabatini” di cui all’articolo 2 del Dl 69/13 “Decreto del Fare”.

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Un aiuto per la continuità aziendale nel concordato in bianco

L’art. 22, comma 7 del DL 91/2014 “Decreto competitività” ha eliminato le condizioni di incertezza sulla sorte dei crediti delle imprese terze originati da nuove operazioni nei rapporti con l’impresa in pre-concordato ripristinando così condizioni più favorevoli per una efficace azione dell’impresa in crisi che intende preservare il valore della continuità aziendale. 

 

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Lo strumento del concordato in bianco o con riserva di deposito della proposta e del piano ha visto risolta la situazione non favorevole di incertezza introdotta dal D.L. 145/13  in materia di prededucibilità dei debiti contratti dall’impresa dopo il deposito della domanda.

Deve ricordarsi che lo strumento del concordato con riserva rende possibile per l’impresa in crisi di beneficiare con effetto immediato di una protezione rispetto alle azioni dei creditori per un arco di tempo utilizzabile per elaborare una soluzione  - di norma ma non necessariamente di tipo concordatario – eventualmente consentendo la continuità aziendale. Nella esperienza recente sono state sperimentate e riscontrate le utilità offerte dal concordato in bianco in termini di possibilità di preservare valori aziendali grazie alla continuità aziendale, continuità che viene protetta rispetto ad atti di aggressione da parte di singoli creditori dei beni dell’impresa. Si ricorda poi che, una volta depositata la domanda in bianco, nelle more della elaborazione e formulazione della proposta e del piano, il debitore conserva il potere di gestire l’impresa; fermo restando che in tale attività dovrà evitare di peggiorare le possibilità di recupero per i creditori, l’imprenditore è sottoposto soltanto ad un obbligo di informativa (nei confronti del Tribunale e con pubblicità sul Registro delle Imprese) e soggiace ad un controllo del Tribunale eventualmente esercitato anche con l’ausilio del pre commissario giudiziale se nominato. 

In questo contesto, si è posta la questione della posizione del terzo con il quale l’imprenditore ha validamente contratto una obbligazione nell’ambito della continuità aziendale condotta dopo la domanda in bianco, tema che in origine trovava soluzione a norma dell’art. 33 comma 1 del D.L. 83/2012 che prevedeva la prededucibilità del credito in quanto originato dal compimento di operazioni legalmente compiute dall’impresa in “pre concordato”. La portata della richiamata disposizione veniva però limitata dal D.L. 145/2013  che ha circoscritto la tutela del terzo alla ipotesi in cui l’evoluzione della procedura attivata dall’impresa in crisi veda poi, in effetti, lo scioglimento della riserva con il deposito di proposta e piano e l’ammissione al concordato preventivo senza soluzione di continuità rispetto alla domanda in bianco.  Come risulta evidente, questa novità ha introdotto una situazione di incertezza nei rapporti dei terzi con l’impresa “in pre concordato” che legittimamente ed utilmente preserva la continuità aziendale attraverso il mantenimento della gestione – ciò che importa la concreta possibilità di continuare a contrarre con i terzi - ed ha quindi costituito motivo di difficoltà e di penalizzazione della gestione in questa fase.

L’art. 22 comma 7 del D.L. 91/14, il decreto competitività, ha abrogato la disposizione sopra commentata così restituendo all’istituto del concordato in bianco la originaria efficacia delle iniziative delle imprese in crisi che, ricorrendone le condizioni,  intendono percorrere una soluzione, eventualmente anche concordataria della propria crisi, senza disperdere il valore della continuità aziendale. Si realizza infatti nuovamente un contesto nel quale il terzo fornitore chiamato a contrarre con l’impresa in preconcordato non ha più la remora costituita dalla incertezza in merito al riconoscimento o meno della prededucibilità del proprio credito che sorge dalla fornitura o da altra prestazione resa nelle more dell’ammissione al concordato. Infatti, l’unica condizione che la terza controparte dovrà verificare è che l’atto dal quale nasce il proprio credito sia un atto legalmente compiuto dall’impresa in crisi, diventando irrilevanti le vicende successive, peraltro non agevolmente prevedibili né indagabili da parte del terzo.

 

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La nuova disciplina del Rent to buy

Il Decreto n. 133/2014 cosiddetto "Sblocca Italia" (Gazzetta Ufficiale n.212 del 12.09.2014), al fine di stimolare il mercato immobiliare, ha introdotto nel nostro ordinamento una disciplina tipica dei contratti di godimento in funzione della successiva alienazione cosiddetti "rent to buy". La convenienza di tale forma contrattuale consiste nel garantire il godimento immediato di un immobile dietro il pagamento di canoni, con diritto per il conduttore di acquistare l'immobile entro un termine prestabilito e ad un determinato prezzo, dal quale vengono scomputati, in tutto o in parte, i canoni versati. 

 

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Sotto il profilo oggettivo, il rent to buy può essere adottato sia per i fabbricati ad uso abitativo che per quelli strumentali e anche per i terreni. Non sono previste limitazioni neppure dal punto di vista soggettivo: possono adottare tale forma contrattuale sia i privati che le imprese e i professionisti.

L'articolo 23, comma 1, DL 133/2014 prevede per i contratti in questione (diversi dalla locazione finanziaria), l'obbligo di trascrizione ai sensi dell'art. 2645-bis c.c. e, conseguentemente, richiede la redazione in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata; rispetto ai tre anni previsti per il preliminare di compravendita immobiliare, nel rent to buy l'efficacia della trascrizione può essere prolungata contrattualmente, ma fino ad un massimo di dieci anni (comma 3).

Per la fase di godimento dell’immobile si rinvia alle norme codicistiche in materia di usufrutto (in luogo di quelle sulla locazione), riguardo ad inventario e garanzia, al carico delle spese di manutenzione ed alle pretese di terzi e/o liti, in quanto compatibili.

Il comma 5 dell’art. 23 regola, inoltre, i casi di inadempimento: il concedente inadempiente è tenuto a restituire la parte dei canoni imputata al corrispettivo, maggiorata degli interessi legali; se a non adempiere è il conduttore, il concedente avrà diritto alla restituzione dell'immobile, acquisendo interamente i canoni a titolo di indennità. Il contratto è comunque risolto in caso di mancato pagamento, anche non consecutivo, di un numero minimo di canoni determinato dalle parti, non inferiore ad un ventesimo del loro numero complessivo (comma 2).

A tutela del conduttore, nel caso in cui il contratto abbia ad oggetto un'abitazione, è fatto divieto di procedere alla stipula dell’atto se non si è proceduto, anteriormente o contestualmente alla stipula, alla suddivisione del finanziamento in quote o al perfezionamento di un titolo per la cancellazione o frazionamento dell'ipoteca a garanzia o del pignoramento gravante sull'immobile (il comma 4 richiama l’art. 8 del D.lgs. 122/2005). 

In caso di fallimento del proprietario, il curatore è tenuto ad onorare il contratto. Se a fallire è il conduttore, il curatore fallimentare, autorizzato dal comitato dei creditori, valuta l’opportunità di proseguire il rapporto contrattuale; resta inteso che se il curatore si scioglie dal contratto preliminare di vendita immobiliare trascritto ai sensi dell’art. 2645-bis c.c., l’acquirente ha diritto di far valere il proprio credito nel passivo, senza che gli sia dovuto il risarcimento del danno e gode del privilegio di cui all’art. 2775-bis c.c., a condizione che gli effetti della trascrizione del contratto preliminare non siano cessati anteriormente alla data della dichiarazione di fallimento.

In materia fiscale, l’art. 23 non detta particolari previsioni. Il Notariato, in sede di analisi delle novità introdotte dallo Sblocca Italia e ancor prima nello Studio n. 490-2013/T, ha esaminato le problematiche relative al rischio di doppia imposizione. Secondo tale documento e secondo quanto indicato nella Norma di comportamento n. 191 dell’Associazione dei Dottori Commercialisti, il trattamento fiscale dipende dal fatto che il trasferimento della proprietà sia automatico al termine della locazione o, piuttosto, sia subordinato all’esercizio di un diritto di opzione. Nel primo caso, dal momento che il trasferimento della proprietà si considera effettuato al momento di stipula del contratto, qualora il cedente sia un’impresa:

- ai fini delle imposte indirette (Iva/registro) occorrerà sottoporre ad imposizione l’intero corrispettivo (dato dalla somma dei canoni e del corrispettivo finale) al momento della stipula;

- ai fini delle imposte sui redditi la plusvalenza/minusvalenza concorrerà a determinare il reddito del periodo d’imposta nel quale è stato stipulato l’atto.

Viceversa, nel caso di locazione con opzione di riscatto, il trasferimento diventa rilevante anche ai fini contabili e fiscali solo nel momento in cui viene esercitata l’opzione. 

 

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Monitoraggio fiscale – RW anno 2013

Entro il 30 settembre prossimo, termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi 2013, occorre adempiere anche agli obblighi in materia di monitoraggio fiscale in relazione alle attività estere. Si ritiene dunque utile fornire un breve promemoria sulle novità in materia di RW intervenute già a decorrere dal 2013, sia con riguardo agli obblighi dichiarativi che alla misura delle sanzioni, oltre che fare il punto sull’annunciato provvedimento in materia di voluntary disclosure.

 

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In primo luogo occorre rilevare che ad oggi risulta ancora in discussione in Parlamento il disegno di legge sul rientro dei capitali dall’estero “voluntary disclosure”. Tale provvedimento è finalizzato ad incentivare la collaborazione volontaria per coloro che non avessero mai adempiuto agli obblighi in materia di monitoraggio fiscale delle attività estere; il nuovo istituto sarà particolarmente apprezzato dai contribuenti che detengono attività in Paesi a fiscalità non privilegiata con i quali vige lo scambio di informazioni fra le Amministrazioni finanziarie, che risultano pertanto più facilmente rintracciabili dal Fisco italiano. In attesa dell’approvazione definitiva del disegno di legge, per il quale si prospettano tempi non brevi, i contribuenti sono chiamati ad effettuare, entro il 30 settembre, le proprie valutazioni e scelte con riferimento alle attività detenute nel 2013 ed, eventualmente a rivedere quelle già fatte in relazione al 2012.

Tali scelte devono essere effettuate alla luce delle novità introdotte dalla Legge europea n. 97/2013 con effetto dal 2013: 

- unificazione del quadro RW con il quadro IVIE-IVAFE;

- semplificazione delle regole di compilazione del quadro RW;

- rimodulazione delle sanzioni. 

In particolare sono state eliminate la sezione I (relativa ai trasferimenti attraverso non residenti senza il tramite di intermediari italiani) e la sezione III (trasferimenti da, verso e sull'estero) del quadro RW e abrogato il limite dei 10mila euro al di sotto del quale in precedenza non andava compilato il quadro (eccetto per i depositi e c/c bancari per cui tale limite è stato ripristinato dalla legge di conversione del D.L. 4/2014). Di conseguenza, per tutte le attività finanziarie e per gli investimenti esteri la compilazione del quadro RW è necessaria senza alcun limite, mentre per i depositi e c/c bancari vige la franchigia di € 10.000 al di sotto della quale non occorre dichiarare nulla.

In attesa dell’emanazione del provvedimento sulla “voluntary disclosure”, che consentirà di regolarizzare anche periodi d’imposta ante 2012 per i quali sono scaduti i termini per il ravvedimento operoso, la revisione delle sanzioni (a favore del contribuente, in adeguamento alla procedura di infrazione aperta dall’UE) rende indubbiamente più conveniente il ravvedimento operoso per il 2012 (con riferimento alla sez II del quadro RW non essendo più sanzionabili per il favor rei le omissioni nelle sez I e III) presentando entro il prossimo 30 settembre il Modello Unico 2013 integrativo, con l’inserimento del quadro RW e versamento, oltre agli interessi legali, delle sanzioni in misura pari a:

- 32 euro come importo fisso (un ottavo della sanzione minima di 258 euro di cui all’art. 8, c. 1, del d. lgs. n. 471/1997);

- lo 0,75% (se le attività sono detenute in Paesi black list di cui ai D.M. 4.5.1999 e 21.11.2011) oppure lo 0,375% (se le attività sono detenute in Paesi non BL) degli importi non indicati nella Sezione II del quadro RW;

- il 16,67% per le sanzioni sugli eventuali redditi di fonte estera non dichiarati (corrispondente alla sanzione base del 100% per dichiarazione infedele aumentata di un terzo, ai sensi dell’art. 1, comma 3 del D.Lgs. 471/1997, e ridotta ad un ottavo, grazie al ravvedimento).

 

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Delega fiscale, in arrivo il decreto sulle semplificazioni

Si attende a breve l’emanazione del testo definitivo dei decreti legislativi di attuazione della Delega fiscale (Legge 23/2014) sulle semplificazioni degli adempienti fiscali

 

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In attesa dell’ultimazione del procedimento legislativo si riepilogano le principali novità annunciate in discussione:

1. Semplificazione degli adempimenti fiscali:

  •  730 precompilato
  •  comunicazione delle operazioni con Paesi black list per cui è prevista l’introduzione del nuovo limite annuo di 10.000 euro (anziché 500 euro nel periodo  di riferimento); 
  •  lettere intento: dovranno essere trasmessa telematicamente all’Agenzia delle Entrate da parte dell’acquirente e non più del fornitore; è prevista l’eliminazione dell’obbligo di presentare in dogana la dichiarazione d’intento in forma cartacea

 

2. Modifica della disciplina del reddito professionale:

  • applicazione IRAP alle società tra professionisti (STP) con stralcio della norma sulle società tra professionisti che prevedeva la parificazione del reddito da esse prodotto a quello delle associazioni professionali per evitare contraddizioni con il prelievo sulle società di capitali.
  • modifica il trattamento fiscale dei compensi in natura per il professionista e dei rimborsi spese (vitto e alloggio e spese di rappresentanza)

 

3. Modifiche in materia di accertamento e responsabilità tributaria:

  • il regime delle società di comodo sarà applicabile alle società in perdita sistematica solo dopo cinque esercizi, anziché tre ; 
  • introduzione responsabilità di CAF e professionisti per i versamenti dovuti dal contribuente assistito che abbia "barato" sugli importi da versare (tranne  in caso di dolo di quest'ultimo);
  • esclusione della responsabilità solidale negli appalti per le ritenute e previsione della responsabilità personale per il liquidatore che è chiamato a rispondere in proprio del pagamento delle imposte dovute dall'impresa «se non prova di aver soddisfatto i crediti tributari anteriormente all'assegnazione di beni ai soci o associati».

 

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Scissione negativa e gli orientamenti della cassazione

La Cassazione, con la sentenza n. 26043 del 20 novembre 2013, ha esaminato il caso della cd scissione negativa fissando le condizioni in presenza delle quali l’operazione deve ritenersi legittima.

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La scissione negativa è l’operazione caratterizzata dal fatto che il patrimonio netto oggetto di trasferimento dalla scissa alla beneficiaria ha un saldo contabile negativo ovvero il valore contabile delle passività è maggiore del valore contabile delle attività. 

In siffatta situazione è possibile che il valore “reale” del patrimonio netto oggetto di trasferimento sia positivo; ciò può accadere quanto esistono elementi dell’attivo patrimoniale il cui valore contabile è più basso del corrispondente valore di mercato. In altri casi, pur in presenza di differenze positive tra valori contabili e valori di mercato, è possibile che il valore “reale” del patrimonio netto resti negativo laddove dette differenze non sono sufficienti e coprire lo sbilancio rispetto alle passività oggetto di trasferimento dalla scissa alla beneficiaria. 

La Cassazione, con la citata sentenza n. 26043/2013, ha confermato che quando sia il valore contabile del patrimonio scisso sia il suo valore “reale” sono negativi, l’operazione di scissione non è consentita poiché non potrebbe sussistere alcun valore di concambio e quindi nessuna attribuzione di partecipazioni ai soci della società scissa.

Secondo i Giudici della Cassazione, quindi, con una scissione contabilmente e “realmente” negativa si realizza uno scopo diverso da quello a cui la scissione dovrebbe essere preordinata. Infatti siffatta scissione potrebbe celare lo stato di decozione della società scissa la quale beneficerebbe di una riduzione del proprio passivo e di contro non consentirebbe alla beneficiaria alcuna attribuzione di valori economici effettivi.

Di contro la legittimità della scissione contabilmente negativa, ma “realmente” positiva (ossia, con patrimonio netto positivo espresso a valori correnti), è pacifica tant’è che il Documento OIC 4, par. 4.3.3, ammette espressamente la scissione in cui il valore contabile del patrimonio netto trasferito alla beneficiaria è negativo, se tuttavia il valore economico è positivo, aggiungendo che occorre però che la scissione abbia per beneficiaria una società già esistente. Secondo questa impostazione, si veda in proposito l’orientamento L.E.1. del Notariato del Triveneto, la beneficiaria esistente dovrà quindi avere capitale sociale e riserve sufficienti ad assorbire il patrimonio netto negativo oppure rilevare una minusvalenza per tale importo. 

Sul punto inerente la beneficiaria esistente occorre osservare che il Notariato di Milano (Massima n. 72 del 2005) ha formulato una interpretazione più ampia ammettendo anche la beneficiaria di nuova costituzione, purché la differenza fra valore reale e valore contabile del patrimonio scisso – rappresentata dal disavanzo di concambio – venga supportata da apposita relazione giurata di stima ex articoli 2343 (per le Spa) o 2365 (per le Srl), Cod. Civ.. 

Da ultimo occorre osservare che la Cassazione da ultimo citata evidenzia anche che una volta che l’atto di scissione è stato iscritto al registro delle imprese, pur se la scissione “realmente” negativa non sarebbe di per sé ammissibile, si producono gli effetti previsti dall’articolo 2506-quater, comma 3, Cod.civ., con la conseguenza che la solvenza di ciascuna società – scissa e beneficiaria – dovrà essere valutata tenendo conto delle proprie passività e attività post scissione. 

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SRL meno soggette al controllo legale dei conti

L’art. 20 del cosiddetto “Decreto Crescita” DL n. 91, del 24 giugno 2014 (Gazzetta Ufficiale n. 144 del 24.06.2014), ha introdotto alcune modifiche in materia di società di capitali finalizzate al “rilancio e sviluppo delle imprese”. In particolare ciò che qui interessa evidenziare sono le modifiche introdotte con riferimento all’art. 2327 del c.c., in materia di capitale minimo per le società per azioni, e all’art. 2477 c.c., in materia revisione legale dei  conti delle società a responsabilità limitata. 

 

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L'emendamento all’art. 2327  riduce da € 120.000,00 a € 50.000,00 il minimo del capitale sociale per le Spa. Detta modifica, nell’agevolare la costituzione di tali tipi di società, adegua anche la norma interna alla prassi europea che vede,  in linea generale, limiti più bassi rispetto a quelli fissati nel nostro ordinamento. 

In secondo luogo nel testo definitivo del DL 91 trova spazio la soppressione del secondo comma dell’art. 2477 c.c. il quale, facendo rinvio alla norma sul capitale minimo per le Spa, imponeva alla società a responsabilità limitata la nomina dell’organo di controllo quando il capitale sociale era pari o superiore a quello fissato per le Spa. 

In assenza della soppressione della norma da ultimo citata l’effetto sarebbe stato quello di estendere l’obbligatorietà del collegio sindacale a tutte le Srl con un capitale compreso tra € 50.000 e € 120.000. Di contro, per effetto di tale abolizione, viene di fatto eliminato l’obbligo di introduzione del collegio sindacale, vigente sino all’emanazione del DL 91/2014, per tutte le Srl con capitale pari  superiore a € 120.000,00. 

L’obbligatorietà della nomina dell’organo di controllo o del revisore nelle s.r.l. (e nelle cooperative, stante il rinvio operato dall’art. 2543 c.c. ai commi 2 e 3 dell’art. 2477) resta quindi vigente nei seguenti casi:  

a) superamento, per due esercizi consecutivi, dei parametri previsti dall'art. 2435bis, c.c., che impongono la redazione del bilancio in forma ordinaria;

b) se la società capogruppo redige il bilancio consolidato;

c) se la società controlla altre società tenute alla revisione legale dei conti

In merito al venir meno dell’obbligo sulle società che avevano nominato l’organo di controllo in quanto il capitale sociale era superiore ai 120.000 si osserva che, secondo l’opinione prevalente, i collegi sindacali in carica all’entrata in vigore della norma vanno a cessare alla naturale scadenza del mandato triennale; per contro, per quanto concerne il revisore legale, costituisce giusta causa di revoca la sopravvenuta insussistenza dell'obbligo di revisione legale per l'intervenuta carenza dei requisiti previsti dalla legge.

Da ultimo, sotto un profilo strettamente pratico, è evidente che le modifiche in oggetto renderanno di nessuna utilità la prassi ricorrente di determinare il capitale sociale delle S.r.l. ad un livello di poco inferiore al mimino legale previsto per la S.p.a, al solo fine di evitare il collegio sindacale. 

 

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Possibili agevolazioni per l'accesso al consolidato fiscale

Il disegno di Decreto Legislativo in materia di semplificazioni fiscali prevede l’abolizione del modello specifico per l’accesso al regime del consolidato fiscale e la contestuale introduzione della relativa opzione all’interno del modello della dichiarazione dei redditi. Quale conseguenza pratica della modifica normativa in corso si segnala sia lo slittamento del termine per l’esercizio dell’opzione per il consolidato fiscale dal 16 giugno al 30 settembre, sia l’inserimento dell’opzione nel sistema disciplinare della dichiarazione dei redditi.

 

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Il consolidato Fiscale nazionale, la cui disciplina è contenuta negli art. 117-129 del TUIR (DPR 917/86) è il regime tributario di carattere opzionale che consente ai gruppi di società (società di capitali ed enti commerciali residenti nel territorio dello Stato fra i quali esiste un rapporto di controllo) l’accesso a forme di tassazione unitaria: le società che accedono al regime vengono tassate in base alla somma algebrica dei redditi e delle perdite prodotte dalle singole società consolidate, anche se i fatti economici costitutivi del presupposto d’imposta restano comunque riferibili alle società partecipanti che li hanno posti in essere. L’opzione per la tassazione consolidata deve essere esercitata espressamente in forma congiunta dalla controllante e dalle controllate (che intendono aderirvi), è irrevocabile e ha efficacia triennale.

La disposizione attualmente vigente (art. 119 del TUIR) regola in modo articolato il termine entro il quale presentare l’opzione: entro il sedicesimo giorno del sesto mese successivo alla chiusura del periodo d’imposta precedente al primo esercizio cui si riferisce l’esercizio dell’opzione stessa. Pure le modalità da seguire per l’esercizio dell’opzione importano adempimenti di tipo specifico in quanto è previsto un modello apposito di comunicazione oggetto di definizione con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 9 giugno 2004. 

L'art. 17, comma 2 dello schema di D.Lgs. in commento, invece, se approvato in via definitiva, consentirà l’esercizio dell’opzione per il regime del consolidato nazionale con la dichiarazione dei redditi presentata nel periodo d’imposta a decorrere dal quale si intende esercitare l’opzione stessa. 

Da ultimo occorre evidenziare che l’inserimento dell’opzione del consolidato all’interno della dichiarazione dei redditi potrebbe di fatto comportare un’agevolazione maggiore del semplice slittamento di alcune settimane del termine per l’accesso al regime fiscale in commento; si pensi, infatti, ai termini temporali previsti dalla normativa per l’adesione all’istituto del ravvedimento operoso applicabile con riferimento alle dichiarazioni dei redditi in confronto ai termini assai più restrittivi per la sanatoria prevista nella remissione in bonis (almeno secondo l’interpretazione dell’Amministrazione Finanziaria).

 

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Niente imposta registro 1% sulle locazioni immobili strumentali soggette ad IVA

Una recente sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Milano (del 04.07.2014 n. 3663/24/14 e precedente sentenza del 30.10.2012 n.138/49/12), ribadisce l’illegittimità della disciplina interna che prevede l’applicazione dell’imposta di registro in misura proporzionale sui contratti di locazione di immobili strumentali soggetti ad IVA, in quanto norma in contrasto con le direttive europee.

 

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Com’è noto, a seguito delle modifiche introdotte al DPR 131/86 in materia di imposta di registro dal DL 223/2006, sono soggetti a tassazione proporzionale con applicazione dell’imposta di registro nella misura dell’1%, i contratti di locazione di fabbricati strumentali, sia che siano esenti da IVA, sia che siano imponibili Iva per obbligo di legge o per opzione (art. 10, n.8 DPR 633/72).

Secondo la C.T. Reg. di Milano, l’applicazione del registro in misura proporzionale su atti già soggetti ad Iva, in deroga al principio di alternatività fra Iva e imposta di registro, si pone in contrasto con il principio comunitario di cui all’art. 401 della Direttiva 2006/112/CE, che vieta l’introduzione di imposte sul volume d’affari, che vadano ad aggiungersi all’IVA.

Conseguentemente, la stessa C.T. ha ritenuto di disapplicare la disciplina interna e di considerare illegittima la liquidazione erariale dell'imposta di registro dell'uno per cento sui contratti di locazione di fabbricati strumentali imponibili Iva ai sensi dell’articolo 10 punto 8 del Dpr n.633/72.

Tale orientamento della giurisprudenza di merito, se confermato con una pronuncia della Cassazione, darà luogo ad un contenzioso per la restituzione dell’imposta pagata e allegerirà l’onere fiscale dei futuri contratti di locazione.

Da ultimo occorre domandarsi, come sollevato da alcuni autori, se il medesimo principio non possa trovare applicazione anche ai trasferimenti di immobili strumentali assoggettati ad Iva, i quali, si ricorda, risultano pure assoggettati alle imposte ipo-catastali in misura proporzionale, con un aggravio forse non legittimo dell’onere fiscale complessivo. 

 

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Capitale sociale minimo a € 50.000 per spa e sapa

Con provvedimento del Governo del 13 giugno scorso, in corso di pubblicazione nella GU, è stato ridotto il capitale sociale minimo delle Società per Azioni dagli attuali 120.000,00 euro a 50.000, 00 euro. Tale disposizione, applicabile anche alle società in accomandita per azioni, ha lo scopo di incentivare la costituzione di tali società in un periodo di stretta creditizia del sistema bancario.

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Con modifica dell’art. 2327 del Codice Civile si prevede dunque che “la società per azioni deve costituirsi con un capitale non inferiore a cinquantamila euro” (prima centoventimila euro). La modifica si applica anche alle SAPA, in virtù del rinvio all’art. 2327 c.c. espressamente dall’art. 2454 c.c.. 

Si ricorda che per le Srl, la misura del capitale minimo resta pari a 10.000 euro, ma l’art. 2463 c.c. prevede tuttavia che “l’ammontare del capitale può essere determinato in misura inferiore a euro diecimila, pari almeno a un euro. In tal caso i conferimenti devono farsi in denaro e devono essere versati per intero alle persone cui è affidata l’amministrazione”; ciò vale anche per la Srl semplificata, disciplinata dall’articolo 2463-bis.

La modifica legislativa impatta su tutta una serie di disposizioni applicabili a tutte le società di capitali, comprese le S.r.l., legate al minimo del capitale sociale:

- le perdite rilevanti ai fini delle disposizioni di cui agli articoli 2446 e 2447 del codice civile dovranno ora essere considerate in misura pari ad 1/3 di 50.000 euro; pertanto la ricostituzione del capitale per perdite dovrà avvenire nel rispetto del nuovo limite di capitale minimo;

- per le SRL, ma anche per le cooperative, la nomina dell’organo di controllo o del revisore sarà obbligatoria se il capitale sociale risulti non inferiore a euro 50.000,00, dato che l’art. 2477, comma 2, c.c. ancora l’obbligo al mimino capitale della S.p.a..

In merito a quest’ultimo punto, si rileva come secondo le ultime notizie, al fine di evitare un ampliamento eccessivo dello società soggette a controllo, sarebbe all’esame un emendamento in base al quale il superamento del nuovo limite di 50.000 euro del capitale non farebbe scattare automaticamente l’obbligo di nomina dell’organo di controllo.

Occorrerà pertanto attendere la pubblicazione in Gazzetta del decreto per verificare quale sarà l’effettivo impatto delle nuove disposizioni normative.

 

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Bonus fiscale per le erogazioni liberali a sostegno della cultura

Il Governo, con il recente “Decreto cultura” DL 83/2014 (G.U. 31.5.2014 n. 125), entrato in vigore il 1° giugno scorso ha introdotto alcune misure agevolative a favore della cultura; tra le varie misure è stato introdotto il cosiddetto “Art bonus”, ovvero un sistema di incentivi fiscali per i privati che decidono di fare donazioni per il restauro di un bene culturale, con un credito d'imposta per il periodo 2014-2016.

 

 

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L’agevolazione riguarda le erogazioni liberali in denaro effettuate nei tre periodi d’imposta successivi a quello in corso al 31.12.2013, per interventi di manutenzione, protezione e restauro di beni culturali pubblici, sostegno degli istituti e dei luoghi della cultura di appartenenza pubblica, realizzazione di nuove strutture, restauro e potenziamento di quelle esistenti delle fondazioni lirico-sinfoniche o di enti o istituzioni pubbliche che, senza scopo di lucro, svolgono esclusivamente attività nello spettacolo.

Il “bonus art” è riconosciuto in misura pari al:

ü  65% delle erogazioni liberali effettuate in ciascuno dei primi 2 periodi d’imposta (2014 e 2015, per i soggetti solari);

ü  50% delle erogazioni liberali effettuate nel 3° periodo d'imposta (2016, per i soggetti solari).

nel limite:

  • del 15% del reddito imponibile, per le persone fisiche e enti non commerciali;

 

  • del 5 per mille dei ricavi annui, per i soggetti titolari di reddito d’impresa.

L’applicazione del credito d’imposta è alternativo alla detrazione Irpef del 19% di cui all’art. 15, c. 1, lett. h) e i), e alla deduzione Ires di cui all’art. 100, c. 2, lett. f) e g), del Tuir.

Il credito d'imposta deve essere ripartito in 3 quote annuali di pari importo. Per i soggetti titolari di reddito d'impresa è utilizzabile in compensazione mediante modello F24, ex art. 17 d.lgs. n. 241/1997 e non rileva ai fini delle imposte sui redditi e dell'Irap. Al suo utilizzo non si applica il limite di 250.000,00 euro per l’utilizzo dei crediti d’imposta di cui al quadro RU previsto dall’art. 1 co. 53 della L. 244/2007, né il limite generale alle compensazioni di 700.000,00 euro, di cui all’art. 34 della L. 388/2000.

Per beneficiare del credito d’imposta occorre presentare al Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del turismo una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà relativa alle documentazioni e alle certificazioni richieste.

 

Inoltre è imposto un obbligo di trasparenza in capo al soggetto beneficiario delle erogazioni liberali il quale è tenuto a comunicare mensilmente al Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del turismo l’ammontare delle erogazioni liberali ricevute nel mese di riferimento e a rendere pubblici l’ammontare delle liberalità ricevute, la destinazione e l’utilizzo delle stesse, anche mediante pubblicazione sul proprio sito web.

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Utili precisazioni in materia di perdite su crediti

Assonime con circolare n. 18 del del 30 maggio 2014 e l’Agenzia delle Entrate con circolare n. 14/E del 4 giugno 2014, forniscono ulteriori indicazioni utili in merito alle recenti novità normative intervenute in merito alla disciplina delle perdite e delle svalutazioni su crediti di cui al DL 83/2012 e alla recente legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità per il 2014).

 

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In particolare, Assonime affronta il tema della esistenza degli elementi certi e precisi in grado di giustificare la deducibilità fiscale della perdita, distinguendo due categorie di perdite: quelle derivanti da processi valutativi, rilevate sulla base di elementi comprovanti l’irrecuperabilità, e quelle di tipo realizzativo che scaturiscono dalla perdita della titolarità giuridica del credito per effetto di atti dispositivi.

Secondo Assonime, soltanto con riferimento alle perdite di natura valutativa grava l’onere in capo al contribuente di provare la sussistenza degli elementi certi e precisi di cui all’art. 101 comma 5 del Tuir. Relativamente alle perdite di natura realizzativa, per contro, la sussistenza degli elementi certi e precisi è comprovata dalla stessa operazione di realizzo; in tal caso, tuttalpiù, potrebbe essere necessaria la prova della congruità della perdita, che potrebbe essere un indizio della sua non inerenza (ad esempio quando emerga uno spirito di liberalità nei confronti del debitore o la cessione sia avvenuta a un corrispettivo palesemente non congruo).

La tesi di Assonime, conforme all’orientamento della dottrina maggioritaria, ma avversata in passato dall’Agenzia delle Entrate e dalla Cassazione, trova piena legittimità nelle novità previste dalla Legge di stabilità 2014, che, si ricorda, ha ammesso ex lege la deducibilità delle perdite su crediti iscritte in bilancio nel rispetto dei corretti principi contabili; in tal modo risultano ormai superati gli orientamenti dalla giurisprudenza e della prassi, volti a richiedere sempre la dimostrazione della definitività della perdita su crediti.

In secondo luogo, Assonime solleva la questione se sia possibile procedere alla rilevazione di una perdita su crediti in caso di cessioni di credito pro-solvendo, dato che l’opinione prevalente è quella di attribuire rilevanza esclusivamente alla cessione pro soluto, in quanto rappresenta l’unico caso di cessione definitiva del credito (OIC modifiche al principio contabile n.15).

Anche l’Agenzia, con la recente circolare n.14/E/2014 ha fornito nuovi chiarimenti in relazione alla deducibilità per i crediti anche alla luce del nuovo principio contabile nazionale OIC 15. Ai fini della eliminazione del credito dal bilancio, e quindi per la deducibilità della perdita, secondo il principio contabile occorre prestare attenzione al trasferimento dei rischi inerenti lo strumento finanziario ceduto. Di conseguenza, tutte le volte in cui il credito si estingue o viene ceduto in un’operazione di cessione che trasferisce al cessionario sostanzialmente tutti i rischi, il credito deve essere cancellato dal bilancio, iscrivendo alla voce B14 del conto economico la differenza tra corrispettivo e valore di iscrizione del credito al momento della cessione; per contro, il trasferimento della titolarità del credito che non si accompagna ad un trasferimento dei rischi, implica che il credito deve rimanere iscritto a bilancio e conseguentemente non sussistono i presupposti per la deducibilità fiscale di un componente negativo. Si fa presente che, in tal caso, come chiarito da Assonime, potrebbe essere rilevata una perdita di natura valutativa, la cui deducibilità fiscale è subordinata alla prova della sussistenza degli elementi certi e precisi di cui all’art. 101 comma 5 del Tuir. 

In riferimento alle perdite su crediti di modesto importo, riprendendo quanto sostenuto nella precedente circolare 26/E del 2013, l’Agenzia ha affermato che sul piano fiscale si realizza una perdita su crediti di cui al comma 5 dell’art. 101 del Tuir” interamente deducibile anziché una svalutazione ex art. 106, che sarebbe deducibile nel limite dello 0,5% del valore nominale dei crediti. La deduzione è ammessa solo nel periodo in cui si realizzano entrambi i requisiti previsti dalla legge per i crediti di importo fino a 2.500 euro (5.000 per i contribuenti di grandi dimensioni): imputazione del componente negativo di rettifica e maturazione della scadenza dei sei mesi. Si renderà necessario poi monitorare che i crediti in questione non generino ulteriori perdite fiscali al momento della loro successiva cancellazione dal bilancio, né vengano presi in considerazione nel calcolo del plafond di cui all’art. 106 del Tuir.

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Il FATCA: che cos’è e quali effetti è destinato a produrre anche nel nostro paese

Il Foreign Account Tax Compliance Act (FATCA) è una legge statunitense (2010) rivolta alle istituzioni finanziarie straniere (Financial Foreign Institution, FFI) ed agli altri intermediari finanziari che mira a colpire l’evasione fiscale dei cittadini statunitensi e o dei residenti negli Stati Uniti. L’obiettivo del FATCA è, in buona sostanza, quello di imporre la trasparenza delle istituzioni finanziarie di tutto il mondo di fronte all’Internal Revenue Service (IRS, l’agenzia fiscale statunitense).

Italia e Stati Uniti hanno firmato un accordo (gennaio 2014) che, in attuazione del FATCA, prevede uno scambio automatico di informazioni di natura finanziaria su basi di reciprocità. E’ previsto che la normativa sul FACTA entri in vigore in Italia con decorrenza dal 1° luglio 2014.

Nel frattempo l’OCSE ha approvato (febbraio 2014) uno standard in gran parte ispirato alla normativa FACTA ma destinato a produrre effetti assai più estesi considerata la multilateralità dei principi OCSE.

 

 

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Gli intermediari finanziari italiani saranno a breve chiamati ad aderire (1°luglio 2014) alla normativa FACTA anche attraverso la registrazione presso l’Internal Revenue Services. In caso di mancata adesione alla normativa in commento gli stessi soggetti potranno essere sottoposti a restrizioni di varia natura oltre che ad un inasprimento delle condizioni fiscali sui redditi di fonte statunitense.

L’adesione al FACTA, d’altro canto, comporterà tre principali ordini di obblighi. Il primo in termini di identificazione della clientela statunitense; il secondo in termini di reporting periodico con riferimento alla stessa clientela; il terzo in termini di applicazione della cd. ritenuta FACTA del 30% nei confronti dei clienti recalcitrant (clienti di cui non è possibile accertare la cittadinanza o la residenza) e nei confronti degli altri intermediari finanziari che non hanno aderito al FACTA. Alla stessa ritenuta, su tutti i redditi di fonte statunitense, saranno poi soggetti gli intermediari finanziari che decidessero di non aderire alla normativa FACTA.

Un’ulteriore piano di influenza del FACTA, assai più ampio ed esteso, è quello che si prospetta attraverso le decisioni dell’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE). Ed infatti  l’OCSE ha rilasciato di recente (febbraio 2014) un Common Reporting Standard per lo scambio di informazioni fiscali tra gli stati che si ispira in larga misura alle norme FACTA. Le procedure previste nel documento OCSE, tuttavia, hanno carattere multilaterale  e prevedono chiaramente che le giurisdizioni aderenti ottengano informazioni sensibili dalle istituzioni finanziarie su tutta la propria clientela con residenza fiscale estera e non solo su quella statunitense.

Le Amministrazioni fiscali degli Stati membri saranno quindi tenute ad acquisire le informazioni dagli intermediari finanziari sulle attività finanziarie dei non residenti ed a scambiarle in modo automatico con quelle degli altri stati e con una cadenza periodica.

A differenza del FACTA lo standard OCSE ad esso ispirato si basa sulla residenza fiscale dei soggetti e non sulla cittadinanza ed inoltre non prevedere soglie minime per lo scambio di informazioni.

Si osserva che non è prevista una data per l’attivazione dello standard OCSE e sarà comunque necessaria una norma interna di recepimento per quanto riguarda la regolamentazione delle procedure a carico degli intermediari.  Tuttavia l’impressione generale che si riceve è quella che vi sia una solida volontà di procedere rapidamente e senza inversioni di marcia.

L’Italia appare particolarmente interessata agli sviluppi del progetto soprattutto nell’attuale contesto nel quale i detentori di attività estere stanno valutando costi e benefici della cd “voluntary disclosure” per l’emersione delle attività non dichiarate. Nella valutazione in commento è evidente come la progressiva “apertura” delle Amministrazioni estere in atto rappresenti un elemento di grande rilevanza.

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Aumenti in vista anche per le partecipazioni qualificate

Un emendamento al Decreto Irpef DL 66/2014 (GU del 24.04.2014) prevede a partire dal 1° luglio prossimo, un aumento della base imponibile nella tassazione sui dividendi e le plusvalenze delle partecipazioni qualificate dall’attuale 49,72% al 60,46%. La misura, secondo le intenzioni del legislatore, dovrebbe servire a ristabilire l’equilibrio tra la tassazione prevista per le partecipazioni non qualificate e quelle qualificate. In realtà, a ben vedere, la predetta equiparazione si realizza solamente in riferimento ai redditi per i quali si applica l’aliquota marginale più elevata del 43%, tant’è che l’aliquota del 26% corrisponde ad una tassazione del 43% sul 60.46% dell’imponibile; per i redditi inferiori la tassazione in dichiarazione resta più conveniente rispetto alla cedolare del 26%.

Storicamente le partecipazioni non qualificate hanno beneficiato di un regime fiscale più favorevole grazie all’applicazione della cedolare secca. A seguito del riordino della tassazione sulle rendite finanziarie dapprima con il DL n. 138 del 13 Agosto 2011 (convertito con modificazioni dalla Legge n. 148 del 14 Settembre 2011). e poi ora con il Dl 66/2014 in commento, la tassazione delle partecipazioni non qualificate risulta penalizzata rispetto alle qualificate.

 

 

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Si ricorda che per partecipazione qualificata (ai sensi dell’art. 67, comma 1 lett. c-bis TUIR) il possesso di azioni, diverse dalle azioni di risparmio, e di ogni altra partecipazione al capitale od al patrimonio dei soggetti Ires di cui all'articolo 5 TUIR, nonché diritti o titoli attraverso cui possono essere acquisite le predette partecipazioni, qualora le partecipazioni, i diritti o titoli rappresentino, complessivamente, una percentuale di diritti di voto esercitabili nell'assemblea ordinaria superiore al 2 o al 20 per cento ovvero una partecipazione al capitale od al patrimonio superiore al 5 o al 25 per cento, secondo che si tratti di titoli negoziati in mercati regolamentati o di altre partecipazioni.

A seguito dell’emendamento all’art. 3, comma 3bis DL 66/2014, in corso di approvazione, sempre a partire da luglio "gli utili derivanti dalla partecipazione in società ed enti soggetti all'Ires e i proventi equiparati derivanti da titoli e strumenti finanziari assimilati alle azioni (vale a dire i titoli e gli strumenti finanziari emessi da società ed enti), nonché le remunerazioni derivanti da contratti, concorrono alla formazione del reddito complessivo nella misura del 60,46%".

 

Stesso aumento per le plusvalenze su partecipazioni qualificare realizzate a decorrere dal 1 luglio 2014. Infatti la nuova disposizione prevede che "le plusvalenze derivanti da cessione delle aziende realizzate a decorrere dal 1° luglio 2014 non concorrono alla formazione del reddito imponibile, in quanto esenti, limitatamente al 39,54% del loro ammontare. La stessa percentuale si applica per la determinazione della quota delle corrispondenti minusvalenze non deducibile dal reddito imponibile". L'emendamento stabilisce anche che "le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di partecipazioni qualificate a partire dal 1° luglio 2014 "concorrono alla formazione del reddito imponibile per il 60,46% del loro ammontare".

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Sanzioni solo formali per le violazioni in materia di reverse charge

Il tema in oggetto riguarda in linea generale l’ambito di applicabilità del principio in base al quale a errori e violazioni che non determinano un danno erariale si applicano sanzioni previste per gli errori formali; in particolare la questione attiene più specificamente alla misura delle sanzioni da applicare in caso di inosservanza degli obblighi previsti in materia di IVA dalla disciplina del reverse charge.

 

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Sino ad ora l’Amministrazione finanziaria, da un lato, e dottrina e giurisprudenza, dall’altro, si sono espressi in maniera contrastante dando luogo a due diversi orientamenti.

In particolare l’Agenzia ha abbracciato la tesi più restrittiva e per lungo tempo ha negato persino il diritto alla detrazione Iva in caso di mancato rispetto degli adempimenti formali relativi all’autofatturazione.

La questione inerente il diritto alla detrazione è stata ora risolta grazie all’intervento della Corte di Giustizia UE, che nella sentenza “Ecotrade” (del 8 maggio 2008, cause riunite C-95/07 e C-96/07) ha chiarito definitivamente la spettanza dello stesso anche nel caso in cui sia constatata una violazione del regime dell’inversione contabile e l’imposta venga recuperata in sede di accertamento; in tale sede la Corte ha chiarito che in base al principio di neutralità fiscale la detrazione Iva deve essere ammessa se gli obblighi sostanziali (assolvimento dell’imposta) sono soddisfatti, anche se taluni obblighi formali sono stati omessi.

Pur uniformandosi alla tesi della Corte Ue in tema di diritto alla detrazione l’Agenzia delle Entrate continua tuttavia a sostenere (risoluzione n. 56/E del 2009) una tesi piuttosto rigida e, per certi versi, contradditoria riguardo alla misura delle sanzioni applicabili in caso di errori nel reverse charge. In particolare ritiene che in tutti i casi di disapplicazione o irregolare applicazione del meccanismo dell’inversione contabile e pur in assenza di danno erariale si dovrebbe comunque applicare la sanzione piena (fra il 100% e il 200% dell’imposta) di cui all’art. 6 comma 9bis D Lgs 471/97. L’Agenzia inoltre ritiene applicabile la minore sanzione amministrativa del 3% dell’imposta irregolarmente assolta, con un minimo di 258 euro, limitatamente ai casi di irregolarità da parte del committente o cessionario ovvero del prestatore o cedente, senza tuttavia che si verifichi il mancato versamento dell’imposta.

Spetta alla Corte di Giustizia della UE l’ultima parola sulla tormentata questione delle sanzioni applicabili in caso di errori e violazioni relative all’applicazione del reverse charge. La Corte di Cassazione, al fine di risolvere definitivamente i contrastanti orientamenti della giurisprudenza sia di legittimità che di merito, ha infatti deciso, con ordinanza n. 25035/2013, di rimettere la questione alla Corte europea. Si ricorda che quest’ultima è già intervenuta in materia di violazione del reverse charge con la sentenza “Ecotrade”, affermando che l’inosservanza delle formalità di autofatturazione non pregiudica il diritto alla detrazione Iva, quando sussistano i requisiti sostanziali. E’ quindi ragionevole attendersi che la Corte europea chiarisca una volta per tutte che violazioni sull’inversione contabile di natura formale, che non danno luogo ad alcun danno erariale (considerato che il soggetto acquirente/committente è tenuto ad assolvere l’imposta ma esercita contemporaneamente il diritto alla detrazione della stessa), non possono essere punite con la sanzione piena ma al più con una sanzione ridotta.

 

Di contro nella giurisprudenza si è formato un prevalente orientamento contrapposto per il quale nella situazione descritta, è dovuta la sanzione ridotta prevista dall’art. 6, comma 9-bis, del D.Lgs. n. 471/1997 per l’ipotesi  di assolvimento formalmente irregolare dell’imposta.

Alla luce di tali contrasti interpretativi, la Corte di Cassazione (Cassazione ordinanza n. 250.35 del 7.11.2013) ha, quindi, fatto appello ad una decisione alla Corte di giustizia europea, sottoponendole in particolare le seguenti specifiche questioni pregiudiziali:

1)    quali sono le conseguenze in caso di totale inosservanza degli obblighi previsti dalla disciplina del reverse charge e in particolare di quelli concernenti l’annotazione nei registri IVA (si ricorda, al riguardo, che la direttiva 2006/112/CE non prevede i “registri Iva”) e se i principi dichiarati con la sentenza “Ecotrade” siano anche applicabili nel caso di totale inosservanza degli obblighi formali;

 

2)    quale sia il significato della espressione “obblighi sostanziali” in materia di reverse charge utilizzata dalla Corte di Giustizia nella menzionata sentenza: se si riferisca alla necessità del pagamento del tributo oppure all’assunzione del debito d’imposta, ovvero ancora all’esistenza delle condizioni sostanziali che giustificano l’assoggettamento del contribuente al tributo e il diritto alla detrazione volto a salvaguardare il principio di neutralità del menzionato tributo (che il soggetto acquirente non abbia limitazioni all’esercizio del diritto alla detrazione, cosa che si potrebbe verificare laddove il soggetto, ad esempio, svolga in tutto o in parte una attività esente.

 

Per ultimo occorre rilevare che l’applicazione della sanzione come prevista dall’Agenzia delle Entrate Italiana non potrà essere considerata adeguata con riferimento ai principi comunitari di proporzionalità ed effettività dal momento che, come detto, nell’ipotesi di reverse charge senza limiti alla detrazione, in linea generale, non si configura alcun debito nei confronti dell’Erario.

 

Se è vero che gli Stati membri possono sanzionare l’inosservanza degli obblighi volti a garantire la corretta riscossione dell’Iva e ad evitare la frode, è altrettando vero che vige un principio generale secondo il quale le sanzioni applicate non devono eccedere quanto necessario al raggiungimento dello scopo, dovendo comunque essere proporzionate alla gravità dell’infrazione.

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Ulteriormente ridotto l'appeal della rivalutazione dei beni di impresa

L'articolo 4 del Decreto Legge Irpef n. 66 del 24 aprile scorso, pubblicato in Gazzetta Ufficiale ed entrato in vigore il 24 aprile 2014, ha previsto che l’imposta sostitutiva per il riconoscimento fiscale della rivalutazione dei beni operata nel bilancio al 31.12.2013 ai sensi della legge 147/2013, nonché quella per l’affrancamento della riserva da rivalutazione, deve essere versata in unica soluzione entro il 16 giugno 2014, e non può essere rateizzata. Tale modifica riduce notevolmente l’appeal della nuova legge di rivalutazione peraltro già scarso a causa dell’aliquota elevata dell’imposta (16% per i beni ammortizzabili contro il 12% della precedente legge di rivalutazione n. 266/2005), a fronte di benefici fiscali legati a maggiori ammortamenti rinviati al 2016 (2017 per le plusvalenze).

 

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Si ricorda che secondo le regole originarie di cui al comma 145 della legge 147/2013, il versamento dell'imposta del 16-12% sulla rivalutazione dei beni e di quella del 10% sulla riserva in sospensione poteva essere rateizzato in tre rate annuali senza interessi, la prima delle quali entro il prossimo 16 giugno 2014.

Per mere esigenze di gettito, il decreto Irpef ha modificato in pejus e con applicazione retroattiva, le regole per il versamento delle indicate imposte sostitutive.

A seguito di tale modifica, cambia dunque il calcolo di convenienza: occorre infatti confrontare l'importo della sostitutiva da versare in via anticipata e in un’unica soluzione con il beneficio del risparmio fiscale di Ires e Irap che risulta invece differito nel tempo dal 2016 in poi (con riguardo ai maggiori ammortamenti) e dal 2017 in poi con riguardo alle minori plusvalenze in caso di vendita.

Da ultimo si osserva come risulti ulteriormente ampliato il divario di convenienza tra la rivalutazione dei beni, ai sensi della normativa in oggetto, e la stessa rivalutazione dei cespiti che è possibile conseguire dalle operazioni straordinarie: quest’ultime, infatti, beneficiano di un onere ridotto con possibilità di dilazione ed effetti  fiscali immediati.

 

Occorre segnalare che, secondo le ultime notizie, sarebbe allo studio una ulteriore modifica normativa che consentirebbe di dilazionare nuovamente il pagamento della predetta imposta sostitutiva in 3 rate, con scadenza nell'anno in corso rispettivamente il 16 giugno, il 16 settembre e il 16 dicembre 2014.

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Rendite finanziarie: il prelievo passa dal 20% al 26%

Il Decreto Legge Irpef n. 66 del 24 aprile scorso, pubblicato in Gazzetta Ufficiale ed entrato in vigore il 24 aprile 2014, ha aumentato il prelievo fiscale sulle rendite finanziarie che passa dall’attuale 20% al 26%, a far data dal 1° luglio 2014. Si ricorda che già il decreto Monti DL n. 138/2011, convertito, con modificazioni, nella legge 14 settembre 2011 n. 148 aveva innalzato dal 12,5% al 20% la tassazione delle rendite finanziarie, a partire dal 1° gennaio 2012.

 

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Il provvedimento in oggetto, come noto, servirà a finanziare la riduzione in media del 10% delle aliquote dell’Irap sulle imprese, a partire dal periodo d'imposta 2014. L'art. 3, comma 1, del Decreto Irpef ha fissato al 26% la misura delle ritenute e delle imposte sostitutive sugli interessi, premi e ogni altro provento di cui all'art. 44 T.U.I.R. (redditi di capitale), nonché sui redditi diversi di cui all'art. 67, comma 1, lettere da c-bis) a c-quinquies), T.U.I.R. In pratica l’aumento colpisce le rendite finanziarie attualmente tassate con aliquota al 20% e che comprendono, tra l'altro, gli interessi e altri proventi derivanti da conti correnti e depositi bancari e postali, nonché da azioni, obbligazioni, conti deposito e fondi di investimento.

Sono interessati all’aumento anche i redditi determinati dalle partecipazioni non qualificate (dividendi e capital gains). Tale modifica amplierà le casistiche nelle quali sarà più conveniente il regime fiscale delle partecipazioni qualificate (25% del capitale nelle società non quotate/ 5% nelle quotate, oppure 20% dei diritti di voto nelle società non quotate/2% nelle quotate) rispetto a quello delle non qualificate, segnando, quindi una probabile inversione di tendenza nelle strategie di distribuzione delle quote societarie con effetto sulle scelte di pianificazione.

La nuova aliquota si applica ai dividendi e ai proventi percepiti e agli interessi e altri proventi maturati a decorrere dal 1° luglio 2014, ad esclusione dei titoli di Stato come Bot e Btp e i fondi pensione; l’art. 3, comma 2 prevede espressamente, infatti, che restino fuori dall'applicazione della nuova aliquota gli interessi e i redditi diversi derivanti:

-       dai titoli di Stato e degli enti territoriali italiani, di cui all’art. 31 DPR 601/1973 e dai titoli equiparati e similari emessi da altri enti e amministrazioni statali quali Regioni, Province, Comuni e altri enti territoriali.

-       dai titoli equiparabili a quelli pubblici italiani ai sensi dell’art. 12 comma 13bis D Lgs n. 461/1997, emessi "dagli Stati inclusi nella lista di cui al decreto emanato ai sensi dell'art. 168-bis, comma 1, del testo unico n. 917 del 1986 e obbligazioni emesse da enti territoriali dei suddetti Stati" (c.d. Stati "white list"). La circolare n. 11/2002 ha cdhiarito che gli Stati WL sono quelli inclusi nel DM del 4 settembre 1996, con i quali è in vigore lo scambio di informazioni

Tali ultimi redditi, già esclusi dal precedente provvedimento di incremento della tassazione al 20%, restano quindi assoggettati all’aliquota del 12,50%.

 

 

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Addio definitivo alla ritenuta del 20% sui bonifici esteri

Il Decreto Legge IRPEF approvato dal Consiglio dei Ministri il 18 aprile scorso, in corso di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, ha definitivamente eliminato l’obbligo di ritenuta del 20% sui bonifici esteri di cui all'articolo 4, comma 2, del decreto legge 28 giugno 1990 n. 167 convertito con modificazioni nella Legge 4 agosto 1990 n. 227. Con tale intervento normativo si è posto fine al contrastato e controverso iter legislativo della disposizione normativa che aveva di recente introdotto una ritenuta del 20% sui flussi finanziari provenienti dall’estero.

 

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Come noto, la Legge Europea 2013 (L. 97/2013) aveva riscritto l’art. 4, comma 2, del D.L. 167/1990, prevedendo che, dall’anno 2014, gli investimenti detenuti all’estero e le attività estere di natura finanziaria delle persone fisiche e assimilati dovessero essere soggetti a ritenuta d’acconto o ad imposta sostitutiva delle imposte sui redditi

La decorrenza della norma era inizialmente fissata al 1° gennaio 2014. Successivamente, tenuto conto delle difficoltà sollevate dagli operatori, con Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 19.02.2014 protocollo 2014/24663, la decorrenza degli adempimenti veniva rinviata al 1° luglio 2014.

La nota del Ministero Economia, n. 46 del 19.02.2014, chiariva le ragioni di tale rinvio e preannunciava una futura e definitiva abrogazione della ritenuta. La nota in commento, oltre a sottolineare l’inutilità della nuova ritenuta in ingresso in quanto finalizzata a ottenere informazioni già disponibili attraverso il canale delle scambio di informazioni, garantiva la restituzione degli acconti eventualmente già trattenuti da intermediari finanziari, relativi alle ritenute operate nel periodo 1° febbraio 2014 – 19 febbraio 2014., per i flussi ricevuti nel mese di gennaio 2014.

 

Ora il Decreto IRPEF citato, risolve in maniera definitiva la questione, abrogando la norma in esame.

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Cedolare secca al 10% per locazioni a canone concordato

Il decreto legge n. 47 del 28 marzo 2014, Piano Casa in vigore dal 29 marzo scorso ha previsto la riduzione dell’aliquota della cedolare secca per i contratti di locazione a canone concordato. L'aliquota della cedolare secca sui redditi derivanti da canoni di locazione prevista all'art. 3, comma 2, 4° periodo, d.lgs. n. 23/2011, è quindi ridotta al 10% per il quadriennio 2014-2017.

 

 

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La “cedolare secca” è un regime facoltativo, previsto per le persone fisiche titolari del diritto di proprietà o del diritto reale di godimento su unità immobiliari ad uso abitativo locate a privati; restano esclusi gli immobili locati nell’esercizio di attività di impresa o di arti e professioni. Tale regime agevolativo si sostanzia nel pagamento di un’imposta sostitutiva dell’Irpef e delle addizionali dovute sul reddito fondiario dell’immobile. La cedolare sostituisce altresì l’imposta di registro e l’imposta di bollo, ordinariamente dovute per registrazioni, risoluzioni e proroghe dei contratti di locazione (ad esclusione dell’imposta di registro per la cessione del contratto di locazione). L’opzione, salvo revoca, è vincolante per l’intero periodo di durata del contratto (o della proroga) o, nei casi in cui l’opzione sia esercitata nelle annualità successive alla prima, per il residuo periodo di durata del contratto. La scelta per la cedolare secca implica la rinuncia alla facoltà di chiedere, per tutta la durata dell’opzione, l’aggiornamento del canone di locazione, anche se è previsto nel contratto, inclusa la variazione Istat.

Il decreto sul piano casa ha confermato la riduzione dal 15 al 10% della cedolare secca sugli affitti a canone concordato. Il beneficio riguarda quindi i soli contratti di locazione a canone concordato relativi ad abitazioni ubicate nei comuni con carenze di disponibilità abitative di cui all’art. 1, lettera a) e b) del dl 551/1988 (in pratica, dei comuni di Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino e Venezia e dei comuni confinanti con gli stessi nonché gli altri comuni capoluogo di provincia) nonché nei comuni ad alta tensione abitativa (individuati dal Cipe).

I vantaggi di un'aliquota unica al 10%, che sostituisce l'Irpef, le sue addizionali comunali e regionali, il bollo e l'imposta di registro sono consistenti e potrebbero indurre a rivedere le scelte fatte in passato. Ed infatti chi avesse già stipulato un contratto a canone concordato, senza optare per la cedolare, può sempre comunicare tale scelta entro il termine per il pagamento annuale dell'imposta di registro.

Lo sconto fiscale è invece automatico per coloro che hanno già applicato la cedolare su un affitto convenzionato: in questo caso, infatti, la riduzione del prelievo si applica su tutti i canoni percepiti dal 2014 al 2017, senza bisogno di alcun adempimento. I benefici si producono fin dalla prossima dichiarazione dei redditi, in quanto la determinazione dell'acconto per l’anno 2014 dovrà tener conto della aliquota ridotta.

Più complicato il discorso per chi ha un contratto libero stipulato da poco: per optare per il canone concordato, infatti, è necessaria una disdetta anticipata e la stipula di un nuovo contratto, operazione che presuppone necessariamente un accordo con l'inquilino che dovrà essere disposto ad accettare anche e soprattutto una diversa durata del contratto.

 

Si ricorda che l’opzione per la cedolare secca da quest’anno va effettuata attraverso il nuovo modello RLI, previo invio all'inquilino di raccomandata con cui gli si comunica l'applicazione della cedolare e la rinuncia all'aggiornamento automatico del canone. 

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Riformulato lo schema di rilevanza penale degli omessi versamenti IVA

La Corte costituzionale ha modificato la soglia di punibilità prevista per i fatti di omesso versamento IVA commessi sino al 17 settembre 2011, allineandola a quella prevista per il più grave reato di dichiarazione infedele pari appunto a € 103.291,38. Con sentenza numero 80 del 7 aprile 2014, infatti, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000 nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, punisce l’omesso versamento dell’IVA dovuta in base alla relativa dichiarazione annuale, per importi non superiori, per ciascun periodo di imposta, ad euro 50.000,00.

* * *

 Lo schema di punibilità penale dei reati fiscali in materia di Iva ne risulta così modificato:

 

Norma

Soglia ante 17.09.2011

Soglia post 17.09.2011

Omesso versamento IVA

Art. 10 ter D Lgs 74/2000

103.291,38*

50.000,00

Dichiarazione infedele

Art. 4 D Lgs 74/2000

 103.291,38

50.000,00

Omessa o fraudolenta dichiarazione

Art. 5 D Lgs 74/2000

77.000,00

30.000,00

*come modificata da Corte Costituzionale a seguito incostituzionalità norma art. 10 ter DLgls 74/2000

Con la sentenza in commento la Corte Costituzionale è intervenuta a correggere le iniquità della disciplina penale sugli omessi versamenti Iva, di cui all’articolo 10-ter del decreto 74/2000, che prevedeva una soglia di punibilità inferiore a quelle stabilite per la dichiarazione infedele e l’omessa dichiarazione dagli articoli 4 e 5 del medesimo decreto legislativo, prima delle modifiche apportate dal D.lgs n. 138 del 2011 (rispettivamente, euro 103.291,38 ed euro 77.468,53).

Come noto, la norma di cui all’art. 10-ter del D.lgs. n. 74 del 2000 punisce il reato di omesso versamento di IVA e mira a colpire i fenomeni di evasione che si realizzino nella fase successiva a quella di determinazione della base imponibile. Tale norma, che protegge l’interesse del fisco alla riscossione dell’imposta così come “autoliquidata” dallo stesso contribuente, stabilisce che “la disposizione di cui all’articolo 10-bis si applica, nei limiti ivi previsti, anche a chiunque non versa l’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo”. Presupposto per la sua applicazione è che il soggetto di imposta abbia presentato la dichiarazione annuale ai fini dell’IVA, dalla quale risulti un saldo debitorio superiore a 50.000 euro, senza che sia seguito il pagamento, entro il termine previsto, della somma ivi indicata come dovuta. Il richiamo all’art. 10-bis dello stesso D.lgs. n. 74 del 2000, oltre ad individuare il trattamento sanzionatorio (reclusione da sei mesi a due anni), vale ad estendere alla violazione in esame la soglia quantitativa di punibilità stabilita dalla disposizione richiamata per l’omesso versamento di ritenute. L’omesso versamento dell’IVA di cui all’art. 10-ter costituisce, di conseguenza, reato solo se di “ammontare superiore a 50.000 euro per ciascun periodo di imposta”.

Come rilevato dalla Corte, emerge allora un evidente difetto di coordinamento tra la soglia di punibilità inerente al delitto in questione e quelle relative ai delitti in materia di dichiarazione di cui all’art. 4 (dichiarazione infedele) e all’art. 5 (omessa dichiarazione) del D. Lgs. 74/2000. L’art. 5, ad esempio, in tema di omessa dichiarazione, richiedeva (fino all’intervento legislativo del 2011) per la punibilità della omessa dichiarazione che l’imposta evasa fosse superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, ad euro 77.468,53. Ciò comportava l’illogica conseguenza che, per un’IVA situata tra i 50.000 e i 77.468,53 euro, veniva trattato in modo deteriore chi avesse presentato regolarmente la dichiarazione IVA, senza versare l’imposta dovuta in base ad essa, rispetto a chi non avesse presentato la dichiarazione.

Proprio per far venir meno tale discrasia, nel 2011 il legislatore, con il citato D.L. 13 agosto 2011, n. 138 convertito, con modificazioni, dalla L. 14 settembre 2011, n. 148, è intervenuto riducendo la soglia di punibilità della omessa dichiarazione da 50.000 euro a 30.000 portandola, dunque, ad un importo inferiore rispetto a quello della soglia di punibilità dell’omesso versamento dell’IVA, rimasta inalterata. Tali modifiche, in virtù del principio del favor rei risultano applicabili ai soli fatti successivi alla data di entrata in vigore della relativa legge di conversione 17 settembre 2011. Il problema si pone, pertanto, per i fatti commessi prima di tale data.

Al fine di rimuovere la riscontrata violazione del principio di eguaglianza la Corte Costituzionale ha allineato la soglia di punibilità dell’omesso versamento dell’IVA, quanto ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, alla più alta fra le soglie di punibilità delle violazioni in rapporto alle quali si manifesta l’irragionevole disparità di trattamento: quella, cioè, della dichiarazione infedele (euro 103.291,38). 

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Depositi bancari esteri: reintrodotta la soglia di € 10.000 per il monitoraggio fiscale

Con la legge di conversione del D.L. 4/2014, è stato approvato anche l’emendamento che reintroduce la soglia minima di 10.000,00 euro per l’indicazione nel quadro RW del modello Unico dei depositi e c/c bancari. Si ricorda che l’eliminazione della soglia minima di valore, per la compilazione del quadro RW era avvenuta a seguito delle modifiche introdotte dalla legge europea (97/2013) sugli adempimenti in materia di «monitoraggio fiscale»

 

 

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Come chiarito dalla circolare 38/E dell'agenzia delle Entrate, le modifiche sul monitoraggio fiscale introdotte la scorsa estate dalla Legge 97/2013 si sono rese necessarie dopo che l'Unione europea aveva aperto una procedura di infrazione sull'Italia per la sproporzione delle sanzioni adottate per le violazioni in materia di monitoraggio fiscale. Insieme alla rimodulazione delle penalità, si ricorda che sono state modificate le regole di compilazione del quadro RW con l'eliminazione della sezione I (relativa ai trasferimenti attraverso non residenti senza il tramite di intermediari italiani) e della sezione III (trasferimenti da, verso e sull'estero) oltre che del limite dei 10mila euro al di sotto del quale in precedenza non andava compilato il quadro.

Ora, l’art. 2 della legge di conversione del D.L. 4/2014, ha integrato l’art. 4, co. 3, D.L. 167/1990, aggiungendovi un nuovo comma 4bis in base al quale “gli obblighi di indicazione nella dichiarazione dei redditi previsti nel comma 1 non sussistono altresì per i depositi e conti correnti bancari costituiti all'estero il cui valore massimo complessivo raggiunto nel corso del periodo d'imposta non sia superiore a 10.000 euro”.

Ante modifiche, la disposizione escludeva dall’obbligo di indicazione in dichiarazione soltanto le attività finanziarie affidate in gestione a intermediari residenti e i contratti conclusi mediante gli stessi, nel caso in cui i relativi redditi erano già stati sottoposti a ritenuta o a imposta sostitutiva. La nuova previsione normativa, reintroduce la soglia di 10.000, al di sotto della quale non sussiste l’obbligo di compilazione del quadro RW, ma soltanto con riferimento ai depositi e conti correnti bancari costituiti all'estero. Di conseguenza, per le altre attività finanziarie e per gli investimenti esteri la compilazione del quadro RW è necessaria senza alcun limite.

Occorre precisare che, a differenza di quanto previsto in passato, ora il limite dei 10.000 euro andrà verificato in relazione al valore massimo complessivo che il deposito o il conto corrente bancario ha raggiunto durante il periodo d’imposta. Di conseguenza, la verifica della soglia dei 10.000 euro non dovrà avvenire rispetto al valore del c/c bancario o del deposito alla fine del periodo d’imposta, bensì tenendo conto di versamenti e prelevamenti effettuati durante il periodo d’imposta.

 

in ogni caso, come precisato nella Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 45/E del 13 settembre 2010, l’obbligo non sussiste qualora i redditi derivanti dal conto corrente o dal deposito siano riscossi attraverso l’intervento di intermediari italiani. 

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Al via la nuova "mediazione tributaria"

La Legge di Stabilità 2014 art. 1, comma 611, lett. a), Legge 27.12.2013, n. 147, ha apportato significative modifiche alla disciplina della “mediazione tributaria”, con decorrenza dal 2 marzo 2014. Sulle modifiche è intervenuta l’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 1/E del 12 febbraio 2014, al fine di illustrare le novità e fornire alcuni chiarimenti.

 

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La disciplina della “mediazione tributaria” obbligatoria è stata introdotta dall’art. 39, c.9, del decreto-legge n.98 del 2011 che ha inserito l’art. 17-bis nel decreto legislativo n. 546 del 1992. Trattasi di uno strumento deflativo del contenzioso tributario per risolvere, senza ricorrere al giudice tributario, le controversie di valore non superiore a 20.000 euro, relative a tutti gli atti impugnabili (avvisi di accertamento, di liquidazione, irrogazione sanzioni, rifiuti rimborsi ecc..), emessi esclusivamente dall’Agenzia delle entrate e notificati a partire dal 1° aprile 2012.

L’appeal dell’istituto della mediazione consiste nel fatto che in caso di accordo le sanzioni subiscono un abbattimento del 60%.

In pratica, al ricorso deve obbligatoriamente accompagnarsi, pena l’inammissibilità dello stesso, un’istanza di mediazione, fondata sugli stessi motivi del ricorso, da notificarsi con le modalità e nel termine previsti per il ricorso, allegando copia dei documenti che il contribuente intende depositare al momento dell’eventuale costituzione in giudizio. Decorsi 90 giorni dalla notifica della mediazione, senza che si sia addivenuti ad un accordo, inizia a decorrere il termine di 30 giorni per l’eventuale costituzione in giudizio.

La Legge di Stabilità, a partire dalle mediazioni relative agli atti notificati dal 2 marzo 2014, ha introdotto le seguenti principali modifiche:

-       la mancata proposizione del reclamo e della mediazione tributaria non è più causa di inammissibilità del ricorso, ma semplicemente di improcedibilità;

-       si applica la sospensione feriale dei termini anche a tale procedimento e pertanto il termine di 90 giorni per il raggiungimento dell’accordo deve essere calcolato tenendo conto anche della sospensione feriale dei termini processuali dal 1° agosto al 15 settembre, oltre che di tutte le disposizioni relative alla sospensione o interruzione dei termini processuali;

-       la presentazione dell'istanza comporta la sospensione ex lege della riscossione per 90 giorni;

 

-       l'esito del procedimento rileva anche per i contributi previdenziali e assistenziali la cui base imponibile è riconducibile a quella delle imposte sui redditi ma non sono dovuti né interessi né sanzioni.

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Piu' facile dedurre le perdite su crediti

La Legge di Stabilità n. 147/2013 ha introdotto importanti novità in materia di deducibilità delle perdite su crediti di cui all’art. 101, comma 5 Tuir. In particolare, con decorrenza dai bilanci 2013, anche per i soggetti non IAS che adottano i principi contabili nazionali, in caso di cancellazione di un credito dallo stato patrimoniale, si potrà dedurre la relativa perdita senza dover dimostrare la sussistenza dei requisiti della “certezza e precisione”, purché lo storno del credito sia stato posto in essere nel rispetto dei corretti principi contabili e senza intenti elusivi

 

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La disciplina fiscale delle perdite su crediti di cui all’art. 101, comma 5 Tuir è stata oggetto negli ultimi anni di profondi e sostanziali interventi normativi. La stessa Agenzia delle Entrate è intervenuta a fornire chiarimenti con la circolare n. 26/E/2013.

Già con il D.L. Crescita D.L. 22 giugno 2012, n. 83 il legislatore aveva introdotto dal 2012 novità di rilievo nella definizione dei crediti di modesto importo introducendo una definizione degli elementi certi e precisi al manifestarsi dei quali il contribuente ha diritto alla deducibilità della perdita. In particolare, è stato precisato che detti elementi sussistono in ogni caso quando:

-       il credito sia di modesta entità e sia decorso un periodo di sei mesi dalla scadenza del pagamento del credito stesso; a tali fini, il credito si considera di modesta entità quando risulta di importo non superiore ad € 5.000, per le imprese di più rilevante dimensione di cui all’articolo 27 co. 10 del DL 185/2008 (con fatturato > 100 milioni di euro), ovvero ad € 2.500, per le altre imprese;

-       il diritto alla riscossione del credito è prescritto.

 

La recente Legge di Stabilità 2014, con ulteriore modifica dell’art. 101 comma 5 Tuir ha esteso la deducibilità anche alle perdite diverse da quelle connesse a procedure concorsuali e a crediti di modesto importo, “in caso di cancellazione dei crediti dal bilancio operata in applicazione dei principi contabili”. Di fatto le nuove disposizioni riallineano la deducibilità fiscale alle regole civilistiche, con applicazione già con decorrenza dai bilanci relativi al 2013. Si ricorda che il principio contabile nazionale OIC 15 dispone la rilevanza, ai fini della corretta rilevazione delle perdite su crediti, di tutti gli eventi realizzativi che determinano la totale e definitiva inesigibilità del credito quali:

-       la transazione ex art. 1965 c.c.

-       la rinuncia ex art. 1236 c.c.

-       la prescrizione ex art. 2498 c.c. e ss

-       la chiusura della procedura fallimentare

-       la cessione del credito pro-soluto

 

 

Come precisato anche dalla circolare n. 26/E/2013, l’apertura della procedura concorsuale identifica il momento a partire dal quale è possibile dedurre la perdita sul credito ma il quantum e l’esercizio di competenza devono essere determinati sulla base di elementi certi e precisi (piani riparto ecc..); la chiusura del fallimento individua in ogni caso il termine ultimo per la rilevazione della perdita.

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Voluntary disclosure - rinvio

In sede di conversione del decreto 4/2014, la Commissione Finanze della Camera ha stralciato le norme relative all'emersione dei capitali illecitamente detenuti all'estero considerato che dalle audizioni con le categorie sono emersi aspetti problematici di applicabilità che sono stati ritenuti meritevoli di approfondimento. Si tratta tuttavia solo di un rinvio: le norme in materia di voluntary disclosure saranno contenute in uno o più disegni di legge di prossima emanazione, al fine di aumentare l’appeal della voluntary.

 

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La voluntary ripartirà ex novo nel suo iter parlamentare attraverso un nuovo provvedimento da adottarsi entro maggio 2014. Tale provvedimento dovrebbe basarsi sull’impianto normativo finora in discussione e recepire, almeno in parte, alcuni correttivi proposti dagli operatori:

-       la voluntary disclosure per come sino ad ora formulata prevede uno scudo sulla punibilità per l’infedele o omessa dichiarazione, ma non per la dichiarazione fraudolenta, per la quale è prevista solo la diminuzione delle sanzioni (alla metà); all’esame vi è l’estensione della non punibilità anche al delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici e l’esclusione della punibilità ampia ed estesa ai concorrenti nei reati tributari;

 

-       il professionista che assiste il cliente nell’emersione non è espressamente esonerato da eventuali obblighi di segnalazione antiriciclaggio; la nuova formulazione potrebbe quindi prevedere l’eliminazione di alcuni obblighi antiriciclaggio a carico dei professionisti.

 

-       problema del raddoppio dei termini di accertamento a favore dell’Agenzia che potrebbe essere risolto con la previsione del dimezzamento dei termini ordinari di accertamento in caso di adesione alla voluntary;

 

Altre istanze di modifica da parte degli operatori riguardano l’opportunità di snellire gli adempimenti e renderli meno costosi, di introdurre un contraddittorio preliminare in anonimato e un meccanismo forfettario di quantificazione delle imposte, delle sanzioni e degli interessi dovuti su patrimoni più piccoli; di consentire la compensazione con crediti fiscali delle somme dovute. Si discute anche circa l’introduzione del limite temporale di un anno per il controllo delle somme rimpatriate a seguito dell’adesione alla voluntary e la precisazione dell’ambito di applicazione della presunzione di redditività delle somme possedute all'estero ex art. 6 del dl. 167/1990.

 

La mancata conversione delle norme contenute nel Dl 4 in materia di voluntary pone il problema di tutelare il legittimo affidamento di quei contribuenti che, nelle more di conversione hanno aderito alla procedura di emersione. Tali soggetti potrebbero essere penalizzati da un’eventuale attività di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate sulla base delle informazioni dagli stessi fornite spontaneamente, confidando nella voluntary.

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E’ l’ora dei decreti attuativi della “delega fiscale”

La Camera ha approvato, in data 27 febbraio 2014, il disegno di legge sulla delega fiscale dopo oltre tre anni di discussione in Parlamento. Il governo ha ora un anno di tempo per varare i decreti legislativi collegati alla riforma ed al fine di arrivare all’entrata in vigore di tutte le nuove misure entro agosto 2016.

 

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La legge delega sul fisco, formula alcuni principi cardine per i riordino del sistema di imposizione nazionale, attraverso misure volte a uniformare gli obblighi fiscali, a semplificare gli adempimenti e ad armonizzare le funzioni del sistema tributario.

Si riepilogano le linee guida sui principali interventi:

Lotta all’evasione: è prevista una ulteriore modifica dei limiti all’utilizzo del denaro contante anche attraverso il potenziamento dell’utilizzo di metodi di versamento di tipo elettronico, il rafforzamento della tracciabilità dei pagamenti, l’agevolazione della fatturazione digitale e l’utilizzo dei dati dell’anagrafe tributaria. E’ prevista l’estensione della possibilità di detrarre gli scontrini fiscali nella prospettiva di scoraggiare l’evasione fiscale.

Rapporto tra Fisco e contribuenti: sono previste nuove forme di comunicazione e cooperazione. Per le imprese di maggiori dimensioni saranno introdotti dei sistemi di gestione e controllo del rischio fiscale, nell’ambito del sistema dei controlli interni, che daranno diritto a meno adempimenti, con la riduzione delle eventuali sanzioni, e a forme specifiche di interpello preventivo con procedura abbreviata. Previsto il tutoraggio dell'amministrazione finanziaria nei confronti dei contribuenti, in particolare quelli di minori dimensioni e operanti come persone fisiche, per l'assolvimento degli adempimenti, della predisposizione delle dichiarazioni e del calcolo delle imposte, accompagnato da forme premiali, consistenti in una riduzione degli adempimenti. Prevista anche la possibilità di invio ai contribuenti di modelli precompilati delle dichiarazioni fiscali.

Redditi d’impresa: è prevista la ridefinizione della tassazione per le imprese e l'imposizione sui redditi. In particolare i decreti legislativi dovranno prevedere: l'assimilazione all'Ires dell'imposizione su tutti i redditi d'impresa, compresi quelli prodotti in forma individuale e associata, da assoggettare a un'imposta sul reddito imprenditoriale, con un'aliquota proporzionale allineata all'Ires. Le somme prelevate dall'imprenditore e dai soci (da assoggettare a IRPEF) dovranno essere deducibili dalla predetta imposta sul reddito imprenditoriale. Prevista poi l'introduzione di regimi forfettari per i contribuenti di minori dimensioni, coordinandoli con analoghi regimi vigenti; semplificazione dell'imposizione su indennità e somme percepite alla cessazione del rapporto di lavoro.

Abuso del diritto: la delega fissa i criteri per la revisione delle attuali disposizioni antielusive e l’introduzione di una disciplina dell'istituto dell'abuso del diritto in materia tributaria. Viene definito abuso del diritto l'uso distorto di strumenti giuridici allo scopo prevalente di ottenere un risparmio d'imposta, ancorché tale condotta non sia in contrasto con alcuna specifica disposizione. La riforma salvaguarda comunque la legittimità della scelta tra regimi alternativi espressamente previsti dal sistema tributario. Si avrà pertanto abuso del diritto nei casi in cui lo scopo di ottenere indebiti vantaggi fiscali risulti come causa prevalente dell'operazione abusiva; al contrario, se l'operazione (o la serie di operazioni) è giustificata da ragioni extrafiscali non marginali, l'abuso non si configura. L'onere di dimostrare il disegno abusivo in campo fiscale è posto a carico dell'amministrazione finanziaria, mentre grava sul contribuente l'onere di evidenziare valide ragioni economiche che giustifichino il ricorso a tali strumenti.

Revisione del sistema sanzionatorio penale: verranno ridefinite le sanzioni penali, al fine di attribuire maggiore rilevanza ai comportamenti ritenuti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e utilizzo di documentazione falsa o contraffatta. Prevista anche la ridefinizione delle fattispecie di elusione ed evasione fiscale e delle relative conseguenze sanzionatorie e la revisione del regime della dichiarazione infedele e del sistema sanzionatorio amministrativo, per meglio correlare le sanzioni all'effettiva gravità dei comportamenti.

Rateizzazione dei debiti tributari: si prevede la semplificazione degli adempimenti amministrativi e patrimoniali per accedere alla rateizzazione; la possibilità di richiedere la dilazione del pagamento prima dell'affidamento in carico all'agente della riscossione anche nel caso di accertamento esecutivo; la complessiva armonizzazione ed omogeneizzazione delle norme in materia di rateazione dei debiti tributari. I ritardi di breve durata nel pagamento di una rata, ovvero errori di limitata entità nel versamento delle rate, non dovranno comportare l'automatica decadenza dal beneficio della rateazione.

Accertamento: la delega prevede che il raddoppio dei termini di accertamento in presenza di reati penali si potrà applicare solo in caso di effettivo invio della relativa denuncia penale entro il termine ordinario di decadenza. La modifica andrà ad impattare anche sulla convenienza della voluntary disclosure, che impone di pagare imposte (anche pesanti) per tutte le annualità per le quali sono ancora aperti i termini di accertamento; se venisse attuata la delega i periodi da sanare, in molti casi, sarebbero dimezzati non applicandosi l’estensione del termine ordinario.

Contenzioso: è prevista una revisione delle norme al fine di passare ad un sistema più elastico di contenzioso, che apra anche all’istituto della conciliazione come possibile risoluzione delle controversie con il fisco, allargando i casi in cui un contribuente può evitare di avvalersi di assistenza tecnica e aumentando la competenza e la specializzazione dei componenti delle commissioni tributarie. Previsto anche l'uso della posta elettronica certificata per comunicazioni e notificazioni e la semplificazione dell'elezione del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria.  

Internazionalizzazione: al fine di ridurre le incertezze nella determinazione del reddito e nella produzione netta e favorire l'internazionalizzazione dei soggetti economici operanti in Italia, la delega prescrive l'introduzione di criteri coerenti con la disciplina di redazione del bilancio, estendendo il regime fiscale oggi previsto per le procedure concorsuali anche ai nuovi istituti introdotti dalla riforma fallimentare e dalla normativa sul sovra indebitamento. Prevista la revisione della disciplina impositiva delle operazioni transfrontaliere, o la revisione dei regimi di deducibilità degli ammortamenti.

Irap e autonoma organizzazione: il Governo dovrà fornire una definizione di autonoma organizzazione, adeguandola ai più consolidati princìpi desumibili dalla fonte giurisprudenziale, ai fini della non assoggettabilità dei professionisti, degli artisti e dei piccoli imprenditori all'Irap.

Revisione Iva e imposte minori: previsto un intervento per la revisione delle imposte sulla produzione e sui consumi, di registro, di bollo, ipotecarie e catastali, sulle concessioni governative, sulle assicurazioni e sugli intrattenimenti, privilegiando in particolare la semplificazione degli adempimenti, la razionalizzazione delle aliquote e l'accorpamento o la soppressione di fattispecie particolari. La delega contiene anche i criteri direttivi per la semplificazione dei sistemi speciali Iva nonché l'attuazione del regime del gruppo Iva.

Riforma del catasto: attesa da quasi ottant’anni, prevede il cambiamento del principio per il calcolo delle rendite catastali non più in base al numero di vani, ma in base ai metri quadrati. Per stabilire l’esatta rendita finale, inoltre, verrà introdotto un apposito coefficiente che terrà conto non solo del valore dell’immobile in senso stretto  ma anche della posizione e di altri fattori in grado di accrescerne o diminuirne il valore complessivo.

Regime agevolato per la sicurezza e riqualificazione degli edifici: è prevista l’introduzione di un regime fiscale agevolato per la messa in sicurezza degli immobili, per la realizzazione di opere di adeguamento degli immobili alla normativa in materia di sicurezza e di riqualificazione energetica e architettonica.

 

Fiscalità ambientale: prevista l’introduzione di nuove forme di fiscalità destinate a preservare e garantire l'equilibrio ambientale (green taxes), in raccordo con la tassazione vigente e nel rispetto del principio della neutralità fiscale, finalizzata a orientare il mercato verso modi di consumo e produzione sostenibili.

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Il “titolare effettivo” nella normativa sul monitoraggio fiscale: cosa cambia in concreto

Gli obblighi di monitoraggio fiscale hanno di recente subito significative modifiche,  applicabili già a decorrere dalle dichiarazioni dei redditi relative al periodo di imposta 2013. 

In questa sede si vuole mettere a fuoco i cambiamenti che, in concreto, sono stati introdotti con riferimento alla nuova definizione di “titolare effettivo”, figura questa mutuata dalla normativa sull’antiriciclaggio e divenuta ora rilevante anche nell’ambito del monitoraggio ai fini fiscali.

 

 

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Il “titolare effettivo” è identificato (i) con riferimento alle società estere (dei vari tipi) (ii) con riferimento alle entità giuridiche diverse, quali le fondazioni ed i trust.  Tuttavia anche le partecipazioni in società residenti possono assumere rilevanza ai fini della normativa in oggetto qualora, unitamente alla partecipazione diretta o indiretta della persona fisica nella società estera, concorrano a determinare in capo alla stessa il requisito di titolare effettivo di investimenti esteri o attività estere di natura finanziaria.

In particolare, in caso di società per “titolare effettivo” si intende:

  1. la persona o le persone fisiche che, in ultima istanza, possiedono o controllano una entità giuridica, attraverso il controllo o il possesso diretto o indiretto di una percentuale sufficiente delle partecipazioni al capitale sociale o dei diritti di voto in seno a tale entità giuridica, anche tramite azioni al portatore, purché non si tratti di società ammessa alla quotazione su un mercato regolamentato e sottoposta ad obblighi di comunicazione conformi alla normativa comunitaria o a standard internazionami equivalenti; tale criterio si ritiene soddisfatto ove la percentuale corrisponda al 25% più uno di partecipazione al capitale sociale;
  2. la persona fisica o le persone fisiche che esercitano in altro modo il controllo sulla direzione di un'entità giuridica;

Per la verifica delle percentuale rilevante si cumulano le percentuali detenute dai familiari del titolare effettivo ed in particolare il coniuge i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado, secondo la definizione contenuta nell’art. 5, 5° comma, del Tuir. Da ultimo, in merito alle partecipazioni detenute indirettamente, occorre tenere conto della demoltiplicazione da esse prodotta in ciò differendo la disciplina in commento da quella prevista nell’ambito della normativa antiriciclaggio.

Nel caso di partecipazione in società estere con sede in un paese non compreso nella white list e non compreso nei paesi che hanno siglato con l’Italia un accordo per lo scambio di informazioni (tax information exchange agreement), la definizione di “titolare effettivo” incide sull’oggetto della dichiarazione di monitoraggio. In tali casi, infatti, vige il principio del look through che produce l’effetto sostanziale di mutare l’oggetto della dichiarazione che non riguarda più la partecipazione  nella società estera ma concerne direttamente gli investimenti esteri o e le attività estere di natura finanziaria, superando quindi la mera titolarità dello strumento partecipativo.

In definitiva, quindi, mentre nel vigore della normativa previgente occorreva dichiarare ai fini del monitoraggio sempre la partecipazione nella società estera, ora la partecipazione estera sarà l’oggetto della dichiarazione solo se (i) non è riferibile ad un “titolare effettivo” e (ii) se riferibile ad un titolare effettivo, la società estera ha sede in un paese collaborativo. Viceversa dovrà dichiararsi anziché la partecipazione direttamente gli investimenti e le attività di natura finanziaria detenuti dalla società quando si è in presenza di una persona fisica che sia titolare effettivo e di una società estera che abbia sede in un paese non collaborativo.

Nel caso di entità giuridiche diverse quali le fondazioni e di istituti giuridici, quali il trust, che amministrano o distribuiscono fondi, la stessa definizione (titolare effettivo), che incide sull’individuazione del soggetto passivo degli obblighi di monitoraggio, è integrata:

  1. se i futuri beneficiari sono già determinati, dalla persona fisica o dalle persone fisiche beneficiarie del 25% o più del patrimonio dell’entità giuridica;
  2. se i futuri beneficiari non sono stati determinati, dalla categoria di persone nel cui interesse principale è istituita o agisce l’entità giuridica
  3. dalla persona fisica o dalle persone fisiche che esercitano un controllo sul 25% o più del patrimonio dell’entità giuridica.

 

Nell’ambito della entità diversa, quale la fondazione o  il trust, l’eventuale esistenza del “titolare effettivo”, quindi, ha l’effetto di mutare il soggetto passivo degli obblighi dichiarativi che diverrà lo stesso “titolare effettivo” in luogo dell’ente. Di contro nel caso in cui non si è in presenza di un “titolare effettivo”,  il soggetto passivo degli obblighi dichiarativi rimane l’ente diverso (non commerciale) così come accadeva sempre ed in ogni caso nel vigore della disciplina precedente.

Da ultimo, come qui osservato, si evidenzia che la partecipazione nella società residente può diventare rilevante ai fini della normativa in commento nei casi in cui detta partecipazione concorra ad integrare in capo ad un soggetto il requisito di titolarità effettiva in rapporto alla società estera.

Il caso descritto può ricorrere frequentemente nei gruppi di società. In tali casi, infatti, non è infrequente che  i soci di riferimento del gruppo detengano anche partecipazioni dirette nella società estera che a loro volta sono partecipate o controllate dalle stesse società del gruppo.  Ricorrendo l’ipotesi descritta pertanto occorrerà tenerne conto, ai fini della normativa sul monitoraggio, se detta società estera ha sede in un paese non collaborativo.

 

Si ricorda che ai fini della normativa in oggetto i soggetti passivi sono oltre alle persone fisiche anche gli enti non commerciali e le società semplici ed equiparate. Inoltre la norma in commento, come precisato dalla circolare 38/E 2013, non è destinata ad incidere nelle ipotesi di interposizione fittizia posto che in tali casi, già a sensi della norma previgente, il patrimonio doveva e deve essere comunque dichiarato dal socio  o dal beneficiario, indipendentemente dalla verifica del requisito della titolarità effettiva. 

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Rinviata al 1° luglio 2014 la ritenuta sui bonifici dall’estero.

Con il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 19 febbraio 2014 n. 2014/24.663 è stato disposto il rinvio al 1° di luglio 2014 della decorrenza degli effetti delle disposizioni inerenti i redditi di capitale e diversi originati da investimenti esteri o attività estere di natura finanziaria. Per tali redditi la legge 6 agosto 2013 n. 231, infatti,  introduceva nuovi obblighi di sostituzione tributaria in carico agli intermediari che intervengono nella riscossione (ritenuta del 20%) decorrenti dal 1° gennaio 2014.  Di contro, resta confermata la decorrenza dalle dichiarazione dei redditi relative al periodo di imposta 2013 per le nuove modalità di compilazione del quadro RW inerente il monitoraggio fiscale degli investimenti e attività finanziarie detenute all’estero.

 

 

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Come precisato dalla nota del Direttore dell’Agenzia il rinvio  degli obblighi di sostituzione tributaria è stato disposto tenuto conto

i)              delle difficoltà applicative riscontrate dagli stessi intermediari e dai contribuenti

ii)             delle necessarie implementazioni procedurali.

 

E’ altresì precisato che il rinvio non comporta perdita di gettito per l’Erario, in coerenza con quanto previsto nella relazione tecnica della Legge Europea,  posto che o redditi per i quali si applicherà il nuovo regime di sostituzione tributaria restano soggetti agli obblighi dichiarativi ai fini dell’autoliquidazione delle imposta a cura del contribuente.  

 

 

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Bonifici dall’estero soggetti a ritenuta d’ingresso del 20%

Gli investimenti detenuti all’estero e le attività estere di natura finanziaria delle persone fisiche e assimilati sono soggetti a ritenuta d’acconto o ad imposta sostitutiva delle imposte sui redditi a partire dall’anno 2014 (art. 4 del DL n. 167 28/6/1990, come modificato dalla c.d. Legge Europea n. 97/2013). In particolare la decorrenza del tributo è prevista dal 1° gennaio e, in forma automatica, dal 1° di febbraio 2014: i bonifici in ingresso nel mese di gennaio saranno segnalati dagli intermediari all’Amministrazione Finanziaria e saranno eventualmente soggetti al prelievo, se dovuto, su segnalazione del contribuente da effettuarsi entro il 30 giugno 2014; di converso, i bonifici in ingresso dal 1° febbraio saranno sempre soggetti al prelievo in forma automatica.

 

 

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Il prelievo in oggetto riguarda unicamente le somme percepite dai soggetti obbligati al monitoraggio fiscale (persone fisiche, società semplici ed equiparate, enti non commerciali) e potrà essere evitato nel solo caso in cui gli stessi soggetti dichiarino, con autocertificazione, che i flussi finanziari in entrata non rivestono, in tutto o in parte,  natura reddituale. Siffatta previsione è la logica conseguenza del fatto che il prelievo deve essere applicato dall’intermediario anche nel caso in cui non abbia in gestione, custodia o amministrazione le predette attività . In tali casi, infatti, lo stesso intermediario non conosce (o potrebbe non conoscere) la natura dei denari oggetto di ingresso con la conseguenza, esplicitamente prevista dalla norma, di doverli considerare di natura reddituale e di assoggettarli  per intero al prelievo.

Tale forma di tassazione alla

fonte dovrà essere applicata dai seguenti intermediari residenti, i quali agiranno come sostituti di imposta:

- banche

- Poste Italiane

- Cassa depositi e prestiti

- Sicav

- Sgr

- Imprese di assicurazione

- Agenti di cambio,

- Società fiduciarie

- Società finanziarie

- altri intermediari finanziari

- succursali in Italia dei soggetti di cui sopra aventi sede legale in uno stato estero

La circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 38/E 2013, paragrafo 2.2, identifica le fattispecie reddituali, interessate alla nuova ritenuta di ingresso del 20%,  rientranti nelle categorie dei  “redditi di capitali” e dei “redditi diversi”.

Nell’ambito dei redditi di capitali l’operatività del nuovo prelievo riguarda le fattispecie non ancora rientrati nell’applicazione del tributo secondo le norme già vigenti, ovvero:

-          Interessi e altri proventi, dovuti da soggetti non residenti, derivanti da contratti di mutuo, deposito e conto corrente diversi da quelli bancari (posto che per quelli bancari è già in vigore la ritenuta del 20% prevista dall’art. 26, terzo comma, DPR 600/73);

-          Rendite perpetue e prestazioni annue perpetue il cui debitore è un soggetto non residente;

-          Compensi erogati per prestazioni di fideiussioni o di altre forme di garanzia

-          Interessi o proventi  derivanti da altri rapporti aventi per oggetto l’impiego dei capitali (per effetto del richiamo alla categoria residuale prevista dall’art. 44, comma 1°, lettera h) del Tuir).

Nell’ambito dei redditi diversi le fattispecie interessate sono quelle di cui all’art. 67 del Tuir che concorrono alla formazione del reddito complessivo e, quindi, per i quali non sono previste forme di tassazione sostitutiva, ovvero:

-          Plusvalenze derivanti dalla cessione di immobili situati all’estero (salvo che l’atto sia redatto in Italia con opzione per l’imposta sostitutiva del 20%)

-          Plusvalenze derivanti dalla cessione dei terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria

-          Redditi derivanti dalla locazione di immobili situati all’estero

-          Redditi esteri di natura fondiaria

-          Redditi derivanti dalla concessione in usufrutto e dalla sublocazione di beni immobili situati all’estero

-          Redditi derivanti dalla locazione, noleggio o concessione in uso di veicoli, macchine o altri beni mobili detenuti all’estero (barche, oggetti preziosi, opere d’arte) e dall’affitto e dalla concessione in usufrutto  di aziende aventi sedi all’estero

-          Plusvalenza realizzate mediante la cessione di partecipazioni qualificate in società non residenti,  o in società residenti se detenute all’estero, nonché le fattispecie ad esse assimilate

 

Da ultimo occorre precisare che il contribuente può chiedere all’intermediario la restituzione dell’imposta non dovuta (p.e. mancata presentazione dell’autocertificazione e eventuali documenti a supporto) entro il 28 febbraio dell’anno successivo a quello del prelievo. In tal caso l’intermediario scomputa l’importo dai versamenti successivi (ai sensi del DPR n. 445/1997). In alternativa il contribuente può chiedere il rimborso con le modalità ordinarie (art. 38, DPR 602/73). 

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La Corte di Giustizia “da una mano” alle esportazioni “franco fabbrica” (Causa C-563/12)

Il caso sottoposto alla Corte di Giustizia coinvolge una società ungherese alla quale l’Amministrazione Finanziaria locale ha ritenuto di disconoscere il diritto alla non imponibilità Iva nel caso di esportazioni con clausola “ex-works”. Il mancato riconoscimento dell’esenzione da parte della Amministrazione locale è dipeso dal fatto che la spedizione delle merci verso i paesi terzi  non è avvenuta nei termini fissati dalla normativa ungherese. La Corte di Giustizia ha fissato il principio secondo il quale l’eventuale termine imposto dalla normativa nazionale non può assumere natura di termine di decadenza sostanziale e, ai fini di beneficiare dell’esenzione, deve sempre ammettersi la possibilità di dimostrare che l’esportazione è stata eseguita.

 

 

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La sentenza in oggetto è destinata ad avere effetti anche sulle norme interne posto che l’art. 8, DPR 633/1972 fissa un termine di 90 giorni dalla consegna dei beni per il trasporto o spedizione al di fuori del territorio dell’unione (cd. esportazione impropria). 

La sentenza in commento richiamandosi alla direttiva 2006/11 ricorda che la stessa non prevede la fissazione di un termine preciso affinché l’esenzione sia applicabile. La stessa sentenza, quindi, stabilisce che “la qualificazione di un’operazione quale cessione all’esportazione, ai sensi dell’articolo 146, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2006/11 non può dipendere dal rispetto di un termine preciso entro il quale il bene in parola deve aver lasciato il territorio doganale dell’Unione, la cui inosservanza avrebbe come conseguenza di privare definitivamente il soggetto passivo dell’esenzione all’esportazione.”

 

Il temine di cui all’art. 8, DPR 633/1972,  quindi, alla luce della sentenza della Corte di Giustizia, assume natura di termine tecnico, posto per prevenire possibili elusioni o abusi,  e non potrebbe assumere anche la caratteristica di termine di decadenza materiale al cui decorso non può essere posto, in alcun modo, rimedio. Di contro pertanto deve essere fornita al soggetto passivo la possibilità di dimostrare che l’esportazione si è perfezionata anche dopo il temine posto dalla norma richiamata con l’effetto di beneficiare comunque dell’esenzione o ottenere il rimborso dell’imposta già pagata.

Ed infatti la sentenza citata enuncia testualmente: 

“ ..che la normativa nazionale ..che assoggetta l’esenzione all’esportazione ad un termine di uscita con l’obiettivo di lottare contro l’elusione e l’evasione fiscale, senza per questo consentire al soggetto passivo di dimostrare, al fine di beneficiare di tale esenzione, che la condizione di uscita è stata soddisfatta dopo lo scadere di tale termine, e senza prevedere un diritto del soggetto passivo al rimborso dell’Iva già corrisposta in ragione del non rispetto del termine, qualora fornisca la prova che la merce ha lasciato il territorio doganale dell’Unione, eccede quanto necessario per  il conseguimento di tale obiettivo...

Alla luce delle considerazioni che precedono gli articoli 146, paragrafo 1, e 131 della direttiva 2006/112 devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale secondo la quale, nell’ambito di una cessione all’esportazione, i beni destinati ad essere esportati al di fuori dell’Unione devono aver lasciato il territorio dell’Unione entro un termine prestabilito di tre mesi o 90 giorni successivi alla data di cessione (consegna), qualora il semplice superamento di tale termine abbia la conseguenza di privare definitivamente il soggetto passivo dell’esenzione riguardo a tale cessione.”

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La voluntary disclosure in tema di rientro dei capitali: una strada “quasi” obbligata.

Sulla scia dei criteri fissati dall’OCSE per la lotta all’illecito fiscale internazionale, è stato approvato il decreto legge avente ad oggetto il “rientro” dei capitali. Il provvedimento riguarda i capitali posseduti al 31.12.2013 solo da persone fisiche, società semplici ed equiparate, enti non commerciali e trust non residenti. Di contro non sono interessate alla regolarizzazione le società di capitali e gli enti commerciali. La scadenza per la regolarizzazione è fissata al 30 settembre 2015.

 

 

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La procedura di emersione è solo in parte una scelta in quanto, come è noto, la detenzione di capitali occultati all’estero è resa sempre più difficile dal rapido moltiplicarsi di accordi fra gli stati per lo scambio di informazioni e di provvedimenti sulle responsabilità a carico delle istituzioni finanziarie. Peraltro sono proprio quest’ultime che, per non rimanere coinvolte nelle vicende penali connesse all’evasione dei clienti, stanno esercitando forti pressioni per la restituzione dei fondi.

La modalità di adesione è significativamente diversa dai precedenti provvedimenti di “scudo fiscale”. Infatti non è previsto alcun anonimato e l’adesione comporta il pagamento integrale dell’Irpef evasa per tutte le annualità accertabili oltre al pagamento di sanzioni “ridotte” per infedele dichiarazione e mancata compilazione del modello RW.  La voluntary disclosure, quindi, non è un condono né uno scudo bensì una forma di ravvedimento (come suggerito anche dalla data di riferimento della procedura, 31.12.2013, e dalla scadenza prevista per l’adesione, 30.09.2015).

Gli aspetti più disincentivanti della normativa in oggetto attengono al versamento integrale delle imposte evase oltre alle relative sanzioni (ancorché ridotte) e alla ridotta estensione dell’ombrello per i reati fiscali che non garantisce la copertura per le fattispecie di fraudolenza.

Sul primo aspetto, occorre tuttavia osservare che l’arco temporale oggetto di sanatoria si sovrappone in buona parte al periodo di negativa congiuntura economica internazionale rendendo in molti casi assai ridotti – quando addirittura inesistenti - i redditi da far emergere e sottoporre a tassazione; da ciò ne potrebbe conseguire, in molti casi, un significativo “scivolo” all’adesione per effetto del costo assai ridotto della stessa.

In merito al profilo penale, invece,  si osserva che occorre prestare attenzione alla storicità dei capitali potendo risultare assai differente il profilo di rischio per i capitali di recente formazione rispetto a quelli formatisi molto tempo addietro o compresi in patrimoni ereditati.  Inoltre, al fine di valutare appieno tutti i profili e rischi penali legati all’adesione alla voluntary, si attende il testo della norma, di imminente emanazione, avente ad oggetto il reato di “autoriciclaggio” diretto  a punire per riciclaggio l’evasore fiscale, i suoi consulenti ed gli intermediari finanziari.

Di seguito qualche nota tecnica di approfondimento.

La  domanda di emersione (voluntary disclosure) ha ad oggetto gli investimenti e le attività finanziarie costituiti o detenuti all’estero, anche indirettamente o per interposta persona, al 31.12.2013. Ai fini della predisposizione delle domanda occorre procedere, in primo luogo, con la ricostruzione e documentazione dei redditi, degli acquisti, delle vendite e di tutte le movimentazioni inerenti i capitali in oggetto e per tutti i periodi di imposta per i quali sono sempre pendenti i termini per l’accertamento e la contestazione degli obblighi di dichiarazione.

E previsto il pagamento in un'unica soluzione delle imposte, sanzioni e interessi. 

Le sanzioni per la mancata compilazione del modello RW, a conti fatti, possono scendere fino all’1% o allo 0,5% dei valori non dichiarati a seconda che la ricchezza emersa sia situata in paradisi fiscali o in altri paesi (come è noto le sanzioni ordinarie vanno, rispettivamente, da un minimo del 6% ad un massimo del 30% nel primo caso, ad un minimo del 3%  fino ad un massimo del 15%, nel secondo caso).

Le sanzioni per la mancata dichiarazione dei redditi nel modello Unico, per contro, possono scendere fino ad 1/3 o ad 1/6 del minimo previsto in caso di accertamento che, come è noto, va dal 100% al 200%, salvo il caso dei paradisi fiscali dove sono previste sanzioni da 200% a  400% dell’imposta. In buona sostanza, quindi, i minimi dell’imposta applicabile con la voluntary disclosure potrebbero scendere al 16,67% dell’imposta evasa, fino al 33,33% nel caso di paradisi fiscali.

E’ altresì prevista l’esclusione della punibilità per i casi di infedele dichiarazione o di omessa presentazione delle dichiarazione.

L’infedele dichiarazione, com’è noto, configura reato penale quando, congiuntamente, ricorrono i seguenti presupposti: (i) l’imposta evasa è superiore a € 50.000 (fino al 17/9/2011 € 103.291,38) ovvero (ii) l’ammontare complessivo dei proventi evasi è superiore a quelli dichiarati del 10% o a € 2.000.000 (fino al 17/9/2011 € 2.065.827). L’omessa dichiarazione, d’altro canto, configura reato quando l’imposta evasa va € 30 milia (fino al 17/9/2011 € 77.468,53). In tutte queste ipotesi, quindi, la punibilità verrebbe esclusa

Di contro, come già accennato,  non è prevista la depenalizzazione ma solo la riduzione della pena,  fino alla metà, per le ipotesi di dichiarazione fraudolenta per uso di fatture false o altri artifici (di cui all’art. 2 e 3 del d.lgs. 74/2000).

 

 

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Maggiore appeal fiscale per i canoni di leasing (Legge Stabilità 2014, Art. 1, commi 162 e 163)

La Legge di Stabilità, con decorrenza dai contratti stipulati a partire 1° gennaio 2014, ha modificato ancora una volta la deduzione fiscale dei canoni di locazione finanziaria sia per le imprese che per i lavoratori autonomi. Negli ultimi anni la rilevanza dei canoni di leasing nella determinazione del reddito di impresa era stata già oggetto di rilevanti modifiche. L’art. 4 bis del D.L. 16/2012, con decorrenzadai contratti stipulati dal 29 aprile 2012, aveva eliminato la subordinazione della deducibilità dei canoni di locazione finanziaria ad una durata minima del contratto di leasing: a seguito di tale intervento, la deduzione fiscale dei canoni era prevista in un arco temporale determinato in funzione del bene oggetto del contratto senza necessità di rispettare una durata minima del contratto stesso: non inferiore ai 2/3 del periodo d'ammortamento ordinario, per beni mobili e 18 anni per gli immobili.

 

 

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Dal 2014, per le imprese, individuali e in forma associata, con una modifica all'art. 102, comma 7, Tuir, il periodo minimo di deducibilità fiscale dei canoni di leasing dei beni mobili strumentali è stato ridotto dai 2/3 a 1/2 del periodo di ammortamento fiscale; particolarmente interessante è il nuovo regime del leasing immobiliare in cui la durata fiscale passa dagli attuali 18 ai 12 anni. La generale riduzione del periodo di deducibilità riguarda anche i veicoli commerciali e industriali, le autovetture strumentali e quelle assegnate al dipendente; nessuna novità invece per gli autoveicoli parzialmente deducibili (autovetture aziendali non strumentali ex art. 164, comma 1, lett. b), Tuir), per i quali il periodo di deducibilità dei canoni di leasing deve continuare a rimanere almeno pari al periodo di ammortamento, pari a 4 anni.

Ma la novità più rilevante riguarda i professionisti: cade infatti la norma che prevedeva l’indeducibilità dei canoni di leasing sui beni immobili, consentendo la deducibilità degli stessi per un periodo non inferiore a 12 anni. A seguito della modifica dell'art. 54, comma 2, Tuir, anche per tali soggetti è stata ammessa la deducibilità dei canoni di leasing degli immobili strumentali ed eliminato il riferimento al periodo minimo e massimo in cui dedurre i canoni di leasing, a favore di un preciso termine minimo (12 anni). Occorre segnalare, tuttavia, che ad oggi non risulta abrogata la disposizione di cui all’art. 1, co. 335 legge n. 296/2006, la quale ha limitato la deducibilità dei canoni di leasing immobiliare ai contratti stipulati nel periodo compreso fra il 1/1/07 e il 31/12/09.

 

Occorre fare attenzione al fatto che ogni singolo contratto mantiene, in linea generale, le regole di deducibilità previste al momento della sua sottoscrizione, per cui quelle ora introdotte si applicano esclusivamente ai contratti stipulati a partire 1° gennaio 2014. Con circolare n. 2/2014 Assilea ha chiarito che le nuove disposizioni più favorevoli potranno applicarsi anche ai contratti stipulati in data anteriore al 2014 ma oggetto di novazione a partire da tale data.

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Rivalutazione di partecipazioni e terreni per soggetti Irpef (Legge Stabilità, Art. 1, commi 156 e 157)

La Legge di Stabilità propone l’ennesima riedizione della rivalutazione dei valori di acquisto delle partecipazioni e dei terreni edificabili. La possibilità di rivalutare le partecipazioni e i terreni è stata introdotta per la prima volta dalla Legge Finanziaria del 2002 e prorogata successivamente di anno in anno.

 

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Le persone fisiche che non agiscono nella sfera dell'impresa, le società semplici e gli enti non commerciali anche non residenti, hanno la possibilità di rideterminare il valore di acquisto delle partecipazioni non negoziate in mercati regolamentati e dei terreni edificabili e con destinazione agricola, ai fini del calcolo della plusvalenza in caso di cessione ai sensi dell’art. 67 Tuir. L’agevolazione riguarda i beni detenuti all’1.01.2014 a titolo di proprietà, usufrutto e, per i terreni, anche a titolo di superficie ed enfiteusi.

Per beneficiare della rivalutazione, occorre far redigere e asseverare entro il termine del 30 giugno 2014 la perizia di stima e provvedere al versamento almeno della prima rata dell’imposta sostitutiva.

L’imposta è dovuta nella misura del 2% per le partecipazioni non qualificate e del 4% per le partecipazioni qualificate e i terreni. La stessa può essere versata in un’unica soluzione entro il 30.06.2014 oppure può essere rateizzata fino ad un massimo di 3 rate annuali di pari importo, a decorrere dalla stessa data; sull'importo delle rate successive alla prima sono dovuti gli interessi nella misura del 3% annuo, da versarsi contestualmente.

Alla nuova rivalutazione si applica la possibilità prevista dalla precedente disposizione di proroga (D.L. 70/2011), per i contribuenti che abbiano già effettuato una precedente rideterminazione del valore dei medesimi beni, di detrarre dall’imposta sostitutiva dovuta per la nuova rivalutazione l’importo relativo all’imposta sostitutiva già versata, ovvero chiederne il rimborso.

 

In particolare per i terreni edificabili, l’appeal della rivalutazione al 01.01.2014 consiste nella possibilità di rivedere al ribasso il valore degli stessi, anche ai fini dell’applicazione della presunzione legale di cui all’art. 7, comma 6 Legge 448/2001 secondo cui il valore periziato costituisce valore minimo di riferimento ai fini delle imposte indirette (registro ipotecaria e catastale). Ciò può risultare conveniente, data l’attuale congiuntura economica, in caso di vendita di un terreno oggetto di precedente rivalutazione, che abbia subito negli anni una svalutazione rilevante; in tal caso, la rideterminazione al ribasso del valore, senza versamento di ulteriori imposte sostitutive, consentirebbe infatti un risparmio sulle imposte d’atto che verrebbero applicate sul nuovo e ridotto valore del bene.

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Messa in liquidazione di S.r.l. senza costi notarili

Nell’ambito di alcune Camere di Commercio, tra cui quelle della Lombardia e del Triveneto, si è consolidata la prassi di accettare per le S.r.l., l’attivazione della fase della liquidazione senza ricorrere all’intervento del Notaio. Tale orientamento trova fondamento nella massima J.A.4 del Notariato Veneto, emanata nel 2004 e modificata nel 2005, secondo cui, esclusivamente per le s.r.l., le delibere di nomina e revoca dei liquidatori, e comunque tutte le decisioni riguardanti gli argomenti di cui alle lettere a), b) e c) del comma 1 dell’art. 2487 c.c., devono essere adottate con le maggioranze previste per le modifiche dell’atto costitutivo e dello statuto ma non anche con le forme previste per adottare dette modifiche; di conseguenza il verbale che raccoglie dette decisioni può anche non rivestire la forma dell’atto pubblico.

 

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L’attivazione della fase della liquidazione senza ricorso al Notaio è ammessa nel caso in cui ricorra una delle cause di scioglimento legale tra quelle previste dall’articolo 2484 del c.c. ad esclusione della volontà dell’assemblea di cui al n. 4.

In caso si verifichi una causa di scioglimento, l’organo amministrativo deve formalizzare il riscontro della stessa con una formale presa d’atto e depositarla al Registro delle imprese.

Secondo la prassi in esame, successivamente all’iscrizione della dichiarazione di accertamento dello scioglimento presentata dall’amministratore, sarà il liquidatore (e non il notaio) che nel termine di 30 giorni dalla data della notizia deve provvedere alla iscrizione, allegando copia del verbale di assemblea ordinaria con le maggioranze previste per la modificazione dell’atto costitutivo.

A sostegno di tale orientamento si è osservato che in base al tenore letterale dell’articolo 2487 del c.c., che prevede che gli amministratori, contestualmente all’accertamento della causa di scioglimento, debbano convocare l’assemblea dei soci perché deliberi, con le maggioranze previste per le modifiche dell’atto costitutivo o dello statuto, sembra ammessa una assemblea di natura “ordinaria”; ove si fosse inteso richiedere che l’assemblea di nomina del liquidatore dovesse essere verbalizzata da un notaio, si sarebbe infatti richiamato interamente l’articolo 2481 del c.c.. L’esclusione della “formalità rafforzata”, come detto, è stata ammessa già nel 2004 dal Notariato Veneto con la massima J.A.4 citata.

Occorre segnalare che non tutti gli uffici del Registro delle imprese ammettono tale procedura ma richiedono che l’assemblea per la nomina del liquidatore debba essere verbalizzata con l’intervento del Notaio. Ciò sta determinando, presso talune Camere di Commercio, il “congelamento“ delle pratiche in corso ed, addirittura, l’annullamento delle pratiche già evase.

Si suggerisce, pertanto, di verificare preventivamente la prassi in uso presso l’ufficio competente.

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Registrazione contratti di locazione con Attestato di Prestazione Energetica (Risoluzione Agenzia Entrate 22.11.2013 n. 83)

Con Risoluzione n.83/E del 22 novembre 2013 l’Agenzia ha esaminato le modalità di registrazione dei contratti di locazione immobiliare a seguito del nuovo obbligo di allegare ai contratti di vendita, trasferimento di immobili a titolo gratuito e contratti di locazione, il cosiddetto Attestato di Prestazione Energetica o APE.

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Con la risoluzione in commento l’Agenzia delle Entrate, in risposta ad alcune domande di interpello, ha chiarito il corretto trattamento da riservare, ai fini dell'imposta di registro e dell'imposta di bollo, all'attestato di prestazione energetica (APE), quale allegato di contratti di locazione oggetto di registrazione.

Si ricorda che la legge n. 90/2013 di conversione del D.L. 63/2013, ha introdotto il comma 3bis dell’art. 6 d.lgs. 192/2005, il quale prevede che, a decorrere dal 2013 “l’attestato di prestazione energetica deve essere allegato al contratto di vendita, agli atti di trasferimento di immobili a titolo gratuito o ai nuovi contratti di locazione, pena la nullità degli stessi contratti” a pena di nullità.

L’Agenzia delle Entrate ha precisato che l’attestato di prestazione energetica non è riconducibile agli atti per i quali il Testo Unico dell’imposta di registro richiede la registrazione;  qualora tuttavia il contribuente presenti volontariamente l’attestato di prestazione energetica all’Agenzia delle Entrate per la registrazione, al fine di dare data certa all’atto, trova applicazione l’art. 8 del DPR 131/86, che consente la registrazione volontaria, pagando l’imposta di registro fissa (di 168 euro fino al 31 dicembre 2013 e di 200 euro dal 1° gennaio 2014), a prescindere dalla disciplina applicabile al contratto cui l’attestazione venga allegata.

Ai fini dell’imposta di bollo, viene precisato che l’imposta non è dovuta se l’APE è allegato in originale o in copia semplice; mentre è dovuta (nella misura di 16,00 euro per ogni foglio), se l’APE è allegato in copia dichiarata conforme all’originale da un pubblico ufficiale.

Per i contratti presentati con modalità telematica non è prevista la possibilità di inserire allegati nella pratica. Coloro che utilizzano tale sistema e intendono registrare il modello APE potranno consegnarlo a posteriori, presentandosi in Agenzia con copia cartacea dell’attestato.

 

 









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Il trattamento fiscale delle correzioni di errori contabili in bilancio

Con circolare n. 31/E/2013 l’Agenzia delle Entrate ha esaminato il trattamento fiscale da applicare in caso di correzioni di errori contabili derivanti dalla mancata imputazione in bilancio di componenti negativi o positivi, alla luce del principio di competenza economica.

 

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La circolare definisce “errori contabili”, distinguendoli dai cambiamenti di stima o di principi contabili, quelli derivanti dalla impropria o mancata applicazione di un principio contabile per errori matematici, erronee interpretazioni o mancanza di dati e informazioni. La correzione dell’errore contabile passa attraverso l’imputazione alla parte straordinaria del conto economico (voci E20 o E21) dell’esercizio in cui questo emerge una componente a rettifica della voce patrimoniale interessata.

Dal punto di vista fiscale, al fine di garantire la corretta determinazione del reddito in base al principio della competenza, la componente straordinaria rilevata in bilancio a correzione dell’errore contabile dovrà rilevare nell’esercizio di competenza e non in quello in cui risulta contabilizzata in bilancio. L’Agenzia rileva altresì l’esigenza di evitare la doppia tassazione sul medesimo componente reddituale, esaminando i casi specifici e individuando le modalità in cui il contribuente può recuperare la maggiore imposta versata e non dovuta o quelli in cui viceversa deve tassare il componente economico positivo non contabilizzato nel periodo corretto.

In particolare, la circolare esamina il caso in cui un costo/ricavo non viene contabilizzato, e quindi dedotto/tassato, nel corretto esercizio di competenza ma in un periodo d’imposta successivo. In tale ipotesi viene chiarito che il contribuente deve presentare una dichiarazione integrativa a favore/sfavore per correggere l’annualità in cui c’è stata l’omessa imputazione; qualora l’annualità oggetto di errore non sia più emendabile con l’integrativa, al fine di evitare la doppia tassazione l’Agenzia ammette la possibilità di ricostruire il risultato delle precedenti annualità interessate dall’inesattezza, riliquidando autonomamente la dichiarazione relativa all’annualità dell’omessa imputazione e quelle successive e presentando, per la prima annualità emendabile, dichiarazione integrativa nella quale confluiscano i risultati delle precedenti riliquidazioni effettuate. Nel caso in cui, per più errori, non sono stati contabilizzati nel corretto esercizio di competenza sia componenti negativi sia componenti positivi, occorrerà prima verificare se il risultato sia o meno complessivamente a favore del contribuente per poi procedere alla deduzione o alla tassazione, secondo le modalità sopra descritte.

Infine, l’Agenzia ha precisato che nell’ipotesi in cui il costo, non contabilizzato e non dedotto nell’esercizio di competenza, ma in esercizi successivi a seguito della rilevazione dell’errore in bilancio, prima di poter recuperare fiscalmente il costo con le modalità sopra descritte, il contribuente dovrà comunque presentare dichiarazione integrativa a sfavore e versare le maggiori imposte dovute per l’anno di errata deduzione del costo.






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Novità in materia di imposizione indiretta sui trasferimenti immobiliari (D L n. 104/2013 in GU 12 settembre 2013)

Il cosiddetto decreto istruzione D.L. n. 104/2013, in vigore dal 12 settembre 2013, ha modificato l’imposizione indiretta sui trasferimenti immobiliari. Con decorrenza dal 1 gennaio 2014 le imposte di registro, ipotecarie e catastali in misura fissa sono pari a € 200,00 ciascuna (in luogo di € 168,00).

 

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Le disposizioni in materia di imposizione indiretta sui trasferimenti immobiliari subiscono rilevanti modifiche, a decorrere dal 1° gennaio 2014 a seguito di successivi interventi legislativi. Già l’art. 10 del D Lgs. 23/2011 aveva previsto, dal 2014:

-       la rimodulazione dell’imposta di registro, con l’aumento dell’aliquota ordinaria dal 7 al 9% e la riduzione dal 3% al 2% dell’aliquota per l’acquisto della “prima casa”.

-       la riduzione a € 50,00 delle imposte ipotecarie e catastali dovute in misura fissa in tutti i casi in cui l’imposta di registro era dovuta in misura proporzionale con le nuove aliquote, indipendentemente dall’esistenza delle condizioni per l’agevolazione “prima casa”.

A seguito di tale intervento normativo, pertanto, dal 2014 gli atti di trasferimento immobiliare saranno soggetti ad imposta di registro ordinaria del 9%, salvo l’applicazione della misura ridotta del 2% in presenza dei requisiti per l’agevolazione “prima casa”. Vengono meno tutte le altre agevolazioni/esenzioni vigenti in passato (agevolazione per piani recupero edilizio, piccola proprietà contadina, terreni montani ecc..).

Ora il D.L. 104/2013, sempre a partire dal 2014, innalza da € 168,00 a € 200,00 la misura delle imposte di registro, ipotecarie e catastali dovute in misura fissa. Sono interessati dall’aumento non solo gli atti di compravendita immobiliare e i relativi contratti preliminari, ma anche altri atti soggetti ad imposta di registro in misura fissa quali gli atti societari di aumenti di capitale con conferimento di denaro o beni non immobili, le trasformazioni fusioni e scissioni societarie, gli atti di accettazione e rinuncia di eredità, le procure, ecc..

Occorre precisare che l’aumento a 200 euro delle imposte fisse di registro, ipotecaria e catastale trova applicazione in relazione ai trasferimenti per i quali opera l’alternatività IVA-registro, come, ad esempio, per i trasferimenti di immobili abitativi che risultino imponibili IVA (per obbligo o per opzione).

Nel caso di trasferimenti immobiliari soggetti ad imposta di registro in base alle nuove aliquote del 2% e del 9% fissate dall’art. 10 del DLgs. 23/2011, come visto, le imposte ipotecaria e catastale sono invece dovute nella misura fissa di 50 euro ciascuna.






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Novità in materia di monitoraggio fiscale e quadro RW (Legge delegazione europea n. 97/2013)

La Legge n. 97/2013, in vigore dal 4 settembre 2013, ha apportato sostanziali modifiche alla disciplina del monitoraggio fiscale di cui al D.L. n. 167/1990, e in particolare alla compilazione del quadro RW del modello Unico. Nello specifico sono state eliminate le sezioni I e III e sono state ridotte le sanzioni per l’omessa o infedele compilazione del quadro RW.

 

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Le disposizioni in materia di monitoraggio fiscale relative agli obblighi di compilazione del quadro RW del modello Unico, hanno sempre determinato problemi applicativi. Da un lato, la mancanza di regole certe per la compilazione del quadro RW aveva ingenerato incertezze negli operatori; dall’altro lato, le pesanti sanzioni previste per l’omessa o infedele compilazione, avevo sollevato dubbi di compatibilità delle norme interne rispetto a quelle comunitarie.

Con l’intervento in esame, quindi, il legislatore è intervenuto su entrambi i profili. In primo luogo sono state eliminate le sezioni I e III del quadro RW del modello Unico relative, rispettivamente, ai trasferimenti di denaro da, verso e l’estero, in relazione agli investimenti detenuti all’estero di importo complessivamente superiore ad euro 10.000 (sezione II del quadro RW) e ai flussi relativi agli “stock” degli investimenti detenuti all’estero, anche se non suscettibili di produrre reddito imponibile in Italia, di importo superiore a euro 10.000 (sezione III del quadro RW). Rimane invece l’obbligo di compilazione della sezione II dedicata allo “stock” di investimenti, ma viene eliminato il limite di euro 10.000 al di sotto del quale prima delle modifiche non era obbligatoria la compilazione.

In secondo luogo sono state ridotte le sanzioni. La sanzione per l’omesso adempimento degli obblighi di comunicazione, che oscillava da un minimo del 10% ad un massimo del 50% degli importi non dichiarati, è stata ridotta nella misura che va dal 3% al 15% (nel caso di attività detenute in Paesi “black list”, le sanzioni sono raddoppiate). E’ stata poi introdotta la sanzione fissa di euro 258, nel caso di presentazione del quadro RW entro 90 giorni dal termine.

Per ultimo si segnala l’ampliamento dell’ambito soggettivo di compilazione del quadro RW mediante l’estensione degli obblighi di monitoraggio, oltre che alle persone fisiche, agli enti non commerciali ed alle società semplici, anche ai c.d. “titolari effettivi” degli investimenti esteri. Si considerano tali le persone fisiche che di fatto possiedono o controllano un’entità giuridica, tramite il possesso o il controllo diretto o indiretto di una percentuale del 25% più uno del capitale sociale o dei diritti di voto, anche mediante azioni al portatore.






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Diritto Societario: modifiche alla disciplina della Srl (giugno 2013)

L’art. 9 del D.L n. 76 del 28.06.2013 c.d. “Decreto lavoro”, ha introdotto delle modifiche alla disciplina della s.r.l. semplificata e della s.r.l. a capitale ridotto.

 

 

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In particolare, il decreto sopprime la s.r.l. a capitale ridotto abrogando le previsioni contenute nell’art. 44, commi 1- 4, del d.l. n. 83/2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 134/2012.

Viene altresì previsto che le s.r.l. a capitale ridotto iscritte nel registro delle imprese alla data di entrata in vigore del decreto (28 giugno 2013), sono riqualificate come s.r.l.s “s.r.l. semplificata di cui all’art. 2463 bis c.c.

Per altro verso, l’art. 9 del d.l. n. 76/2013 modifica in modo incisivo l’art. 2463-bis c.c., aprendo la compagine societaria della s.r.l. semplificata anche a persone fisiche che abbiano compiuto 35 anni e prevedendo l’opzione dell’affidamento dell’incarico di  amministrazione della società anche a favore di soggetti estranei alla compagine societaria.

Per effetto di questo decreto, dunque, la Srl rimane l'unico tipo di Srl a capitale ridotto (e cioè sotto il limite "ordinario" di 10mila euro) presente nel nostro ordinamento; la stessa potrà essere costituita da persone fisiche di qualsiasi età (senza più il vincolo dei 35 anni di età) e gli amministratori della società non dovranno più necessariamente essere soci, ma potranno essere estranei alla compagine sociale.






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